Se ci guardiamo alle spalle e ripensiamo al mese di febbraio del 2020, sono due le cose che ci tornano in mente: l'esplosione della pandemia di Covid-19 e la grande conferma dei fratelli D'Innocenzo con il loro Favolacce, visto e amato al Festival del Cinema di Berlino, dove già avevamo avuto il primo contatto con questi giovani autori e il loro La terra dell'abbastanza. Se del primo ricordo faremmo volentieri a meno, è indubbio che la visione del secondo film di Fabio e Damiano D'Innocenzo sia di quelle che restano, che segnano la nostra passione e consapevolezza cinefila. Perché è in quel periodo, a febbraio del 2020, che ci siamo convinti di aver trovato una nuova, importante voce del cinema del nostro paese.
A quattro anni da allora, di nuovo in ambito Festival di Berlino, arriva un nuovo titolo firmato dai due giovani autori, questa volta in una forma diversa e seriale, lo Sky Original di cui vi parliamo in questa recensione di Dostoevskij che incontrerà per la prima volta il suo pubblico nelle sale, diviso in due corposi volumi distribuiti da Vision Distribution. Un racconto che conferma quanto di buono abbiamo pensato sin da La terra dell'abbastanza, passando per Favolacce e anche per America Latina, che avevamo apprezzato anche se aveva diviso la critica nostrana. Dostoevskij segue la linea tracciata da quei progetti, li sviluppa, li porta in avanti e forse all'estremo, ma non smette mai di bisbigliarci con sottile prepotenza quello che sappiamo da quattro anni: che i Fratelli D'Innocenzo sono una realtà solida e potente della nostra cinematografia.
La trama di Dostoevskij e l'ossessione del protagonista
La serie ideata e scritta dai fratelli D'Innocenzo racconta un'ossessione, quella del poliziotto Enzo Vitello per il personaggio del titolo, quel Dostoevskij con cui viene soprannominato un serial killer riconoscibile per una peculiarità: la sua firma è lasciare accanto al corpo delle sue vittime una lettera che trasmette la sua visione del mondo, desolante quanto cristallina, e quell'oscurità di cui è ammantata, in cui Vitello non può fare a meno di riconoscersi. La serie Sky Original è la storia della caccia a questo suggestivo killer, ma è anche il percorso intimo di Vitello e del cammino nella sua personale oscurità, di un'esistenza che si trascina fuori da un buio passato e che riecheggia della desolazione dei luoghi e degli ambienti in cui si muove.
I personaggi tra oscurità e vuoto interiore
Perfetto Filippo Timi per dar corpo e anima a Enzo Vitello, nel guidarci nella costruzione emotiva messa in piedi da Fabio e Damiano D'Innocenzo per il suo personaggio. Il suo Vitello è una figura tormentata nei cui occhi vediamo tutto il dolore nascosto nel suo passato, nei cui silenzi si riflette l'andamento rarefatto di Dostoevskij. Non è infatti una serie facile quella scritta dai due giovani autori, ma è una serie che affascina con il dramma e l'inquietudine che trasuda dalla fotografia spenta, che si respira in ogni scena, da ogni inquadratura, da ogni fotogramma. Ce la fa vivere Timi/Vitello, ma si sintonizzano sulle sue stesse frequenze emotive anche Carlotta Gamba che interpreta sua figlia Ambra, così come Federico Vanni, Gabriel Montesi e gli altri attori che ruotano attorno al protagonista per raccontare, per dirla con le parole dei D'Innocenzo, "le estreme conseguenze dell'essere vivi", per un lavoro di casting impeccabile nel trovare i volti giusti per incarnare l'idea di storia che avevano in mente gli autori.
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Nel non-luogo della desolazione
E vivi, o non-vivi, lo sono i personaggi in un non-luogo che attinge a diverse località del Lazio per creare un ambiente fuori dal tempo e lo spazio, un limbo in cui le esistenze dei personaggi di Dostoevskij restano sospese all'inseguimento del caso del serial killer del titolo, unico appiglio di Vitello per restare aggrappato alla vita. Il lavoro sull'ambientazione è pari a quello sul casting, con un location scouting suggestivo e affascinante, che tratteggia un mondo che non esiste ma in cui tutti riusciamo a riconoscerci. Un ambiente in cui ci muoviamo con lo stesso passo opprimente delle figure tratteggiate dai D'Innocenzo, come spettri che si trascinano lungo un'esistenza dolorosa, alla ricerca di un senso, un significato, una risoluzione. Non è una serie facile Dostoevskij, non lo è per ritmo, tono e temi. Non vuole esserlo e non ha bisogno di esserlo. Perché è nella difficoltà, nell'attraversare il tortuoso tormento, che si può arrivare alle risposte che la vita ci nega.
Conclusioni
Chiudiamo la recensione di Dostoevskij e finalmente respiriamo, così come abbiamo inalato un profondo e liberatorio respiro al termine delle quasi cinque ore di visione che tengono con il fiato sospeso. Vi abbiamo parlato di una serie non facile, ma anche di una produzione originale, suggestiva e di grande impatto emotivo. Travolge il Dostoevskij dei fratelli D’Innocenzo grazie al tono generale, al lavoro sugli ambienti e sui volti dei protagonisti. Perfetta la ricerca delle location, ottimo quello sui personaggi a cominciare da un intenso e sofferto Filippo Timi che riesce a incarnare l’idea di personaggio scritta da Fabio e Damiano D’Innocenzo.
Perché ci piace
- L’idea suggestiva di killer che rappresenta Dostoevskij.
- Filippo Timo con i suoi Enzo Vitello, fulcro di un ottimo casting nei volti e nelle emozioni.
- Il lavoro sulle location, per costruire un non-luogo in cui tutti riusciamo a riconoscerci.
- Ritmo, tono e temi che rendono Dostoevskij qualcosa di unico nel panorama seriale…
Cosa non va
- … ma proprio per questo non la rendono una serie adatta a tutti.