Due vite parallele, la recensione: un film troppo scolastico per restare impresso

La brava Elisa Zulueta è la protagonista di un melò femminile e femminista a tratti umoristico, che si incastra però in una struttura patinata e poco incisiva. Dirige Maite Alberdi, co-produce Pablo Larrain. Su Netflix.

Le protagoniste di Due vite parallele

Due vite parallele è un'opera a tratti interessante, nonostante un didascalismo pregnante, quasi invadente. Semplicistico nei toni e nei modi, si approccia per essere l'alternativa di rilevo in quel catalogo streaming puntualmente rimpinzato da titoli letteralmente usa-e-getta. Invece, dietro il film diretto dalla cilena Maite Alberdi (che ha ricevuto anche una candidatura all'Oscar per il suo documentario del 2020, The Mole Agent), c'è una sorta di profondità (al netto di un tratto cinematografico mai rilevante), dettato dalla forte passione disegnata sul set dall'autrice.

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Elisa Zulueta è Mercedes

Del resto, Due vita parallele, arrivato in streaming su Netflix, offre uno sguardo puntuale su una storia vera che ha in qualche modo segnato il percorso sociale e politico del Cile. Storia praticamente sconosciuta al di fuori del Sud America, e quindi di ipotetica attrattiva. Certo è, che questo non salva (o non salverebbe) il titolo della Alberdi da una certa mediocrità generale, e da una certa faciloneria narrativa.

Due vite parallele: una storia (quasi) vera

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Francisca Lewin ed Elisa Zulueta in Due vite parallele

Il film ci porta nel Cile del 1955, al centro di un fatto di cronaca che ha fatto storia: la scrittrice Maria Carolina Geel (Francisca Lewin), molto popolare, uccide il suo amante. Lo schema del delitto, però, è meno scontato di come appare. Giunta sul luogo dell'omicidio, l'introversa Mercedes (Elisa Zulueta), segretaria del giudice che segue il caso, capisce subito che dietro potrebbe esserci un'altra verità. O meglio, capisce quanto la situazione femminile dell'epoca (e non solo) sia lontana dall'essere accettabile. Questo la porta a rivedere non solo il caso della Geel, ma anche e soprattutto se stessa, nonché la figura della donna all'interno della società cilena. Sarà infatti la stanza d'albergo (il famoso Hotel Crillon a Santiago) di Geel, in parte protagonista onnisciente dalla sceneggiatura, a scoperchiare le nuove consapevolezze di Mercedes. Che, vi anticipiamo, è frutto dell'immaginazione, e pretesto per un discorso femminile e femminista dalle ampie vibrazioni.

Un film troppo scolastico

Pur ispirato ad un evento realmente accaduto, Due vite parallele, scelto dal Cile come film che rappresenterà il Paese agli Oscar 2025, è avvolta da una certa patina che, alla lunga, rende il tutto estremamente artificioso. I guizzi migliori, in questo frangente, arrivano dalla bravura di Elisa Zuleta, dolcissima e convincete in un ruolo per certi versi anche ispirante (con una chicca, la scena dell'auto-scatto che cita una famosa foto di Vivian Maier). Una donna comune che, in un'epoca complicata, subisce una fascinazione tale da seguire un'esempio di libertà ed emancipazione, diventando una sorta di punto di rottura.

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Versione Vivian Maier

Almeno, così vorrebbe Maite Alberdi, tra l'altro supportata dalla co-produzione di un certo Pablo Larrain. L'interesse, e la romanticizzazione generale (il film rielabora The Murderers di Alia Trabucco Zerán), si sfilaccia però dopo i primi giri, assorbendo il lato fiabesco di una storia teoricamente potentissima ma, ahinoi, banalizzata da una messa in scena non all'altezza delle protagoniste né, tantomeno, all'altezza della storia da cui prende spunto. Perché, come detto, a volte la passione da sola non basta (e in Due vite parallele di passione ce n'è, questo è indubbio) se non sapientemente sorretta da una struttura che sia il più possibile cinematografica. Invece, quello della Alberdi, risulta troppo leggero e troppo didattico per restare impresso, per poter dire la propria (figuriamoci per poter ambire ad un Oscar). Un mezzo peccato.

Conclusioni

Due vite parallele arriva su Netflix e ci fa conoscere una storia cilena ben poco dibattuta. Uno spunto interessante, com'è interessante l'approccio femminista e progressista di un titolo che, però, non ha la capacità di restare impresso. Nonostante la passione, e la voglia di edificare il racconto seguendo il canone di una favola, la patina e il didascalismo hanno la meglio, facendo perdere la giusta prospettiva.

Movieplayer.it
2.5/5
Voto medio
4.3/5

Perché ci piace

  • Elisa Zulueta è molto brava.
  • Mischiare storia vera a storia inventata...

Cosa non va

  • ... ma l'ibrido perde di mordente.
  • Una struttura cinematografica troppo patinata.
  • Didascalismo scolastico.