Arriva finalmente anche sugli schermi italiani l'ultimo discusso lavoro di Ang Lee, I segreti di Brokeback Mountain, storia d'amore omosessuale tra due cowboys nell'America rurale degli anni '60. Tratto dal racconto di E. Annie Proulx Gente del Wyoming, il film, fin dall'attesa anteprima veneziana, ha intrapreso un trionfale cammino in direzione degli Oscar facendo incetta di premi e scatenando, contemporaneamente, violente polemiche per il suo contenuto. E' di pochi giorni fa la notizia che una catena di cinema di Salt Lake City, più nota come la capitale dello stato dei Mormoni, ha deciso di censurare la pellicola ritirandola dai cinema dello Utah senza dare alcuna spiegazione. Difficile non stupirsi che in un'offerta cinematografica così varia e impudica da aver abbattuto ogni tabù di sorta, talvolta con risultati piuttosto sgradevoli per lo spettatore, polemiche e censure si concentrino su una pellicola che si distingue per pudore, eleganza, e sobrietà.
Chi si prefigurava l'ennesimo manifesto gay rimarrà però assai deluso. Totalmente assenti le turbe generazionali di Gregg Araki, il voluttuoso e colorato entusiasmo sessuale di Pedro Almodovar o i drammi esistenziali fassbinderiani, il film di Ang Lee è sostanzialmente un melodramma d'impianto rigorosamente classico, tanto che Il Messaggero lo ha definito un "In the mood for love tra i monti selvaggi del Wyoming" (curiosamente sono non poche le somiglianze tra le due pellicole: orientali entrambi i registi, stessa epoca - gli anni '60 -, un amore ugualmente infelice), pochissime, anche se esplicite, le scene di sesso, e pare che nella versione destinata al grande pubblico il film subirà ulteriori tagli a causa della censura.
A turbare i sonni dei conservatori resta, però, la scelta di Ang Lee di affrontare la rappresentazione del mito fondativo della nazione americana, quel West ormai tardo, ma perennemente blindato nella salvaguardia dei propri riti, primo tra tutti il machismo dei suoi protagonisti. Ecco che i due giovani amanti de I segreti di Brokeback Mountain, interpretati con convinzione dalle star emergenti Heath Ledger e Jake Gyllenhaal, sono assolutamente virili: mani callose, camicie a quadri di flanella, stivaloni laceri e sigaretta stretta tra le labbra, bivaccano davanti al fuoco bevendo bourbon e dormono nella polvere, si guadagnano il pane col rodeo o governando il bestiame, mettono su famiglia e hanno entrambi figli.
Tutto nella norma, almeno apparentemente. Ang Lee, con la rappresentazione dell'esplosione di un sentimento amoroso tanto inatteso quanto intenso tra i due mandriani, mette il dito nella piaga scardinando la visione romantica del Far West e smontando definitivamente la mitologia del cowboy. Non che il gettare ombre sulla figura dei rudi uomini del West sia una novità assoluta nella storia del cinema, anzi, di pellicole western in cui la sessualità degli eroi risulta piuttosto sfumata ve ne sono parecchie, basti pensare al rapporto edipico tra John Wayne e Montgomery Clift nel capolavoro di Howard Hawks Il fiume rosso, al biscazziere Tom Morgan (Anthony Quinn) che muore in un duello fratricida per mano del compagno interpretato da Henry Fonda nel western crepuscolare Ultima notte a Warlock o nel cameratismo intriso di sottili sfumature sessuale dei due protagonisti de Il cavaliere della valle solitaria. Appare comunque particolarmente significativo il fatto che sia un regista taiwanese, e dunque non americano, ad possedere quel distacco e quella lucidità necessari per portare a compimento il processo di dissoluzione dell'immagine dell'eroe tradizionale dell'epopea western. In più Ang Lee ha già dimostrato nella sua opera prima, Il banchetto di nozze, una sensibilità particolarmente spiccata e una grande intelligenza nella trattazione di tematiche omosessuali.
Come dicevamo prima, però, Brokeback Mountain non è un film a tematica sociale gay, ma un'intensa storia d'amore immersa nella natura incontaminata delle montagne del Wyoming e l'omosessualità è solo il veicolo di compimento del dramma, il motivo dell'impossibilità di un sentimento amoroso sorto nel luogo e nel momento sbagliato, la classica storia sentimentale sull'impossibilità di amare qualcuno che non si può avere. E mentre Jack (Gyllenhaal), il più consapevole della propria natura, vagheggia una possibile felicità futura in un ranch gestito insieme all'amante, Ennis (Ledger) mette in guardia il compagno descrivendogli la fine che viene fatta fare a quelli come loro nel rude mondo dei mandriani.
L'anziana autrice del racconto, il premio Pulitzer Annie Proulx, è rimasta incantata sia dalla trasposizione cinematografica di Ang Lee che completa e valorizza il suo lavoro sia dalle interpretazioni dei due protagonisti, soprattutto da quella di Heath Ledger, e ha ricordato l'origine della storia dei due cowboy innamorati: nel 1995 la scrittrice si trovava in un affollato locale vicino al confine con il Montana e fu colpita da un anziano cowboy trasandato che fissava con desiderio gli altri uomini. Il passo successivo fu immaginare come poteva essere stata la giovinezza di un omosessuale nelle province rurali del Nord, vista l'omofobia che tutt'ora si respira da quelle parti. Il racconto che ne è scaturito è piuttosto breve, anche se la Proulx sottolinea che ha impiegato un tempo lunghissimo a concepirlo perché impegnata ad immedesimarsi nelle menti di due giovani uomini non istruiti e dalla parlata rozza, ma il risultato è andato oltre ogni aspettativa. All'inizio, infatti, l'autrice non immaginava che un racconto così inusuale e problematico sarebbe stato acquistato da qualche rivista, ma nel 1997 The New Yorker lo ha pubblicato con grande successo permettendo agli sceneggiatori Larry McMurtry e Diana Ossana di venirne a conoscenza e di tradurlo in una pellicola che rischia di vincere l'Oscar e che intanto si è portato a casa quattro Golden Globes (miglior film, regia, sceneggiatura e canzone originale). Alla fine, nonostante tutto, a trionfare è sempre l'amore.