E' ancora una volta gremita oltre ogni immaginazione la sala conferenze della Berlinale, che accoglie Clint Eastwood e il protagonista Ken Watanabe per l'incontro che segue la proiezione di Lettere da Iwo Jima, l'epos bellico che è valso a Eastwood e ai suoi collaboratori un altro poker di nomination all'Oscar.
Eastwood, lei è americano e ha vissuto la guerra dal punto di vista degli USA. Come ha fatto a liberarsi dei suoi valori per affrontare questa storia dal punto di vista dei giapponei?
Clint Eastwood: Ho cercato di mettermi nei panni di altre persone leggendo documenti e testimonianze. Quando lavori come attore per tanti anni sei capace di entrare nelle prospettive altrui. L'idea per qusto film è nata da una curiosità che si è generata mentre lavoravo a Flags of Our Fathers; mi è capitato di pensare ai difensori dell'isola, a come avevano vissuto a loro volta la battaglia. Abbiamo immaginato questo generale che scriveva lettere alla sua famiglia, non solo sulla guerra ma anche sulla sue esperienza di anni prima negli Stati Uniti. E diventato un personaggio interessante, e ne sono arrivati altri. Basta sapersi mettere nei panni di altre persone per scoprire nuove prospettive.
Qual è stata la sua esperienza con il cinema giapponese?
Clint Eastwood: Negli anni '50 vicino a dove vivevo a Los Angeles c'era un piccolo cinema che faceva solo cinema giapponese, così ho conosciuto, tra le altre cose, i capolavori di Akira Kurosawa. Come per molti altri, divenne immediatamente il mio standard. Più tardi ho avuto la fortuna di incontrare e di trascorrere un po' di tempo con Kurosawa, anche se non ho potuto lavorare con lui.
Come mai due film dedicati alla stessa battaglia?
Clint Eastwood: Come ho detto, durante le ricerche per il primo, Flags of our Fathers, divenni curioso nei confronti del punto di vista giapponese sulla vicenda. Una cosa ha portato all'altra. E mi sembrava giusto che un film dedicato a un'altra cultura fosse girato nella lingua di quella cultura.
Cosa normalmente la interessa in una storia, tanto da farne un film?
Clint Eastwood: Non saprei dire qualcosa di specifico, cerco sempre materiale che mi colpisce e mi ispira. Da attore sceglievo una storia che mi convinceva, e ora da regista è la stessa cosa: si tratta di una storia con cui dovrò convivere per anni, è bene che mi piaccia!
Ken Watanabe, in Giappone si sa poco di questa battaglia, penssa che questo film cambierà le cose?
Ken Watanabe: La gente in Giappone in effetti sa poco di questa battaglia, e questo film, che è piaciuto molto in Giappone, è stato una grande opportunità per riscoprire la storia.
Lettere da Iwo Jima e e Flags of Our Fathers vanno visti insieme?
Clint Eastwood: Un critico americano ha suggerito di farli vedere uno dopo l'altro, perché gli era capitato di vederli così e gli era piaciuto. Un mio amico ha suggerito di inframezzare le scene dell'uno con quelle dell'altro, ma io credo che li lascerò così come sono.
Cosa ha imparato dal dirigere un film in una lingua sconosciuta?
Clint Eastwood: Ho imparato qualcosa da ogni film che ho diretto, quando succederà il contrario sarà ora di smettere. Non credo che girare in una lingua straniera sia un problema, sai dire quando un attore esprime emozioni, percepisci quando funziona. La cultura giapponese mi ha sempre affascinato e mettermi in questa posizione è stato molto interessante, e poi avevo già lavorato in film in cui si parlavano diverse lingue, in Italia ad esempio. Ho raccontato la storia a modo mio senza imitare il cinema giapponese, perché non è nella mia mentalità. E' l'elemento umano che mi ha conquistato a questa storia. L'età media de soldati americani a Iwo Jima era di 19 anni, e quella dei giapponesi forse anche inferiore. La futilità della guerra, il dolore delle donne che perdono i loro figli e i loro uomini non ha nazionalità. La guerra ha gli stessi effetti in qualsiasi cultura.