"Perché ci vuole orecchio" cantava Enzo Jannacci nel 1980. E il regista Giorgio Verdelli, oltre che orecchio, ha anche occhio nel comporre un omaggio sentito e appassionante come Enzo Jannacci vengo anch'io. Dagli accostamenti tra materiali di repertorio, emozionanti esibizioni e interviste appassionate, trapela tutta l'ammirazione del regista per il genio comico e musicale di Jannacci, scomparso nel 2013.
Per raccontare la passione per la musica e l'originalità nelle composizioni di Jannacci, Giorgio Verdelli chiama a raccolta gli amici milanesi come Cochi e Renato, Diego Abatantuono, Paolo Rossi, la figlia di Giorgio Gaber, che era unito a Jannacci da una lunga e solida amicizia culminata nel duo canoro "I Corsari", che darà vita a hit come Una fetta di limone, e Dori Ghezzi, che ricorda i rapporti tra Jannacci e Fabrizio De André la cui melodia di Via del Campo è ispirata a un brano del medico musicista. Naturalmente è impossibile non ricordare la collaborazione con Dario Fo, che ha firmato il testo della finta canzone popolare Ho visto un re, poi censurata dalla Rai nel 1968.
Ogni artista ha i suoi demoni
Enzo Jannacci vengo anch'io aiuta a riscoprire una figura eclettica, refrattaria a essere incasellata in una categoria ben definita. Rockettaro ante-litteram con una profonda conoscenza della musica, amante del jazz, fine umorista, cultore della tradizione dialettale lombarda, Enzo Jannacci ha attraversato la scena musicale italiana facendosi notare nella Milano degli anni '60 che ferveva di talenti e innovazioni.
Passando dalla musica al teatro, dal cabaret del Derby, fulcro della comicità milanese, al cinema (esperienza che ha ripetuto in più occasioni, ma che non lo ha mai soddisfatto), l'autore di tanti brani immortali non ha mai rinunciato alla sua prima passione, la medicina. In un momento del documentario vediamo il figlio di Jannacci, Paolo, che si reca al suo vecchio studio medico insieme all'insospettabile fan J-Ax.
Vengo anch'io. No, tu no
La scelta di non abbandonare mai la professione medica, prima come chirurgo e poi come medico di famiglia, per la voglia di aiutare chi è in difficoltà, la dice lunga sulla persona di Jannacci, anche se dal film di Verdelli emerge molto sull'artista e pochissimo sulla persona. Come ricorda il figlio, Enzo Jannacci era gelosissimo del suo privato e dietro l'aria estroversa e il sorriso contagioso nascondeva i suoi lati oscuri e i suoi tormenti d'artista. Ma la sua capacità di comunicare, usando l'ironia per denunciare le storture della società e per schierarsi dalla parte dei deboli, gli attirò un grande successo mentre la tensione verso la sperimentazione gli fruttò l'ammirazione dei colleghi e, naturalmente, della critica.
A fianco di personaggi più vicini al mondo di Enzo Jannacci come Claudio Bisio, Paolo Conte, Massimo Boldi o Roberto Vecchioni - chiamato a raccontare il rapporto con l'amico da un vecchio tram, simbolo della città di Milano - tra gli intervistati spiccano anche figure inedite come Vasco Rossi, influenzato a sua volta dal musicista meneghino (Siamo solo noi è profondamente debitore di Quelli che) che lo stupirà inviandogli una lettera in cui gli esprime ammirazione per la sua esibizione sanremese.
L'eredità di un mito
L'Enzo Jannacci che emerge dal ritratto di Giorgio Verdelli e che, grazie al sapiente lavoro di montaggio di Vitaliano Murdocco, è lui stesso a raccontarsi spesso e volentieri, è un creativo, un generoso, ma anche un artista umile, che mette il divertimento e la passione davanti al resto senza per questo sminuire la totale dedizione alla musica. E il documentario di Verdelli riflette la grazia e l'ironia dell'oggetto del suo racconto ripercorrendo rapido la sua carriera tra esibizioni live, struggenti ricordi e aneddoti divertenti come quello di Francesco Guccini, che ricorda con terrore le telefonate di Jannacci di cui capiva poco e niente perché l'amico si mangiava le parole.
Cosa resta dell'eredità di Jannacci? Tanto, tantissimo, come mostra il film che indica chiaramente la sua natura di precursore di stili e mode. Restano i brani immortali, da Vengo anch'io a Messico e nuvole, da El purtava i scarp del tennis a L'Armando, resta il talento del figlio Paolo Jannacci, che ricorda il padre in modo incredibile, e restano i ricordi degli amici come il cantante Elio che, da qualche anno, continua a portare in tour lo spettacolo Ci vuole orecchio per far conoscere la sua arte alle nuove generazioni... e anche alle vecchie.
Conclusioni
Un ritratto vitale e appassionato di uno degli artisti più innovativi e fantasiosi della tradizione italiana. La recensione di Enzo Jannacci vengo anch'io mette in luce le qualità, il ritmo e la ricchezza del documentario di Giorgio Verdelli che strappa risate e qualche lacrima mentre ricorda la sterminata produzione di un genio musicale profondamente radicato nella cultura dialettale lombarda.
Perché ci piace
- La ricchezza di testimonianze, compresa quella dello stesso Enzo Jannacci, che raccontano l'uomo e l'artista.
- La varietà dei materiali di repertorio.
- La milanesità che emerge da certe scelte di regia, come le interviste in tram.
Cosa non va
- Tanto ci sarebbe ancora da dire e da riscoprire su Jannacci, un solo film non basta.