Ci sono film che trovano una forza speciale attraverso la sala e il grande schermo e, come vedremo dalla nostra recensione di Europa, il film di Haider Rashid è uno di questi. Quasi completamente muto, basato sull'azione e sulle immagini, questa breve storia che racconta la fuga di un ragazzo iracheno e il tentativo di superare il confine tra Bulgaria e Turchia per arrivare finalmente in Europa e dare inizio a una nuova vita di salvezza è un film minimalista, eppure capace di usare il linguaggio cinematografico nella sua forma migliore. Opera di breve durata, rimanendo sempre attaccato al protagonista principale, lo spettatore è obbligato a provare un'esperienza faticosa (sotto diversi punti di vista, ne riparleremo nei prossimi paragrafi), resa ancora più forte dal buio della sala e dal sonoro davvero ben curato.
Fuga nella foresta
Il film si apre con alcune didascalie che ci inseriscono all'interno del contesto narrativo. Ci troviamo al confine tra Bulgaria e Turchia. Il giovane Kamal (Adam Ali) fa parte di un gruppo di migranti che sta cercando di entrare attraverso la cosiddetta "rotta balcanica", non senza parecchi sacrifici, dentro il continente europeo, a piedi. Il gruppo viene però respinto dalla polizia di frontiera bulgara, in accordo con alcune organizzazioni criminali: alcuni di loro vengono uccisi, altri vengono catturati e ammanettati. Kamal, con un colpo di fortuna, riesce a fuggire all'interno della foresta, luogo labirintico, selvaggio e senza regole, dove al suo interno pattugliano i "Cacciatori di migranti". Per Kamal avrà inizio un tour de force lungo tre giorni e tre notti, alle prese con una fuga disperata per sopravvivere, tentando di oltrepassare il confine e vincere la morte, sempre al suo fianco, in attesa di catturarlo. Una sinossi davvero breve per un film che ha dalla sua parte un'esigua durata (poco più di 70 minuti) e che intende mettere da parte il dialogo per concentrarsi sull'esperienza del ragazzo.
Respiri e fatica: vivere la sopravvivenza
Raramente si trovano film che intendono catapultare lo spettatore all'interno della storia in maniera così sensoriale e viscerale. Europa, presentato alla Quinzaine des Réalisateurs al Festival di Cannes 2021, non accetta compromessi. La regia di Rashid, classe 1985, è il fiore all'occhiello del film: camera a mano, pressante nei confronti del protagonista, senza lasciargli scampo. Lo spettatore non deve solo prestare attenzione nel guardare Kamal, ma possederlo, come fosse uno spirito di un'altra dimensione. Grazie anche alla recitazione di Adam Ali, davvero in parte in un ruolo complesso, molto fisico e provante, dove la parola è sostituita dai sospiri, dai respiri affannati, dagli sguardi capaci di raccogliere lo spettro istantaneo delle emozioni, non si fatica a creare subito un'empatia umana con il personaggio. Proprio i respiri e la fatica sono gli elementi principali di Europa che presta molta attenzione al sonoro, curato e in grado di restituire un'ambiente vivo e sconosciuto, da scoprire perennemente in tensione, dimostrandosi un film coraggioso, una mosca bianca all'interno del panorama cinematografico italiano.
Rimanere al confine
Va detto che, nonostante le indubbie qualità di Europa, non tutto risulta pienamente riuscito allo stesso modo e lungo tutta la durata del film. Sbilanciato sul punto di vista esperienziale e sensoriale a discapito dell'impianto drammaturgico, il film non sempre riesce a sottolineare la forza emotiva ricercata. Troppo disteso e poco ritmato (nonostante un montaggio veloce) per lasciar trasparire una forza adrenalinica necessaria a mantenere l'attenzione per tutta la sua durata, al netto delle sequenze riuscite, Europa fatica a coinvolgere davvero lo spettatore, che si ritroverà obbligato a seguire un personaggio senza provare un reale dolore e una vera urgenza in quello che sta vedendo. Forse per rimanere ancorato a una certa idea di cinema autoriale, sacrificando tutto ciò che sembra contenere un minimo di intrattenimento, Europa è fiero del proprio contenuto da non lasciare spazio di manovra all'osservatore. Anziché aprirsi al pubblico, il film sceglie di sforzare lo spettatore nella speranza che sia lui a entrare in questo mondo e in questa fuga, forse chiedendo un impegno ulteriore che ne depotenzia l'affondo emotivo. Arrivati alla scena finale, mentre la macchina da presa indugia sempre di più sul volto, non ferito e non provato, del personaggio, ci si rende conto che, in realtà, non abbiamo davvero sofferto con lui. Permane il respiro composto di affanni, come in tutto il resto del film, quando un semplice sospiro di serenità (anche temporanea) avrebbe dato una scossa sperata.
Conclusioni
A conclusione della nostra recensione di Europa non possiamo che premiare un cinema che usa il linguaggio cinematografico al suo meglio, conscio di dover essere visto nel buio di una sala per una migliore esperienza di visione. Proprio a livello di esperienza, la regia di Haider Rashid, con la camera a mano e rimanendo incollata all’ottimo protagonista Adam Ali, autore di una prova fisica non indifferente, vuole coinvolgere lo spettatore a livello viscerale e sensoriale. Il sonoro fa la sua parte necessaria, ma manca un pizzico di vera emozione, specie nel finale. È una fuga per la sopravvivenza eppure non si percepisce quel trasporto che avrebbe reso il film ancora migliore.
Perché ci piace
- L’uso del sonoro e la regia cercano di costruire un’esperienza sensoriale molto particolare.
- L’interpretazione molto fisica di Adam Ali, vero e proprio protagonista della vicenda.
- Il linguaggio cinematografico si esprime nel migliore dei modi tanto da rendere necessaria la visione in sala.
Cosa non va
- Il lato drammaturgico viene sacrificato e, di conseguenza, il film è parco di forti emozioni.
- Il ritmo, nonostante il montaggio e l’impianto narrativo, è squilibrato e non sempre risulta coinvolgente.