Questa diciassettesima edizione del festival friulano si è aperta nel segno di due "pezzi da novanta" come Joe Hisaishi e Jackie Chan: il primo, protagonista del concerto tenuto nella giornata pre-festival, il secondo star d'eccezione venuto a presentare il film d'apertura, Dragon Blade (sontuoso action movie che mescola film cinese in costume e peplum, e che gode della presenza di star occidentali come Adrien Brody e John Cusack). Un'apertura che ha comportato un afflusso di pubblico ancor maggiore che in passato, con i biglietti delle due serate andati esauriti in poche ore; per una manifestazione che anche quest'anno (al di là della sua predilezione per un cinema popolare asiatico poco conosciuto, e trattato, nei paesi occidentali) dimostra di saper parlare anche al grande pubblico.
Nelle sue prime due giornate, comunque, il Far East Film Festival ha visto la proiezione di opere di protagonisti vecchi e nuovi del cinema orientale, e della sua stessa storia: spaziando dallo stesso Chan (di cui, al cinema Visionario, è stato anche proiettato il classico Il ventaglio bianco) alle attese nuove opere di Shûichi Okita e Nobuhiro Yamashita, dai thriller dei coreani Lee Kwon e Lee Do-yun alle commedie della Cina mainland (che recuperano, con un approccio attento al nuovo pubblico del genere, alcuni motivi stilistici della "vecchia" commedia hongkonghese) Breakup Buddies di Ning Hao e Women Who Flirt di Pang Ho-Cheung (regista, quest'ultimo, che rappresenta un'altra presenza quasi costante nell'ambito della manifestazione udinese).
I più attesi
La presenza di Chan, nell'apertura del festival, è stata certo catalizzatrice di un grande afflusso di spettatori, col kolossal in costume Dragon Blade di Daniel Lee; regista, quest'ultimo, che fu protagonista del cinema di Hong Kong negli anni '90, sopravvissuto e adattatosi sia all'handover del '97, sia alla recente evoluzione della cinematografia cantonese e alla prevalenza delle co-produzioni. Gli aficionados del Far East, tuttavia, nutrivano forse più curiosità verso le nuove opere di Shuichi Okita (presente nelle scorse edizioni con due film apprezzatissimi come The Woodsman and the Rain e A Story of Yonosuke) e Nobuhiro Yamashita (autore dell'acclamato Linda Linda Linda); rispettivamente intitolati Ecotherapy Getaway Holiday e La La La at Rock Bottom. Se Okita dirige una commedia piccola piccola, tutta al femminile, graziosa e volutamente più "leggera" rispetto alle sue precedenti opere (con al centro la solidarietà tra un gruppo di donne persesi in un bosco), Yamashita riprende i temi di alcuni dei suoi precedenti film, riportandoli di nuovo all'ambiente musicale e mostrando un rebel without a cause affetto da amnesia, che trova una nuova possibilità (e forse un riscatto) proprio nella perdita di memoria; nonché in una possibile nuova esperienza, realizzazione di un vecchio sogno, con la band della persona che l'ha soccorso. Altro titolo atteso, di un altro habitué di Udine, è stato Women Who Flirt di Pang Ho-Cheung, commedia di produzione cinese in cui il regista (nato e cresciuto artisticamente a Hong Kong) conferma la sua messa in scena elaborata, il suo stile nervoso, il suo occhio decentrato e originale verso gli intrecci amorosi; ma, rispetto a molte delle sue opere precedenti, la produzione mainland ne limita il potenziale anarchico e destrutturante, e il film (pur gradevole, e ben diretto) appare più levigato e politically correct rispetto a quanto il regista ci ha fatto vedere in passato.
Impegno, sorprese e routine
Sempre dalla musica si parte, ma con un approdo ben diverso e meno luminoso, nel thailandese The Last Executioner di Tom Waller, proiettato anch'esso nella giornata del 25 aprile: quest'ultimo racconta la storia (vera) di Chavaret Jaruboon, musicista di rock and roll costretto, per sopravvivere e mantenere la sua famiglia, a trasformarsi in un carnefice di stato. Un biopic, quello di Waller (regista ango-thailandese) onirico e realistico insieme, volto a descrivere i fantasmi della vita di una persona che diventano presto quelli, mai sepolti, appartenenti a un'intera nazione.
Ben diversi si rivelano invece i toni delle altre due commedie presentate nella seconda giornata di festival: il filippino The Gifted di Chris Martinez, prodotto di ambientazione liceale (ma con venature dark) sull'amicizia/rivalità tra due ragazze, con una componente di satira sul classismo della società filippina che non è estranea al cinema popolare ivi prodotto; e il decisamente più convenzionale Breakup Buddies di Ning Hao, road/buddy movie cinese sul viaggio di due amici volto a sollevare uno di loro dalla fine del suo matrimonio, con situazioni stereotipate (i differenti caratteri del donnaiolo e dell'amico riflessivo ma depresso), una serie di incontri pittoreschi quanto prevedibili, e un'infornata di paesaggi da cartolina delle zone montane della Cina.
Degno di nota, nonostante qualche convenzionalità di script, e alcune evidenti sbavature narrative, anche il dramma noir Confession dell'esordiente Lee Do-Yun: opera, quest'ultima, di produzione sud-coreana su un'amicizia tradita a fin di bene, che finisce per generare un male inarrestabile e fuori controllo. Un film, quello di Lee, non particolarmente originale, ma percorso dalla giusta tensione e caratterizzato da qualche raffinatezza visiva.
A chiudere la giornata del 25 aprile, per gli "irriducibili" spettatori di mezzanotte, il crime drama ucraino The Tribe di Miroslav Slaboshpitsky. proposto dal Far East nella sezione Sitges Reloaded (che comprende alcune opere, non asiatiche, già passate nell'ambito del festival iberico) e destinato a essere distribuito nelle nostre sale dal prossimo 28 maggio.