In principio furono semplici corse clandestine. Le assolate strade di Los Angeles, qualche furto, una storia semplice al confine tra legale e illecito. Poi qualcosa è andato storto. Nel senso che si è inclinato come un ponte che diventa un trampolino, rampa di lancio per auto a tutto gas (o meglio, NOS) pronte a spiccare il volo, sterzare in aria, trapassare grattacieli. Ecco, la saga di Fast & Furious è prima di tutto il racconto corale di un mondo che si allarga sempre di più, un effetto domino di eventi sempre più grandi e intricati che oggi fanno ripensare quasi con tenerezza a quel lontano 2001 in cui Brian O'Conner osò infiltrarsi nella banda di Dominic Toretto. Quello era un mondo più semplice, dove la posta in gioco era soprattutto questione di fiducia, rispetto, stima reciproca da conquistare. Un mondo racchiuso in una strada, con due uomini allo specchio. Il guerriero imponente e il cavaliere gentile pronti a contaminarsi e ad imparare l'uno dall' altro. Era un mondo e un tempo in cui tutto era solido e reale, fatto di ruote e asfalto, sudore e muscoli.
Oggi no. Adesso l'universo di Fast & Furious ha lasciato i saliscendi losangelini per abbracciare il pianeta intero e una realtà fluida quanto instabile, per niente facile da controllare. Non servono cinture di sicurezza, airbag e sistemi ABS, perché non è più questione di bravura nello stare al volante. Adesso il nemico ha abbandonato la strada e naviga in Rete, non impugna cambi manuali ma comanda a distanza piloti automatici, videocamere, server. Ora Fast & Furious è questione di reale contro virtuale, di bicipite contro byte, forza bruta contro ingegno, passione contro pianificazione. Per controllare un nemico così mellifluo e sfuggente bisogna essere in tanti e rinnovare capitolo dopo capitolo quel concetto di famiglia che dovrebbe entrare di diritto come terza "F" nel titolo. Ed è proprio in questo valore fondante che va rintracciato il più grande merito del franchise, ovvero quello di aver superato il concetto di eroe d'azione solitario e aver inaugurato la necessità dell'affidarsi all'altro anche in uomini larghi come armadi e duri come rocce, aprendo così la strada ai futuri Mercenari e Vendicatori venuti dopo. Fast & Furious 8 non fa eccezione, perché immerge il suo granitico Toretto in una missione dove il pater familias è alle strette, spiazza amici e spettatori per poi appellarsi per forza ad alleati più o meno prevedibili. Lo fa in un film roboante e iper spettacolare dove il concetto di "infattibile" non è stato invitato.
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Sotto la scocca di Toretto
Ci eravamo lasciati ad un bivio. Probabilmente con un pesante magone in gola e gli occhi lucidi. Uno stop, un'auto ne affianca un'altra, e Paul Walker saluta Vin Diesel. Sì, perché nel finale di Fast & Furious 7 non c'è carreggiata che separi il cinema dalla vita, e quella ripresa dall'alto sul bivio che separa i due vecchi amici rimane impresso come l'addio della saga al suo personaggio più gentile. Se ve lo state chiedendo, Fast & Furious 8 non insiste affatto sull'assenza di Walker, ne piange l'assenza in un momento toccante, ma non vuole puntare l'accento sul suo essere orfana. Al contrario, la storia riparte con spensieratezza, accaldate curve cubane (di ogni tipo) e il voglioso pretesto di un duello di strada. Macchine in palio, sguardi torvi attraverso finestrini abbassati, belle donne con gonne corte a sancire la partenza. Ritroviamo Dom e Letty nel bel mezzo della loro luna di miele, e presto capiamo che la corsa che funge da prologo è quasi un omaggio all'antica "semplicità" della saga, perché di lì a poco niente sarà più come prima. Infatti, quell'unica, inscalfibile certezza che risponde al nome di Dominic Toretto arriva a tradire la sua famiglia tanto amata e acclarata. Intercettato da una glaciale ricattatrice di nome Cipher (una Charlize Theron algida come alcune sue recenti regine), il buon Toretto diventa il burattino di un'organizzazione terroristica capace di hackerare ogni cosa e di spiare ogni anfratto di mondo come se fossimo all'interno del videogioco Watch Dogs. Lo spiazzamento davanti a questo inedito Dom è duplice: è dei personaggi, di amanti, amici e persino nemici sconvolti dal colpo di scena; è del pubblico che per la prima ora del film ha una domanda martellante in testa: "Come è possibile?".
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Il pieno di generi, grazie
Possibile e impossibile, però, sono concetti superati e obsoleti. Fast & Furious 8, con il suo tono cupo e a tratti apocalittico, valica ogni definizione di spettacolarità e chiede gentilmente alla nostra sospensione dell'incredulità di mettersi comoda sul lato passeggero. Dopo un lungo lasso di tempo senza motori in scena, il regista F. Gary Gray, già al volante di film su quattro ruote ai tempi di The Italian Job, prende il testimone dalle mani di James Wan assieme all'onere di alzare l'asticella dello show da mettere in pista. Dopo aver visto auto lanciarsi in volo da un aereo e enormi casseforti trascinate per strada, questa volta tocca a scenari degni di un disaster movie urbano al fianco di una vera e propria battaglia bellica sui ghiacciai russi.
Nonostante un uso più massiccio del digitale, Fast & Furious 8 mantiene viva un'impressionante fisicità dell'azione, perché non rinuncia mai allo scontro dei corpi tra scazzottate, risse ed evasioni (la rivalità tra l'Hobbes di Dwayne Johnson e il Deckard di Jason Statham è tra gli aspetti migliori del film) e riesce a personalizzare ogni automobile, come se fosse la naturale estensione del guidatore. Certo, questa volta la sovrabbondanza di esplosioni e ammassi di ferraglia è talmente bulimica da far pensare ad una certa artificiosità, al dovere di strafare per stupire, ma in fondo il film ci riesce bene, mantiene le aspettative e strappa anche qualche sorriso al di là delle assurde esagerazioni. Gray mette nel serbatoio una miscela di generi mai pasticciata, passando da sprazzi di cinecomic (abbiamo avuto un forte déjà vu del Crossbones apparso in Captain America: Civil War) alla commedia vera e propria, affidata al più insospettabile dei personaggi e ad un contrasto divertente tra ruvidezza e innocenza.
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La famiglia è un garage
Fast & Furious 8, primo atto di una nuova trilogia che andrà avanti sino al 2021 con Fast & Furious 10, è un film testardo, che non vuole arrendersi allo strapotere tecnologico di chi spia a distanza, sta seduto davanti ad uno schermo e pensa di vivere davanti ad una tastiera. No, il film vuole sporcarsi le mani, vuole picchiare e recuperare una dimensione tattile dello scontro. Intende guardare in faccia il nemico e magari prenderlo a pugni. Per questo la sequenza più originale del film, che trasforma tante auto in zombi, pone l'accento sulla necessità del fattore umano in un racconto eroico, contro ogni forma di anonimato di chi si nasconde dietro un nickname. Il nucleo caldo e rovente come un motore di tutto questo resta la Famiglia, un concetto che l'ottavo capitolo rende ancora più aperto e aggiornabile, come se per entrare nel circolo della fiducia di Dom e compagnia bastasse condividerne obiettivi, senza rancore, abbracciando persino il perdono. La saga viaggia sempre più in lungo e in largo; questa volta parte da Cuba, passa per New York e finisce in Russia, ma torna sempre e comunque lì, in quel garage simbolico, porto sicuro senza navi dove si condividono sorrisi e lutti, benvenuti e addii. Perché i familiari vanno e vengono, si perdono e si guadagnano, ma la famiglia, quella resta. E allora quel numero 8 del titolo, che tanto assomiglia ad un circuito, si prende una poderosa spallata per diventare un infinito. Come questo racconto veloce, furioso e inarrestabile.
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3.0/5