Finale: End of an Era
Addio House. Facile ripetere "è solo una serie", non lo è. Ridurre la sua rilevanza a cifre - il telefilm è nel Guinness dei primati per essere il più seguito al mondo con più di 80 milioni di spettatori in 66 Paesi - o a un elenco di premi - una quarantina tra Golden Globe, Emmy e vari - o a una quantificabile eredità artistica - Dr House ha riscritto la serialità contemporanea - sminuisce il suo potere di annidarsi nei cuori dei telespettatori. Con estremo disappunto del razionale medico, i sentimenti hanno il sopravvento, e la finale di serie che ieri notte ha chiuso otto anni di appuntamenti con l'irritabile diagnosta, creatura molesta e distruttiva che cura i corpi e devasta le menti, mette fine a una relazione tra House e i suoi interlocutori durata quasi un decennio. Molto più doloroso sarebbe stato il commiato se lo show non avesse incontrato una conclusione come quella presentata ieri; alcuni diffidavano del risultato, tutto in mano al creatore della serie David Shore, reo di aver virtualmente lasciato per anni il suo affascinante alter ego in balia di produttori esecutivi scellerati come la shipper Katie Jacobs o l'invasato Greg Yaitanes. Tuttavia, con l'ultimo episodio, scritto e diretto dall'ex sceneggiatore di Due South, David è riuscito a donare a un pubblico in pena un addio quasi radioso dove concede al suo protagonista un privilegio raro: fare tabula rasa. Everybody Dies - la 22esima puntata dell'ottava stagione, la 177esima della serie di Fox USA attualmente in onda su Canale 5 ogni martedì - ribadisce e al contempo nega il credo più profondo dello sceneggiatore: nessuno cambia. Hugh Laurie desiderava per il suo personaggio un finale di morte, infelicità e solitudine, e così è stato: ostacolato dalla Legge che lo rivuole dietro le sbarre proprio negli ultimi mesi di vita dell'amico, punito per l'ennesima volta per la sua arroganza, il diagnosta medita il suicidio. Wilson è sempre stato la sua coscienza su memoria esterna e House da solo è incapace di gestire responsabilità e senso di colpa. In suo soccorso, mentre aspetta di annientare il corpo odiato tra le fiamme in un edificio che è anche gabbia della sua psiche, le manifestazioni del suo spirito in tumulto in forma di conoscenze del passato. Kutner, Amber, Stacy e Cameron sono stralci di una coscienza embrionale emersi dal suo fisico sofferente in lotta per la sopravvivenza, lì per persuadere House sul suo destino di morte o di salvezza. Perché vivere se l'esistenza ci riserva solo dolore? Eppure c'è di peggio della morte, c'è l'eterno nulla. Non esiste niente di più noioso, e House teme il tedio sopra tutto. Un Kutner faulkneriano cerca di far capire all'anima stremata del dottore che il dolore è meglio del niente assoluto; Amber cerca di ricordargli che il motore della sua esistenza è la risoluzione del puzzle, la scoperta della verità; Stacy gli rivela che nella suo assoluto ateismo qualcosa in cui crede c'è, ed è l'amore, e Cameron gli sussurra che è lì per aiutarlo a lasciarsi andare, a smettere di soffrire, ma la sua è la resa di un vigliacco. House non può cambiare, ci ha provato e ogni volta è stato risucchiato dal vortice del contrappasso. Dice Shore che la punizione per i misfatti di House in cerca di redenzione è sempre in agguato: è questo, secondo lui "il messaggio più forte della serie: pensa un po' di più a ciò che fai perché la reazione finirà automaticamente per fregarti". Neanche a House è concesso cambiare, ma se cessa di esistere, sarà libero di essere chi vuole.
È un finale meraviglioso che permette uno scambio di ruoli, grazie al quale può essere finalmente House a prendersi cura di Wilson. L'epilogo è preceduto da un funerale dai toni apologetici e vagamente patetici: il dottore impiccione non ha rovinato la vita di tutti quelli lo hanno frequentato, piuttosto il contrario. La sua dipartita è seguita dal ristabilirsi dello status quo con i membri del team originale di diagnostica a sostituire la trinità House-Cuddy-Wilson: Foreman direttore dell'ospedale dopo Cuddy, Cameron simbolo di umanità al posto di Wilson, Chase responsabile di diagnostica come il fu House. L'australiano è l'unico erede possibile dell'ex capo con la sua anima piena di ombre, il suo animo inquieto e ambiguo. Cocciuto e dalla moralità tormentata, è anche l'unico che ha azzeccato la risoluzione di qualche caso oltre a House. A questo addio corale manca Cuddy (curiosamente la sua interprete Lisa Edelstein è nata proprio il giorno della finale di serie, il 21 maggio), la sua assenza è quasi oscena e pesa sulla produzione senza attenuanti (per questo la presenza di Stacy/Sela Ward in veste di surrogato irrita ancora di più). Manca come la speranza che aveva abbandonato House; per fortuna, nella rinascita, una speranza c'è.
House è sempre stata graziata da ottimo ascolti, e questo le ha concesso longevità tale da abituare un vasto pubblico ad apprezzare un personaggio televisivo sfrontato, fallibile e sardonico, patrigno di una lunga lista di protagonisti telefilmici individualisti, intelligentissimi e dall'indole distruttiva.
House è una serie fondamentale ma non priva di difetti: lo show vanta due stagioni iniziali senza pari ma annovera episodi inqualificabili tra la seconda metà della terza stagione (coincidenti con la conclusione dell'arco di Tritter) e l'inizio della quarta (sviluppata intorno alle candidature dei sostituti di Chase e Cameron). In alcune puntate House era così out of character da fregarsene della risoluzione dei casi e lasciare crepare qualche paziente. La deriva shipper (lo spirito di Cupido che infervora i fan) è un altro punto dolente che contempla la trasformazione dell'arruffato e invalido House in impossibile scapolo d'oro ambito da bellissime donne di successo e giovani idealiste come Cuddy e Cameron. Con chi si metterà House? diventa il ritornello ossessivo di una frangia di fan disposta a mollare la serie se il medico non si accoppierà con la candidata favorita. Arduo indirizzare altre critiche alla serie, che si è retta leggiadra in equilibrio per otto anni tra dramma e ironia. Una serie come House con un protagonista così ingombrante da saturare ogni scena riesce, tuttavia, a lasciare spazio a comprimari memorabili. La madre amante di House, Cuddy, l'amico guardiano Wilson, mai semplici archetipi o personaggi meramente funzionali, hanno acquisito personalità a tutto tondo sempre più stratificate, mentre neanche una vota è stato concesso ai tantissimi pazienti passati sotto i ferri del team di diagnostica un ritorno, una menzione o una permanenza superiore all'arco di una puntata. In House tutto gira attorno al personaggio del medico, sole eclissato del microcosmo del PPTH, calamita che attira verso di sé tutto e tutti anche quando vorrebbe respingerli, dio ateo e scontento che nel suo piccolo Olimpo soffre come soffrono i comuni mortali e molto di più. È il caso di ribadirlo, senza un interprete stratosferico come Hugh Laurie House non sarebbe durato in TV due puntate: il comico della televisione britannica che ha sempre diviso la scena con l'appariscente Stephen Fry è anch'egli una divinità - nel campo della recitazione. Laurie ha sofferto per quasi un decennio con il suo personaggio zoppo e vicodin-dipendente, incupito, prostrato ma capace di far riverberare il personaggio di mille sfumature. House assorbe la luce con la sua oscurità interiore, ma dal suo intimo, una bagliore traspare in rare confessioni e frequenti assoli di pianoforte: il talento musicale del dottore, pianista soave, è un valore aggiunto offerto dal suo interprete, per il quale la musica è mezzo eletto che innalza lo spirito dell'acciaccato antieroe e del suo pubblico. Holmes & House (encore). On the Side of the Angels
Critici pigroni hanno campato su ritrite analogie tra i personaggi di House e Wilson e quelli di Holmes e il suo partner di indagini Watson per anni, ripetendo qualche similitudine evidente delle prime stagioni senza sforzarsi ulteriormente. Intento dichiarato, quello di Shore, di rifarsi al detective inglese dando vita a un personaggio disincantato e ossessionato dalla verità, seguace della razionalità e della scienza, perseguitato dalla noia, sballato e geniale. Come Holmes, anche House ha bisogno di casi da risolvere, abita al 221B e ha in Wilson il Watson della situazione. A incuriosire è l'influenza che House ha avuto, a sua volta, sugli Holmes nati dopo di lui su piccolo e grande schermo. Lo Sherlock Holmes di Guy Ritchie e lo Sherlock di Moffat & Gatiss, nello specifico, devono qualcosa all'alter ego di Shore. Nel film di Ritchie la noia atavica che fa ribollire il sangue di Sherlock, l'uso ricreativo delle droghe, un inesistente rispetto per i diritti degli animali e soprattutto la dinamica relazionale con Watson, che riempie di dispetti cercando di sabotarne i rapporti sentimentali, si rifà molto al predecessore americano. Anche Steven Moffat ha rivolto la sua attenzione al medico del PPTH quando ha scritto a quattro mani con Mark Gatiss le avventure contemporanee dell'eroe doyliano. Uno Sherlock (interpretato dal figlio finzionale di Laurie in Fortysomething, Benedict Cumberbatch) insofferente, megalomane, socialmente ritardato, atterrito dalla noia e disposto a tutto per allontanarne lo spettro, che crede solo nella verità, con un unico amico a fargli da coscienza e ricordargli di essere umano, somiglia parecchio al personaggio di Laurie. Nella seconda stagione della serie BBC viene puntualizzato che Sherlock è un individuo così difficile e distruttivo che le poche persone che lo circondano devono fargli da guardiani, consapevoli della fragilità di una personalità implosiva bisognosa di continue attenzioni. Gli incontri di Mycroft e John che si confrontano su come gestire gli stati d'animo di Sherlock e i complotti amorevoli dell'ex soldato e della signora Hudson ricordano quelli di Cuddy, Wilson e Foreman per proteggere House dal mondo e da se stesso. E ancora, il finale della seconda stagione di Sherlock - in onda a settembre su Joi - e dell'ottava di House si inseguono l'un l'altro quando i protagonisti eponimi inscenano il proprio suicidio - un suicidio che sussurra al loro intimo - in nome dell'amicizia. Il gesto, perpetrato sotto gli occhi increduli di Watson e Wilson, si rivela una montatura e cela un enorme sacrificio. Due giorni prima della series finale Laurie, nell'intervista al New York Times, afferma: "House is on the side of the angels, but that doesn't mean he has to be an angel. He most definitely isn't." ("House è dalla parte dei degli angeli (dei buoni), ma non vuol dire che sia uno di loro. Non lo è di certo".); qualche mese prima Sherlock sibila a Moriarty: "I may be on the side of the angels, but don't think for one second that I am one of them." ("Posso pur essere dalla parte degli angeli (dei buoni), ma non credere per un secondo che sia uno di loro".). Né House né Sherlock credono in Dio, ma credono nell'amore, non sono buoni ma amano persone buone e questo ne fa i loro ferventi campioni. Quale aspetto più contraddittorio e commovente potevano avere in comune questi due egomaniaci? Ad amare loro ci pensiamo noi.