Il vero incubo è che sono passati 30 anni, e in questo caso c'è poco da indagare perché è tutto terribilmente vero. Per Dylan magari è diverso, lui riesce a rimanere sempre uguale e fedele a se stesso, ma per me i 30 anni sono passati davvero e non posso certo nasconderli. Eppure anche solo ricordare le mie prime esperienze con Dylan Dog non mi riporta semplicemente indietro nel tempo, ma mi fa quasi ringiovanire: ripensare a quei primi albi, all'attesa di ogni nuovo numero, alla ricerca incessante e malsana delle prime edizioni, mi riporta indietro ad un tempo in cui il fumetto della Bonelli rappresentava uno dei tanti portali magici verso un modo incredibilmente affascinante, quello che poi sarebbe diventato il mio mondo. Quello del cinema.
Non ero in edicola quel 26 settembre del 1986 - avevo solo 9 anni a dirla tutta - ma il mio viaggio con Dylan cominciò comunque da quel primo numero dal titolo romeriano (L'alba dei morti viventi) quando lo recuperai pochi anni dopo in una collection speciale. Era la primavera del 1991 e, sebbene non fossi mai stato un grande appassionato di fumetti, fu in particolare un aspetto a colpirmi. E a catturarmi. A quel primo acquisto quasi casuale ne seguirono tanti altri, in parallelo: le ristampe per recuperare il tempo perduto e i nuovi albi da leggere con avidità e con fierezza. Con nessun altro fumetto di lunga durata avrei mai fatto lo stesso.
Dalle tavole allo schermo
Dove avevano sempre fallito i supereroi o i robot giganti era invece riuscito questo indagatore dell'incubo dal passato misterioso, ma soprattutto era riuscito Tiziano Sclavi (e con lui il suo team ovviamente) grazie al grande amore per il cinema che traspariva dalle sue storie. Una vera e propria rivelazione fu per esempio andare in edicola nel gennaio del 1992 e comprare l'albo numero 64, I segreti di Ramblyn, e ritrovare nelle sceneggiatura di Sclavi riferimenti a I segreti di Twin Peaks, lo show di David Lynch che era terminato qualche mese prima e che inspiegabilmente, dopo essere stato un vero e proprio fenomeno, tutti sembravano aver ben presto dimenticato. Tutti tranne il sottoscritto, e Sclavi apparentemente.
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Nei mesi successivi arrivarono tanti altri omaggi: Partita con la morte ispirato a Il settimo sigillo di Ingmar Bergman; L'uomo che visse due volte tanto a Hitchcock quanto a Pirandello; L'ultimo plenilunio e Un Lupo mannaro americano a Londra; Il lungo addio che richiamava Raymond Chandler e l'omonimo film di Robert Altman; L'ultimo uomo sulla Terra che prendeva spunto da Stephen King e Richard Matheson.
Così come, andando indietro, ovviamente si possono ritrovare Stanley Kubrick, William Friedkin, René Clair, James Cameron, David Cronenberg Martin Scorsese, Wes Craven, Tobe Hooper, Mario Bava, Bob Fosse, Michael Crichton e così via...
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E poi Groucho, l'assistente buffo ma leale, di cui nessuno, nemmeno Dylan, sa nulla se non che si crede un sosia del ben più "celebre" Groucho Marx. Il "celebre" va necessariamente messo tra virgolette perché in Italia ancora oggi se si parla di Groucho la maggior parte delle persone si riferisce appunto a quello "inventato" da Sclavi; ma per me, sempre grazie all'input del fumetto, divenne ben presto una delle più grandi passioni cinematografiche della mia adolescenza. O, meglio, della mia vita.
Leggere Dylan Dog fu insomma qualcosa di più che leggere un fumetto per divertimento o distrazione, divenne una scusa per amplificare una passione che era già presente, per "studiare" e segnarsi continuamente titoli e autori da recuperare e cercare. Ben presto la collezione degli albi divenne secondaria rispetto a quella delle VHS registrate o acquistate proprio grazie all'indagatore dell'incubo e fu così che dopo diversi anni il rito mensile dell'andare in edicola a chiedere il nuovo Dylan Dog divenne più abitudine che un vero e proprio piacere. E dopo qualche anno, lavoro, famiglia e tutto il resto presero il sopravvento perfino sull'abitudine, e la collezione di Dyland Dog si fermò. Ma non quella delle VHS, nel frattempo diventate dvd e poi blu-ray e poi download e streaming digitali.
L'incubo dei genitori, il sogno di un lettore
Ritornare oggi con la memoria al Dylan Dog di 30 o 25 anni fa, vuol dire ripensare ad uno dei tanti elementi che formarono la mia adolescenza e quella di tante altre persone. Vuol dire capire e riconoscere come nella vita a volte le cose che hanno più peso sono quelle considerate dall'esterno inutili, uno spreco di soldi e di tempo. Perché chiunque abbia letto un fumetto o giocato un videogioco si è sentito dire una cosa del genere, giusto?
Se ripenso agli anni '90 la prima cosa che mi viene in mente sono proprio quelle voci insistenti e quelle inevitabili ramanzine: come se leggere un Dylan Dog, guardare un film o utilizzare il PC fossero un qualcosa che bloccasse o ritardasse in qualche modo la nostra crescita.
E invece eccomi qui, 25 o 30 anni dopo, a celebrare e ringraziare il caro Dylan : lui sempre uguale, io più vecchio e più saggio proprio grazie al suo non cambiare mai. Lui a rincorrere i soliti mostri, io alle prese con incubi di tutt'altro genere. Quindi, caro Dylan, non te la prendere se le nostre strade si sono divise e se le tue avventure non riesco a leggerle più, stai pur certo che la collezione dell'epoca è ancora gelosamente conservata; e sappi che a breve passerà nelle mani dei miei figli, che presto saranno pronti a godersi le tue storie, ad assorbire i tuoi tanti e preziosi insegnamenti e a citare, spesso a sproposito, la tua espressione preferita. Che poi per un periodo è stata anche la mia: "Giuda ballerino se ne è passato di tempo!"