Negli ultimi anni la grande famiglia delle serie TV si è espansa in maniera esponenziale. Nonostante abbia dato l'addio a membri illustri come Sex and the city, Lost e 24, ha accolto calorosamente nuovi arrivati pronti a diversificare e arricchire la geografia televisiva. Così, accanto alle inossidabili Desperate Housewives - I segreti di Wisteria Lane, le numerose crime story (CSI: Scena del crimine, Criminal Minds,Dexter) e gli immancabili adolescenti inquieti (Gossip Girl, La vita segreta di una teenager americana) si è fatto largo il racconto fantasy, inedito ma non troppo, per un pubblico che, a quanto pare, ha riscoperto il gusto dell'avventura mitologica. A rafforzare un fenomeno capace di attraversare trasversalmente l'editoria, la produzione cinematografica e per ultimo anche il piccolo schermo è l'arrivo de La spada della verità (The Legend of the Seeker) che, grazie a un consenso ottenuto oltre oceano e a un palinsesto estivo ben disposto a nuove sperimentazioni, è salito agli onori della prima serata niente meno che su Rai Due. Prodotta da Sam Raimi in collaborazione con la ABC e ispirato all'omonima saga creata da Terry Goodkind, la prima stagione prende spunto da L'assedio delle tenebre/La profezia del Mago, capostipite degli undici volumi che in poco tempo hanno conquistato il favore degli appassionati tanto da diventare un must.
Al centro della narrazione il cammino e l'evoluzione di Richard Cypher, giovane taglialegna trasformato in eroe epico suo malgrado, cui si affianca Kahlan Amnell, Madre Depositaria e ultima superstite dell'ordine. Arrivata nelle Terre Centrali dopo aver forzato gli incantesimi che proteggono il confine dai territori Occidentali, Kahlan si mette alla ricerca di Zeddicus il Primo Mago, rimasto celato per molti anni dietro l'anonimato di un vecchio bizzarro. Lo scopo è rintracciare il Cercatore, cui affidare la custodia del Libro delle Ombre Importanti e l'unico in grado di contrastare il potere umano e soprannaturale del malvagio Darken Rahl. Come spesso accade nelle epopee mitologiche, al personaggio più ignaro e improbabile spetta il gravoso compito di sostenere il peso di un'eccezionalità cui è sostanzialmente impreparato e così, perfettamente in linea con la tradizione del genere, anche il giovane e inesperto cercatore si lascia condurre in un'avventura in cui mettere in gioco molto più dell'eterno scontro tra bene e male. In questo modo il suo destino prende origine direttamente da una tradizione a metà strada tra il racconto cavalleresco e la mitologia fantastica, eredità di una cultura britannica che sembra non aver mai rinnegato il potere suggestivo della magia. A dare un volto a Richard e Kahlan, nuova coppia nata dall'evoluzione dei druidi e delle sacerdotesse di Avalon, sono l'australiano Craig Horner (Blue Water High) e la statunitense Bridget Regan (Life). Probabilmente poco noti al grande pubblico, i due hanno riscosso immediatamente il favore di Raimi che, conquistato dall'intensità dei personaggi tratteggiati dalla penna di Goodkind, decide di lasciarsi conquistare ancora una volta da una lunga serialità dopo il successo di Xena Principessa guerriera coinvolgendo il fratello Ted come guest star nel ruolo di Sebastian, disegnatore di mappe incantate al servizio di volgari cacciatori di taglie. Una produzione ulteriormente caratterizzata attraverso l'utilizzo di ambientazioni neozelandesi dall'evidente ispirazione jacksoniana che, riportando in auge una sorta di nuova Terra di Mezzo, arricchiscono i 22 episodi della prima stagione andata in onda negli Stati Uniti nel 2008. Sufficientemente fedele al romanzo, il progetto è accolto dal pubblico con entusiasmo e curiosità tanto da tentare un secondo capitolo con cui osare una maggiore personalizzazione. Questa volta, lo storico regista di Spider-Man decide di acquisire autonomia narrativa e di prendere le distanze dal testo letterario. Da qui l'entrata in gioco di nuovi personaggi come Cara, spietata guerriera interpretata dall'ex modella Tabrett Bethell, cui si affianca la costruzione di situazioni inedite arricchite da una dose maggiore di action, sangue ed un accenno di sensualità che non fa mai male agli ascolti. Una formula, questa, che avrebbe potuto non mettere d'accordo i puristi della saga ma che ha dimostrato di avere una sua validità, visto soprattutto il consistente aumento di audience rispetto alle puntate d'esordio. Si sa, però, che il successo, soprattutto se non travolgente, può essere effimero e capriccioso tanto da trasformare un momento di soddisfazione in un fallimento inatteso. Nel caso specifico, a tradire le prospettive future del progetto non è la mancanza di affezione ma la decisione di produrre in syndication, ossia affidare la propria sopravvivenza a un mercato televisivo locale in assenza di un singolo network in grado di offrire un'esposizione nazionale. Così, nell'era degli stati d'animo condivisi è la stessa Regan ad annunciare suTwitter il suo sconforto per la chiusura della serie mentre il pubblico si ribella e prova a forzare la mano alla ABC con petizioni online. Decisamente diverso il destino che sembra attendere Game of Thrones, creatura fantasy uscita fuori dal cilindro magico della HBO il 17 aprile e che sarà trasmessa su Sky Cinema 1 dal mese di novembre 2011.Tratta dal primo dei romanzi che compongono le Cronache del ghiaccio e del fuoco di George R.R. Martin, la serie ha riscosso un'incredibile consenso di pubblico tanto da indurre immediatamente la rete a programmare la seconda stagione per la primavera del 2012. Ci troviamo di fronte ad un caso televisivo dall'eccezionale progettazione che, dopo aver conquistato la fiducia dell'autore a lungo sordo alle lusinghe cinematografiche per la difficoltà di riassumere una trama piuttosto complessa, sembra aver creato una nuova ossessione televisiva. Considerato come I Soprano del fantasy, Game of Thrones gestisce una sovrapposizione di avvenimenti e personaggi mettendo al centro della narrazione la saga famigliare di Eddard Stark, Lord di Grande Inverno, interpretato da Sean Bean già frequentatore del genere grazie al ruolo di Boromir ne Il Signore degli Anelli. Una vicenda personale, la sua, che s'intreccia pericolosamente e drammaticamente ai destini delle case Baratheon e Lannister in conflitto per aggiudicarsi il diritto di sedere sul Trono di Spade. Così, in un gioco di tradimenti e complotti di corte, si profila lungo le terre dei Sette Regni la definizione di un universo parallelo dai contorni indefiniti ma dall'interessante connotazione umana. E se il personaggio trainante fa sfoggio di una pulizia morale esemplare, altrettanto non si può dire per una moltitudine di comprimari impegnati nello svolgimento disonesto di un gioco altamente mortale. In questo caso, però, oltre ad un plot efficace sembra che a decretare il sucesso di pubblico sia stata un'acuta e accurata gestione produttiva. Dopo aver acquistato i diritti per l'adattamento nel 2007 e aver coinvolto l'autore nella realizzazione della sceneggiatura, la HBO ha iniziato le riprese tra Irlanda del Nord, Scozia, Malta e Marocco. Un vero e proprio mini tour europeo sostenuto successivamente da una campagna promozionale senza precedenti. Grazie a poster ufficiali, trailer esclusivi e a tagline d'effetto come "Quando partecipi al gioco del trono o vinci o muori", il progetto ha iniziato a far parlare di se molto prima della programmazione dell'episodio pilota. Una strategia di marketing che non ha lasciato proprio nulla al caso, tanto meno l'uscita in contemporanea del nuovo romanzo di George R.R.Martin, A Dance with Dragons, ed il lancio sul mercato di videogiochi ispirati alla serie come A Game of Thrones: Genesis e A Game of Thrones RPG. Visti i risultati ottenuti è il caso di dire che nell'eterna lotta tra luce e oscurità questa volta sembra trionfare l'interesse economico ma, messe da parte strategie di mercato, quali sono gli elementi che caratterizzato la nuova conferma dell'heroic fantasy? Astrazione temporale a parte, il genere ha la forza di condurre lo spettatore in un luogo narrativo costantemente a metà strada tra la ricostruzione di un passato medievale e il mistero di un luogo riconoscibile solo a sé stesso. In questa neverland, l'uomo liberato dal suo anonimato viene innalzato al ruolo di re guerriero, potente stregone o eroe dall'animo puro pronto a sacrificare se stesso nel nome di un'integrità e di un onore cavalleresco di cui, evidentemente, i moderni protagonisti televisivi sono sprovvisti. E in quest'universo parallelo diviso tra magia nera e magia bianca che non subisce troppo l'arrivo della cultura cristiana, sembra inserirsi perfettamente la leggenda arturiana che dal cinema passa alla televisione nella ricerca di nuove conferme. Il sogno di Camelot, regno fondato su uguaglianza e giustizia, ha suggestionato negli anni letteratura e cinematografia senza tralasciare una certa retorica politica. Inevitabile, dunque, che dopo i tentativi non certo brillanti degli anni sessanta (La spada di Re Artù, Arthur, re dei Britanni), il piccolo schermo sia tornato a interessarsi alla mitologia della tavola rotonda e dei suoi cavalieri con due serie d'origine inglese: Merlin e Camelot. Trasmesso dalla BBC One dal 2008 e poi acquistato da Italia 1, fin dal suo esordio Merlin si presenta chiaramente come un prodotto giovanile ispirato al concept di Smallville e costruito per attrarre una audience di teenager solitamente interessati a ben altre tematiche. Un compito affidato in modo particolare alla strana coppia formata da Colin Morgan, protagonista dell'adattamento teatrale Tutto su mia madre di Pedro Almodovar, e Bradley James, diplomato al Drama Centre di Londra, entrambi pronti a diventare i nuovi volti di riferimenti di un panorama artistico al servizio di Sua Maestà. Riconosciuto come un talento in ascesa il primo e con ex aspirazioni sportive il secondo, le due stelle della televisione britannica vestono rispettivamente i panni di un giovane stregone sotto copertura e di un principe viziato ancora ben lontano dal diventare un sovrano illuminato. Arguto e buffo il primo quanto regalmente avvenente il secondo, i ragazzi si prestano alla costruzione di un rapporto personale e al compimento di un viaggio evolutivo, piegando ai bisogni della produzione i capisaldi di una mitologia di cui hanno dimostrato di conoscere ogni segreto realizzando per la BBC il documentario The Real Merlin & Arthur.Dunque, nonostante il racconto arturiano ci consegni i ritratti di un potente druido e di un giovane inconsapevole del suo destino, Merlin sconvolge il cuore della narrazione trasformando i due protagonisti in coetanei, pronti ad affiancarsi nella realizzazione di un sogno. Così, mutando il mentore in amico e alleato, gli autori hanno costruito la serie su di una modernità che caratterizza linguaggio e stile. Una contemporaneità evidente soprattutto nella scelta di una Ginevra di colore (Angel Coulby) e di umili natali, perché nel democratico regno di Camelot non esiste diversità ma solo eccezionalità. Nonostante inaspettati stravolgimenti temporali e narrativi, l'esperimento si è dimostro vincente visto che in Inghilterra la terza stagione ha registrato un record di ascolti leggermente inferiore solo alla serie di punta Doctor Who e superiore all'eroico arciere di Nottingham Robin Hood. Alla luce di questi successi e all'evidente necessità da parte del pubblico di lasciarsi sedurre dal fascino degli immortali e mai desueti valori cavallereschi, la BBC ha confermato lo show, programmando il quarto capitolo per la stagione autunnale.
Con presupposti del tutto diversi nasce l'ambizioso Camelot, produzione irlandese/canadese andata in onda sul Channel 4 il primo aprile e in programma su Joi dal prossimo 11 settembre. Stando alle dichiarazioni degli sceneggiatori Michael Hirst (I Tudors - Scandali a corte) e Chris Chibnall (Law & Order: UK) ogni epoca necessita di una nuova versione dell'epopea arturiana, quindi ecco arrivare un progetto monumentale diviso in 11 puntate che, grazie ad una sofisticata manipolazione degli elementi drammaturgici e all'utilizzo di un Brit Pack di prima classe, sembra poter ambire ad una qualità cinematografica. Per l'occasione il fascinoso Joseph Fiennes, che la cronaca cinematografica ricorda soprattutto per aver prestato la sua vena romantica al bardo innamorato di Shakespeare in Love, si lascia alle spalle il deludente FlashForward per vestire i misteriosi panni di Merlino, guida suprema che, senza trucchi da fattucchiere, si fa carico di una vasta conoscenza dell'animo umano e dei suoi segreti per forgiare l'unica roccaforte in grado di affrontare le forze devastanti di un potere malvagio. Visionario e veggente, il sogno di Camelot è la preziosa creatura e la fragile speranza che ha sentito affiorare nella mente tanto da impegnarsi nella creazione di un sovrano dalle epiche proporzioni morali. Però, nonostante le sue illimitate capacità, lo stregone sceglie di utilizzare esclusivamente l'arguzia machiavellica e la forza della suggestione, inducendo il popolo e lo stesso recalcitrante condottiero a credere ciecamente nel destino soprannaturale di un mondo nuovo. In questo modo la narrazione, fondata principalmente su testi come Le Morte d'Arthur di sir Thomas Malory, si riappropria della natura originale del mito obbligando il giovane Jamie Campbell Bower, già conosciuto dal pubblico per la sua interpretazione di Anthony Hope in Sweeney Todd - Il diabolico barbiere di Fleet Street e di Caius in The Twilight Saga: New Moon, ad accettare le incongruenze di un ragazzo che, prima di diventare re, deve scoprire come trasformarsi in uomo. Occhi azzurri e lineamenti delicati, il ventitreenne attore e musicista inglese, suona con una band chiamata The Darling Buds, sembra avere un physique du rôle più adatto all'attività di modello che a rappresentare la mascolinità guerriera del mondo medievale, ma è proprio la delicatezza estetica che Chibnall e Hirst utilizzano come elemento antropologico per disegnare il profilo dell'eroe diviso tra lo splendore delle divinità e le piccolezze dell'animo umano. Per questo motivo tradimenti, dubbi e amori illeciti non disertano una narrazione in cui il dramma, abbandonando gli elementi più aulici della leggenda, diventa finalmente adulto grazie alle ambizioni politiche e sessuali di cui sono affetti i suoi protagonisti senza nessuna eccezione per l'oscura Morgana, interpretata da una seducente Eva Green (prossimamente in Perfect Sense accanto a Ewan McGregor), e una Ginevra che, nonostante i buoni propositi di Tamsin Egerton, non è al di sopra di ogni sospetto. Una scelta artistica e interpretativa che ha dato le sue soddisfazioni anche se non ha salvaguardato il progetto da una fine precoce quanto incomprensibile. Nonostante l'attenzione del pubblico televisivo e del web, gli studios di Dublino sembrano essersi definitivamente chiusi per Artù e i suoi cavalieri. Una decisione annunciata dalla Starz non per motivi di audience ma per un'improvvisa indisponibilità del cast che, così facendo, ha reso questa Camelot sicuramente meno epica dell'originale.