Ezio Bosso – Le cose che restano, la recensione: La musica, la vita, gli incontri

La recensione di Ezio Bosso - Le cose che restano, il docufilm con cui Giorgio Verdelli ricorda il musicista scomparso lo scorso anno. Un artista che fece della musica come condivisione la propria ragione di vita.

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Ezio Bosso - Le cose che restano: una foto dall'archivio Oscar Giammarinaro

"La musica come la vita si può fare in un solo modo, insieme". Per Ezio Bosso (scomparso nel maggio del 2020) la musica era una questione sociale, pura condivisione, patrimonio di tutti. Glielo sentiremo ribadire spesso nelle quasi due ore di documentario che Giorgio Verdelli costruisce attorno alla sua esperienza umana e professionale, (come leggerete meglio nella recensione di Ezio Bosso - Le cose che restano, in sala solo il 4,5 e 6 ottobre). Contrabbassista, direttore d'orchestra, pianista, compositore: nel film di Verdelli appare in tutta la sua grazia d'artista, una personalità eccentrica e ribelle, che non ci ha e non si è risparmiata nulla. Un uomo appassionato e un fine divulgatore, la cui potenza comunicativa va oltre l'effimera contingenza e permane anche dopo il brusco strappo della morte. Sono queste, volendo parafrasare il titolo, "le cose che restano" di Ezio Bosso e Verdelli riesce a restituircene un pezzetto.

Dall'infanzia in una famiglia operaia ai successi in giro per il mondo

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Ezio Bosso - Le cose che restano: una sequenza

Il regista, già autore di altri racconti musicali come Pino Daniele. Il tempo resterà (2017) e Paolo Conte. Via con me (2020), realizza un documentario molto convenzionale e dalla struttura rigorosamente classica; Giorgio Verdelli fa la scelta ben precisa di alternare i ricordi di amici, familiari e colleghi alle parole e alla musica con cui lo stesso Ezio Bosso si racconta svelandosi allo spettatore. Il pubblico entrerà lentamente nel suo immaginario, un insieme di suggestioni sonore e immagini. Pezzi di vita riesumati da un minuzioso lavoro di scavo tra audio, video, foto di famiglia, il catalogo delle sue opere musicali e vecchi hard disk tra cui spunta l'inedito che dà il titolo al film The Things that Remain.
Un mosaico di suggestioni e la lunghissima (forse eccessiva) serie di testimonianze di chi lo ha vissuto da quando bambino a quattro anni cominciò ad avvicinarsi alla musica, fino agli anni della malattia. È un succedersi di istantanee: l'infanzia a piazza Barcellona nella Torino degli anni '70 in una famiglia di operai, "l'unica piemontese di tutto il caseggiato" abitato da calabresi, siciliani, pugliesi; la giovinezza con i capelli lunghi, il contrabbasso e lo spolverino di pelle nera; la Londra dove avrebbe trascorso undici anni della sua vita, la città che per lui è sempre stata casa ("lui viveva le città, conosceva tutti, diventava amico della città", racconta la fidanzata Giulia Vespoli); e poi i successi al Regio di Torino, ai Carmina Burana all'Arena di Verona, alla Fenice di Venezia, a Piazza Maggiore a Bologna, Sanremo e le prime colonne sonore.

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Ezio Bosso - Le cose che restano: una foto di Ezio Bosso con la famiglia

"Ognuno si racconterà la propria storia e io posso solo suggerire la mia", diceva. Ezio Bosso: Le cose che restano ci racconta l'unica possibile, senza afflati che potrebbero rendere barocca una narrazione già di suo imponente per la presenza di una personalità straripante capace di dirigere un'orchestra di cinquanta musicisti e subito dopo arrangiare un brano rap come Cappotto di Legno insieme a Lucariello.

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Una storia di incontri

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Ezio Bosso - Le cose che restano: un momento del film

Rock, sovversivo e innamorato follemente della sua musica, "aveva la capacità innata dei grandi divulgatori della storia, trasmettere in maniere semplice il complesso" dice Luca Bizzarri, che con lui ebbe la fortuna di condividere come ospite il palco di "Che storia è la musica". Gli fa eco l'intervento di Gabriele Salvatores, che ricostruisce senza inutili santificazioni ("ne ha combinate di tutti i colori") il loro sodalizio artistico da Io non ho paura a Quo vadis, baby e Il ragazzo invisibile: "Ezio era la mia anima musicale. Mi piaceva la sua voglia di vivere, ha rappresentato tutto ciò che non sono riuscito a fare io", confessa. Silvio Orlando ne ricorda invece il carisma e la presenza scenica, e poi ci sono le parole del regista e amico Valter Malosti: "Ezio era la musica dentro un corpo, era Dioniso". Quel corpo straziato dalla malattia e sfiancato dalle prove era diventato parte integrante del suo modo di fare musica, che come disse in un appassionato discorso al Parlamento Europeo nel 2018 "non è solo un linguaggio ma una trascendenza, ciò che ci porta oltre. [...] è la nostra vera radice di europei ed è quella che fa eliminare ogni confine". Ezio si portava dietro un mondo, lo fece anche quel giorno destinato a rimanere nella mente di molti, come succedeva sempre a chiunque fosse capitato di incontrarlo sulla propria strada. E resta tutto, accidenti se resta.

Conclusioni

Concludiamo la recensione di Ezio Bosso - Le cose che restano, con la consapevolezza di trovarci davanti a un omaggio sentito e composto all'artista che più di chiunque altro in tempi moderni ha sposato la musica come questione sociale. Seppur molto convenzionale e di impianto classico, il docufilm di Giorgio Verdelli riverbera della luce e della passione infinita e folle che ha sempre accompagnato Ezio Bosso.

Movieplayer.it
2.5/5
Voto medio
2.9/5