La vergogna non è un'emozione abbastanza forte da impedirci di fare qualunque cosa...
Durante la cena di Natale organizzata da Michèle Leblanc, una mirabile macrosequenza corale posta all'incirca verso la metà del film, la protagonista si siede accanto al suo vicino di casa, Patrick, per raccontargli un tragico episodio del proprio passato, legato alla figura di suo padre. Si tratta di un dialogo di poco più di due minuti, che non fornisce allo spettatore informazioni rilevanti rispetto a quanto già sappiamo ma che, a ben guardare, costituisce una sequenza emblematica della natura stessa di Elle.
Michèle sta rievocando l'evento che l'ha segnata per tutta la vita, un crimine atroce in cui era stata coinvolta quasi quarant'anni prima: eppure la recitazione di Isabelle Huppert prende una direzione diametralmente opposta rispetto a quanto potremmo aspettarci in relazione a una confessione tanto drammatica. Michèle, infatti, fa affiorare un accenno di sorriso sulle labbra e sfodera il tono smaliziato, la gestualità spigliata e la scintilla negli occhi tipici di una donna impegnata in un flirt; non certo l'atteggiamento di chi sta rivivendo il momento più doloroso della propria esistenza.
La disinvoltura perfino divertita con cui la Huppert snocciola i dettagli più macabri e assurdi della vicenda, la naturalezza con cui si interrompe per ravvivare il fuoco nel caminetto sono gli effetti di una 'sprezzatura' che si incrina solo per qualche istante: quando Michèle, stavolta con sguardo vitreo, descrive una vecchia fotografia di se stessa da bambina, mezza nuda e ricoperta di cenere. Ma è solo una parentesi, una fugace percezione dell'abisso. Un attimo dopo la padrona di casa torna a sorridere ed esclama con vivacità: "Niente male, eh?". Ecco, in questi due minuti è racchiusa forse l'anima del film di Paul Verhoeven: un film che, così come la sua protagonista, si smarca costantemente dalle attese del pubblico e dalle strutture narrative tradizionali, prendendo traiettorie sempre nuove senza esitare a fondere insieme ironia e tragedia.
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Occhi di gatto
Se questa componente ironica contraddistingue addirittura il "crimine primigenio", laddove la rievocazione di un trauma infantile è declinata secondo le modalità di un corteggiamento, la radicale anticonvenzionalità di Elle appare evidente fin dal suo folgorante incipit: e cioè quando un atto bestiale, lo stupro consumato nel salotto di Michèle, si riflette nello sguardo serafico del suo gatto Marty, testimone imperturbabile del misfatto. La violenza sessuale perpetrata da un misterioso aggressore, pur svolgendo la funzione di motore dell'intero racconto, è una 'oscenità' nel senso letterale della parola: non a caso è confinata al di fuori dello spazio (il fuori campo sul gatto) e del tempo filmici (nella prima sequenza, lo stupro è appena stato portato a termine). Ma da parte del regista di Basic Instinct non è certo sintomo di pudore, tutt'altro: la violenza contro Michèle è destinata a essere ricordata e rivissuta più volte, con la fantasia che a un certo punto arriverà a contaminare la memoria, permettendo alla donna di 'riscrivere' le dinamiche dell'aggressione.
Se la Catherine Tramell di Basic Instinct era un'autrice di best seller il cui estro creativo prendeva forma in autentici delitti (ma era uno scrittore pure il Gerard Reve di un altro noto thriller erotico diretto da Verhoeven, Il quarto uomo), la Michèle della Huppert svolge una professione non troppo dissimile: è la manager di un'azienda di videogame, con un passato nell'editoria, alle prese con la realizzazione di un nuovo gioco iperrealistico e iperviolento. "Quando un giocatore sgozza un orco, deve sentire il sangue scorrere sulle sue mani", dice Michèle ai propri dipendenti, con la stessa, pragmatica freddezza con cui, immediatamente dopo lo stupro, aveva ripulito il pavimento, ordinato due porzioni di sushi a domicilio e conversato con il figlio Vincent. La violenza subita in carne e ossa, per Michèle, trova un contraltare nella violenza di quelle creature mostruose e tentacolari che si avventano sulle principesse del videogame, provocando loro gemiti voluttuosi in una spiazzante compenetrazione fra Eros e Thanatos.
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Il tenebroso mondo di Michèle
A partire da quella scioccante sequenza iniziale (scioccante non solo per l'atto in sé), lo spettatore non tarda ad accorgersi che tutto, in Michèle, è ambiguità e contraddizione, e che la donna risulta dunque lontana anni luce dallo stereotipo della "vittima"; così come Elle, del resto, è agli antipodi dello schema manicheo dei canonici film sulla violenza. E non dovrebbe stupirci se pensiamo che Philippe Djian, l'autore del romanzo da cui è tratta la pellicola di Verhoeven, ha dichiarato di aver ideato la Michèle del libro pensando proprio a Isabelle Huppert: questo personaggio così complesso e sfuggente calza all'attrice francese come un guanto cucito su misura, e Isabelle le conferisce di volta in volta sfumature diverse, spingendoci sempre a interrogarci su quale sarà la sua prossima mossa.
"La più pericolosa sei tu", osserva il suo ex marito Richard, e pericolosa Michèle lo è sul serio: quando distrugge con noncuranza il paraurti di un'auto; quando ordina di far hackerare i computer di tutti i suoi dipendenti; quando - dettaglio di sublime perfidia - nasconde un frammento di stuzzicadenti nel manicaretto riservato a un'invitata sgradita (e tornano in mente i frammenti di vetro usati come un'arma dalla sua Erika Kohut ne La pianista). E quando decide di prendere in contropiede l'uomo che continua a tormentarla, giocando al suo stesso gioco. Ma il plot del thriller, quello direttamente collegato allo stupro, non è che uno degli innumerevoli meccanismi di un ingranaggio drammaturgico ben più ampio, che abbraccia tutto l'universo di Michèle: un mondo composto da rapporti professionali e privati, da familiari ingenui (l'inetto figlio Vincent) o ingombranti (la madre Irène), da amanti senza importanza (Robert) e da nuovi bersagli d'interesse (l'attraente vicino Patrick), da impiegati adoranti (Kevin) o palesemente ostili (Kurt). Questi e altri comprimari sono gli attori di una "commedia umana" in cui Michèle si muove come un detonatore innescato e pronto ad esplodere: perché oltre a rispondere agli attacchi del suo aggressore, Madame Leblanc ha parecchi altri conti da regolare.
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Leggi del desiderio e istinti primordiali
Ebbene, la dimensione rivoluzionaria, trasgressiva e intimamente 'politica' di Elle è innanzitutto qui: nel ghiaccio che brucia negli occhi di una donna determinata a fronteggiare il mondo secondo le proprie regole, anche a costo di riscriverne i contorni e di ribaltarne i fragili equilibri. In un revenge movie che mescola generi e umori, in cui il registro della suspense convive accanto a quelli dello humor nero e del grottesco, e nel quale per di più non abbiamo una vendicatrice alla Kill Bill, ma una sofisticata signora altoborghese di mezza età, non si può sperare di risolvere l'equazione mediante un'unica chiave di lettura. Su un film come Elle (ed è pure questo a renderlo tanto straordinario) si potrebbero applicare letture sociologiche o psicanalitiche, allegoriche o perfino religiose, ma nessuna sarebbe in grado di sciogliere l'enigma; perché Verhoeven e il suo sceneggiatore David Birke prendono in prestito un ventaglio di spunti e di suggestioni per innestarli in un amalgama tanto composito quanto indecifrabile.
Proprio in tale amalgama risiede, in fondo, il fascino gustosamente 'perverso' di Elle: un capolavoro che viola tutte le regole e fa saltare ogni rassicurante punto fermo della nostra coscienza di spettatori. Esattamente come la sua protagonista, a tal punto libera dai lacci della morale comune da poter assecondare fino all'estremo le proprie pulsioni più selvagge e istintuali: che si tratti di tradire la sua migliore amica Anna (o di testare i confini di quell'amicizia con un bacio rubato fra le lenzuola), di insinuarsi nell'idilliaco ménage dei suoi vicini di casa o, peggio ancora, di abbandonarsi all'ebbrezza di un desiderio 'scandaloso', attirando il proprio violentatore in una partita di seduzione a carte scoperte mentre architetta, passo dopo passo, la più spietata delle vendette. E noi siamo sempre lì, al fianco di Michèle, a parteggiare per lei con fervore incondizionato, semplicemente perché non possiamo fare altrimenti: non quando il gioco, che assuma tinte gialle, rosa o noir, è così sfrenato e divertente. E non quando a prestare volto, voce e palpiti a questa donna indimenticabile è la più brava attrice del mondo.