Da Apollo 13 a Cinderalla Man passando per A Beautiful Mind, Thirteen Lives e Rush - senza dimenticare documentari come Pavarotti e The Beatles: Eight Days a Week - il cinema di Ron Howard è da sempre interessato ad indagare la vita e le scelte degli esseri umani. Non fa eccezione il suo ultimo film, Eden, titolo di apertura del Torino Film Festival già presentato in anteprima a TIFF ispirato a due versioni dello stesso avvenimento. Una storia che ronzava nella mente del regista da circa quindici anni e che la pandemia ha convinto a realizzare visti i paralleli tra la nostra società e quella a cavallo tra gli anni Trenta e Quaranta. Economia al collasso, l'ascesa del nazifascismo e la necessità di cercare una via d'uscita.
Eden: due mondi a confronto
Sono questi gli elementi che hanno convinto il dottor Friedrich Ritter e sua moglie Dora Strauch - Jude Law e Vanessa Kirby - a lasciarsi alle spalle la Germania del 1929 per trasferirsi sull'isola di Floreana e abbandonare tutti i dogmi borghesi colpevoli, a loro avviso, di distruggere la natura autentica dell'umanità. Sull'isola Ritter inizia a scrivere lettere sulla sua esperienza e le sue idee che raggiungono i giornali più progressisti del vecchio continente convincendo la coppia tedesca composta da Heinz e Margaret Wittmer - Daniel Brühl e Sydney Sweeney - a seguire il suo esempio. Ma l'arrivo dei due non è accolto dai primi coloni con entusiasmo creando un'immediata frizione tra i quattro.
Quando sull'isola arriva anche la baronessa Eloise (Ana de Armas) con a seguito i suoi due tuttofare/amanti e l'obiettivo di costruire un hotel di lusso, la situazione diventa decisamente esplosiva. Un equilibrio fragilissimo, alleanze fugaci e il seme del dubbio continuamente instaurato l'uno all'orecchio dell'altro. Quell'isola disabitata diventa il teatro di una guerra combattuta a colpi di dispetti, furti, cattiverie e violenze. Un thriller di sopravvivenza - accentuato dalla colonna sonora di Hans Zimmer - in cui la sceneggiatura di Noah Pink mette in luce tutte le bassezze che siamo in grado di imporci e imporre al prossimo pur di ottenere ciò che desideriamo. Gli abitanti dell'isola sono un microcosmo che ne rappresenta uno molto più grande: il mondo. Le loro tensioni, la sopraffazione, il tentativo costante di togliere all'altro, le menzogne, la competizione scorretta, la manipolazione non sono comportamenti affatto sconosciuti all'uomo. E dimostrano come l'indole umana non sia poi così cambiata negli ultimi ottant'anni.
Attori in penombra e intreccio ripetitivo
Reduce dalle critiche negative ricevute per Hillbilly Elegy, Ron Howard risponde con un film dal taglio inedito per la sua filmografia. Gli stessi personaggi messi in scena dal regista si discostano di molto da quelli a cui ci ha abituato. Se, ad esempio, le intenzioni di Ritter sono nobili le sue azioni lo tradiscono. Il suo tentativo di salvare l'umanità inciampa nella sua stessa piccolezza. Più interessato a impedire agli altri di raggiungere i propri obiettivi che concentrarsi per realizzare i suoi.
Howard chiama all'appello un cast di grandi attori ma stupisce come Vanessa Kirby venga del tutto sprecata da una sceneggiatura che non le regala lo spazio sufficiente. Lo stesso Brühl rimane nella penombra. Paradossalmente tra i cinque quella che più di tutti riesce a spiccare è Sydney Sweeney che, dopo Immaculate, è protagonista di un'altra scena di parto cult.
Incomprensibilmente illuminato dalla fotografia desaturizzata di Mathias Herndl, Eden - il cui titolo allude al giardino paradisiaco che qui si trasforma in un inferno in terra - ha il grande problema di non riuscire a creare quel legame emotivo tra gli spettatori e i suoi personaggi finendo per risultare ripetitivo. E questo si traduce di uno scarso interesse per le loro sorti. Un problema non da poco dato che il film, accantonando le premesse iniziali di riflessione e parallelo tra passato e presente, sembra più interessato a concentrarsi sulle tensioni di vicinato.
Conclusioni
Ron Howard ha una predilezione per le storie vere e in Eden sceglie addirittura di raccontarne una unendo due punti di vista agli antipodi. Il risultato è un film molto diverso da quelli a cui ci ha abituato, specie nelle intenzioni dei personaggi. Una riflessione sulla natura umana improntata alla sopraffazione del prossimo. Un cast alla star non sempre valorizzato a dovere, un ottima colonna sonora firmata da Hans Zimmer e un legame spettatore/pubblico che fatica a sbocciare.
Perché ci piace
- La colonna sonora di Hans Zimmer che amplifica l'atmosfera thriller.
- Il parallelo tra gli anni Trenta e Quaranta e i giorni nostri.
- La prova di Sydney Sweeney.
Cosa non va
- Il poco spazio dato a Vanessa Kirby.
- Il legame emotivo tra spettatori e personaggi rischia di venire meno.
- La fotografia desaturizzata di Mathias Herndl.