Nella selva di procedurali del network CBS dove la risoluzione del caso è prioritaria e gli episodi character-centric costituiscono una parte ridotta della stagione, ne spunta uno più antropocentrico dove le indagini sull'omicidio della settimana sono strumentali all'analisi dei personaggi. Elementary ha più in comune con il Dr House, scorbutica derivazione holmesiana e detective delle malattie misteriose, che con gli altri procedurali del panorama recente. Il suo protagonista, uno Sherlock Holmes migrato nella New York contemporanea, a sua volta ha poco a che spartire con l'omonimo letterario o con il cugino di BBC.
Creata dal Rob Doherty dei variamente mediocri Medium, Ringer e Tru Calling - qui evidentemente in stato di grazia - Elementary è un procedurale character-driven (oggi l'italiano non si presta) con protagonista un Holmes dei giorni nostri spettinato, tatuato da punk, ex drogato in post-riabilitazione, psicologicamente fragile e in fase di espiazione (pervenuto anche in questo caso l'oscuro segreto del passato causa di segreti rimorsi). Il londinese Sherlock se n'è venuto a New York senza riuscire a lasciare a casa un bagaglio psicologico ingombrante ottuso con l'eroina. Dopo la riabilitazione, il fantomatico padre ricco, assente e auspicabilmente prevaricatore, gli ha imposto la presenza di una guardiana a tempo pieno incaricata di raddrizzarlo e garantirne la sobrietà. La fortunata vincitrice della scomoda posizione è l'ex cardiochirurgo (ha lasciato scadere la licenza) in miniatura (è alta tre mele o poco più) Joan Watson, la quale ha appeso il bisturi dopo aver fatto secco un paziente. Anche lei danneggiata e mesta, dunque. I due convivono e condividono una relazione che sembra una rocambolesca passeggiata sulle uova: uno teme di ferire l'altro nel percorso che li conduce alla conoscenza reciproca, all'esplorazione vicendevole del passato destinato a riaprire cicatrici mai rimarginate. Questi due individui soggiogati dai sensi di colpa e in modalità redentiva vantano ottime capacità di osservazione e talento nelle indagini criminali. Sono affiatati, interessanti umanamente e professionalmente, non convenzionalmente belli e dotati di ironia: ottimo materiale per una serie da network, con un solo macroscopico difetto: si chiamano Holmes e Watson come i protagonisti dei gialli di Sir Arthur Conan Doyle. Il celebre scrittore britannico si inventò, alla fine del XIX secolo, numerose cacce all'assassino di un investigatore londinese consulente di Scotland Yard con spropositate capacità deduttive e un debole per il violino e la cocaina, e del suo partner, l'amico e medico Dr. Watson. Per godersi la serie, altrimenti rovinata da inopportuni paragoni con la fonte letteraria e con la superlativa cugina di BBC, basta insegnare al proprio cervello a sostituire i nomi dei protagonisti con altri di personale preferenza. "Holmes" e "Watson" diventano "Holly" e "Benji" (o come vi pare), ed Elementary si trasforma in una serie avvincente e gradevole affrancata da sterili esercizi di letteratura comparata. Solo ignorandone le pretestuose e opportunistiche analogie, la serie si può amare. Elementary è sopravvissuta all'affossamento preventivo e prevenuto ereditato dalla "geniale" trovata della dichiarata derivazione doyliana grazie a un'altra premessa, questa volta foriera di successo: la produzione ha azzeccato il casting del protagonista, vinto da Jonny Lee Miller. Il quarantenne inglese diventa un Sherlock Holmes dopo Benedict Cumberbatch, altro Sherlock Holmes (per BBC), collega con cui ha condiviso il palco del National Theatre interpretando il maestoso adattamento di Danny Boyle (da lui era già stato diretto in Trainspotting) del Frankenstein di Mary Shelley e scambiandosi, a serate alterne, il ruolo dello scienziato e quello del mostro. Due interpretazioni differenti degli stessi personaggi quelle proposte sul palco londinese - acclamato sia dai fruitori del teatro britannici che dagli spettatori italiani che ne hanno goduto la registrazione proiettata nei cinema Nexo Digital - un paragone che nel caso di Holmes non ha presupposti per la diversità del copione. Nel curriculum di Miller spiccano, oltre a Trainspotting, Hackers e Plunkett & MacLeane; in televisione è stato l'avvocato profeta di Eli Stone e il serial killer Jordan Chase di Dexter. Negli sciatti panni del detective di Elementary sfoggia l'interpretazione migliore - senz'altro la più efficace a livello empatico - della sua carriera recente. Affascinante, svanito, cauto, perseguitato, intelligentissimo, si distingue dai colleghi egomaniaci come Patrick Jane, John Luther o Dr. House per un'ipersensibilità esibita e per un'umanità da cui non prende le distanze. La sua partner, Watson, anche lei personalità decaduta dalla sfumata folgorante carriera, si accontenta di fare da balia all'imprevedibile rampollo inglese con il quale ci auguriamo resterà in rapporto platonico il più a lungo possibile. La dinamica della coppia sulla carta funziona, nonostante i momenti più stucchevoli della serie siano quelli in cui i due cercano di psicanalizzarsi a vicenda. Lui è un genio che non tratta la sua spalla come una scimmia ammaestrata e insieme costituiscono un duo in sintonia, peccato che la Joan di Lucy Liu non sia molto gradevole e la recitazione della sua interprete sia più inespressiva che mai.Ad Aidan Quinn spetta la parte del tollerante Capitano Gregson, capo della Omicidi di un dipartimento della polizia newyorkese (aveva praticamente lo stesso ruolo nel remake di Prime Suspect), che conosceva il protagonista dai fasti di Scotland Yard e lo assume come consulente nonostante ne conosca i trascorsi di tossicodipendente. I casi di questi primi episodi - omicidi di figli illegittimi, assassini di bambini seriali, manager vittime di morti sospette, angeli della morte - sono semplici ma dalla risoluzione godibile, raggiunta grazie al metodo empirico e alle tecniche investigative anticonformiste di Holmes. Per ora lo Sherlock di Elementary condivide con il cugino britannico solo una probabile Irene Adler nel cassetto, il difetto di dimenticarsi di mangiare quando è preso dalle proprie elucubrazioni e l'abitudine di sperimentare gli effetti delle morti violente sui cadaveri. Come accennato, basta ignorare l'eredità doyliana pretestuosa - è poco più di una trovata pubblicitaria - per apprezzare questo procedurale, che più che con Sherlock Holmes vanta parentele con il Dr. House, con cui condivide la produttrice e sceneggiatrice Liz Friedman. Riconducibile a lei l'atmosfera housiana del quinto episodio While You Were Sleeping - ambientato in un ospedale provvisto di serial killer che pratica l'eutanasia - con tanto di battuta sulle lesbiche (molto à la House).
Ricostruendo le curiose ispirazioni di Elementary, sembra evidente che sia proprio il medico vicodin-dipendente il più vicino per ispirazione. Dr. House traeva spunto dall'Holmes letterario, fonte in comune con lo Sherlock di BBC il quale, a sua volta, ha mutuato più di un dettaglio dal medical con Hugh Laurie. Il successo di Sherlock ha persuaso CBS a mettere in cantiere un procedural con la medesima fonte, Elementary, con la promessa fatta dal network ai produttori della miniserie inglese di tenersi lontani dal plagio. Il risultato è una serie indipendente sia dall'Holmes doyliano che da quello di Moffat & Gatiss, promettente e premiata con buoni ascolti (la CBS ha ordinato la stagione intera - che vedremo su Rai 2 dal 13 gennaio - e confermato la seconda), che invece condivide con il compaesano Dr. House - outsider stonato dagli stupefacenti, autodistruttivo e bisognoso di grilli parlanti - vari particolari. Compresa Lisa "Cuddy" Edelstein, guest del settimo episodio.