Dopo la cerimonia, William Wyler e io ci recammo in silenzio alla nostra macchina. Alla fine, giusto per rompere il silenzio, io dissi: 'Niente più Lubitsch'. E Wyler mi rispose: 'Ancora peggio... niente più film di Lubitsch!'.
È Billy Wilder, suo collega ed 'allievo', ad averci regalato l'aneddoto di questo scambio di battute con William Wyler al funerale del regista tedesco, scomparso a Los Angeles il 30 novembre 1947. "Niente più film di Lubitsch!": l'esclamazione sconsolata di Wyler era soprattutto un riconoscimento del patrimonio inestimabile che il loro amico e collega, stroncato da un infarto a soli cinquantacinque anni, aveva lasciato dietro di sé in tre decenni di attività. Nato a Berlino il 29 gennaio 1982, Ernst Lubitsch approda a Hollywood nel 1922, ingaggiato da una superstar quale Mary Pickford sull'onda delle lodi per i film che aveva già realizzato in Germania. Con il dramma storico Lo Zar folle (di cui ci resta solo qualche sequenza) e il musical Il Principe consorte, suo primo film sonoro, Lubitsch si guadagna due nomination agli Oscar; ma è a partire dagli anni Trenta che si attesta come uno dei massimi registi della propria epoca, grazie a una serie di titoli entrati nel novero delle migliori commedie di sempre.
Mancia competente e Partita a quattro, realizzati fra il 1933 e il 1934 in una Hollywood ancora svincolata dalle maglie del Codice Hays, avrebbero delineato infatti lo spirito del cinema di Ernst Lubitsch: la sua propensione a cogliere debolezze e contraddizioni dei personaggi ("Almeno un paio di volte al giorno, anche l'essere umano più dignitoso è ridicolo") rappresentandole però senza intenti moraleggianti, ma con quella leggerezza sorniona ed ironica che avrebbe identificato, da lì in poi, il cosiddetto "tocco alla Lubitsch". Ecco dunque che, in Partita a quattro, Lubitsch suggerisce con divertita malizia le dinamiche di un ménage-à-trois, sfiorando un argomento tabù nella società americana, mentre nel 1937, in Angelo, mette in scena un impossibile amore extraconiugale, adoperando con originalità le convenzioni del melodramma.
È il genere comico, però, a identificare maggiormente la sua produzione e a stabilire un modello ripreso più volte da lì in poi, a cominciare dal grane Billy Wilder. Ricompensato con un premio alla carriera agli Academy Award nel 1947, pochi mesi prima della sua morte, Ernst Lubitsch è rimasto uno dei cineasti più significativi e influenti del proprio tempo. E alla sua eredità vogliamo rendere omaggio ripercorrendo, in ordine cronologico, cinque classici imprescindibili della sua filmografia: cinque film che, a distanza di quasi un secolo, risultano ancora in grado di affascinarci e divertirci per mezzo dell'inconfondibile Lubitsch touch.
1. Mancia competente
Basato su un testo del commediografo ungherese László Aladár, Mancia competente del 1932 (in originale Trouble in Paradise) vede due degli attori favoriti di Lubitsch, Miriam Hopkins ed Herbert Marshall, nei panni di un'affiatatissima coppia di ladri, Lily e Gaston Monescu, che si conoscono a Venezia e, in virtù delle loro 'affinità', si innamorano e decidono di entrare in affari. L'azione a questo punto si sposta a Parigi, dove Gaston e Lily puntano il loro prossimo obiettivo: la ricca Mariette Colet (Kay Francis). La questione però si complica quando fra Gaston e Mariette scatta la scintilla: ecco dunque che Lubitsch inserisce nell'intreccio anche il conflitto amoroso, creando un meccanismo narrativo ammirevole per vivacità, ritmo e grazia.
2. Ninotchka
"Garbo laughs!": con questo slogan nell'autunno del 1939 faceva il suo debutto Ninotchka, fra i massimi capolavori di Ernst Lubitsch, con la collaborazione di un altro talento del calibro di Billy Wilder in qualità di co-sceneggiatore. Ninotchka è il nomignolo affibbiato dal galante Conte Léon d'Algout (Melvyn Douglas) a Nina Ivanovna Yakushova (Greta Garbo), ispettrice inviata dal Governo sovietico a Parigi per indagare sul comportamento di tre brislacchi agenti russi, 'traviati' dal brio e dai piaceri della vita parigina. Nella parte di Ninotchka, all'inizio gelida e inflessibile, ma destinata a lasciarsi conquistare dal delicato corteggiamento di Léon, Greta Garbo sfodera una delle sue performance più memorabili di sempre: Lubitsch, infatti, ironizza proprio sull'immagine altera della diva svedese, permettendole di dimostrare per la prima volta le sue doti da formidabile attrice brillante.
3. Scrivimi fermo posta
Non tutti sanno che il celebre C'è posta per te di Nora Ephron è in realtà il remake di un classico del 1940 di Ernst Lubitsch, basato a sua volta su una pièce teatrale ungherese di Miklós László. Ambientato appunto a Budapest, Scrivimi fermo posta è una dolcissima commedia romantica su un sentimento nato "per corrispondenza" fra due individui ignari della rispettiva identità. Protagonisti di questa peculiare storia d'amore sono Alfred Kralik (James Stewart) e Klara Novak (Margaret Sullavan), che lavorano come commessi nel negozio del signor Hugo Matuschek (Frank Morgan) e provano un'aspra antipatia reciproca. Il duplice piano delle interazioni dal vivo e di quelle per corrispondenza funge così da impianto per un film dall'effetto irresistibile, ieri come oggi.
4. Vogliamo vivere!
Nel marzo 1942, mentre in Europa infuria la Seconda Guerra Mondiale e gli Stati Uniti hanno appena fatto il proprio ingresso nel conflitto, al cinema viene distribuito Vogliamo vivere!, che si sarebbe imposto fra le pietre miliari della commedia classica hollywoodiana. Intitolato in originale To Be or Not to Be, come l'incipit del monologo di Amleto pronunciato in scena dall'attore polacco Joseph Tura (Jack Benny), il film riceve all'inizio un'accoglienza piuttosto controversa: Ernst Lubitsch, infatti, ambienta Vogliamo vivere! nella Polonia appena invasa dai tedeschi, firmando una graffiante satira antinazista in cui, a mettere i bastoni fra le ruote agli ufficiali del Terzo Reich, è l'istrionico Tura assieme alla moglie Maria (Carole Lombard) e alla loro compagnia teatrale, al centro di una girandola di travestimenti, scambi di persona e gag strepitose. Il trascinante congegno comico ideato da Lubitsch farà da modello a un remake del 1983, Essere o non essere, con Mel Brooks e Anne Bancroft.
5. Il cielo può attendere
Se a Vogliamo vivere! servirà del tempo per fare il suo ingresso nel canone, nel 1943 riscuote invece un successo immediato Il cielo può attendere, commedia dai contorni fantastici che vale a Lubitsch la sua terza candidatura all'Oscar come miglior regista. La pellicola è costruita come un lungo confronto fra il protagonista, il defunto Henry Van Cleve (Don Ameche), e Sua Eccellenza il Diavolo (Laird Cregar), indeciso se accogliere o meno Henry oltre la soglia dell'inferno; l'uomo si trova così a ripercorrere la propria esistenza, inclusi la tendenza a ingannare e mentire, il suo debole per il gentil sesso e l'amore per Martha (Gene Tierney). Ennesimo, superbo esempio del "tocco alla Lubitsch", Il cielo può attendere è un altro titolo imprescindibile nella carriera di questo assoluto maestro della comicità sul grande schermo.