All'uscita dalla visione di Dostoevskij, Sky Original diviso in due parti, che arrivano in sala solo dall'11 al 17 luglio, eravamo come disorientati. Sicuri di aver visto qualcosa di forte, potente, ma anche molto sgradevole, respingente. Una scelta voluta, non soltanto nei temi e nella scrittura, ma anche nella selezione dei luoghi, delle facce, dei costumi. I fratelli D'Innocenzo ci hanno ormai abituato alla loro volontà di dare sempre un punto di vista laterale sulle cose, spesso spiazzante. Ma qui si sono superati.
La trama di Dostoevskij, su carta, è quella di un classico thriller poliziesco: Enzo Vitello (Filippo Timi) è al comando di una squadra sulle tracce di un serial killer, soprannominato Dostoevskij, che, come firma, lascia accanto al corpo delle vittime delle lunghe lettere. L'opera dei D'Innocenzo diventa però presto l'ennesimo modo per raccontarsi ed elaborare la propria visione del mondo. Con due caratteristiche distintive: l'assoluta libertà e l'incoscienza di presentare al pubblico anche personaggi e situazioni quasi "schifosi".
Come abbiamo sentito dire a una persona uscita dalla proiezione con noi, il cui primo commento è stato: "Fanno tutti schifo, ma la ragazza mi fa schifo più di tutti. Hai visto come mangiava i bomboloni?!". La ragazza in questione sarebbe il personaggio di Carlotta Gamba, che interpreta Ambra, la figlia del protagonista con problemi di tossicodipendenza. In modo un po' provocatorio, abbiamo aperto la nostra intervista con i registi proprio chiedendo se "fare schifo" sia importante per loro e perché il modo di mangiare i bomboloni in modo scomposto - in una serie in cui succedono cose davvero tremende poi! - sia in grado di generare questo rifiuto violento, soprattutto se a farlo è un personaggio femminile. Portare sullo schermo personaggi, e in particolare personaggi femminili, "schifosi" è ancora un tabù?
Dostoevskij: intervista ai fratelli D'Innocenzo
Risponde prima Fabio D'Innocenzo: "C'è un tabù perché siamo sciocchi: lo dico includendo anche me stesso. Siamo sciocchi e tendiamo a nobilitare il femminile, caricandolo di archetipi ormai stantii e puerili. I bomboloni sono importanti e ognuno è libero di mangiarli come vuole".
Poi Damiano D'Innocenzo: "Crediamo che le cose che sono sgradevoli, che sono livide, conservino una sincerità maggiore delle cose dolci, profumate, che funzionano. Voglio più bene alle cose che non ce l'hanno fatta".
Dostoevskij: come nasce l'idea della serie
Questa è la prima serie dei fratelli D'Innocenzo. Un mezzo che ha permesso loro di raccontare una storia in più tempo, più a fondo. E con più libertà: forse la maggiore libertà che abbiano mai avuto. A un certo punto un personaggio dice la frase: "I corpi non sono mai così liberi come quando bruciano". Anche loro hanno bruciato una parte di sé per fare Dostoevskij? Fabio: "È un progetto che volevamo fare. Forse non in questa fase della nostra vita. Ma abbiamo detto: ok, immoliamoci. Per restare in tema: Sky penso voglia darci fuoco per quello che abbiamo fatto! Ovviamente sono molto felici, sono grandi sostenitori e ci hanno fatto un regalo, insieme a Vision Distribution, di portare Dostoevskij al cinema. Credo che un cinema che non ferisca chi lo partorisce sia un cinema assolutamente innocuo. Quindi il dolore noi non lo sublimiamo: è una nostra scelta. Noi cerchiamo di essere vivi e in questo essere vivi siamo sanguinanti. Citando un grande scrittore: siamo feriti a morte".
La città dei figli sbagliati
In Dostoevskij a un certo punto si parla della "città dei figli sbagliati". Per scoprire cos'è dovete vedere la serie, ma possiamo dire che questo luogo fantomatico è presente in ogni film dei D'Innocenzo. Una città che mano mano si espande e prende forma. Chi sono questi figli sbagliati? Damiano: "Noi siamo i sindaci di questa città dei figli sbagliati! Siamo i figli più sbagliati di tutti, quelli che hanno detto: qui si può abitare. È la nostra ossessione: essere sbagliati ed essere figli. Entrambe le cose unite sono l'oggetto delle nostre ricerche, che facciamo ormai da sei anni, per capire qualcosa di più. E non per rimarginare il dolore, bensì per accarezzarlo tutti i giorni, come se fosse un cane".
I bambini nei film dei fratelli D'Innocenzo
Una delle costanti della filmografia dei fratelli D'Innocenzo è il tema dell'infanzia e dei bambini. In particolare, in forme diverse, vediamo che nelle loro storie c'è sempre qualcuno che guarda in modo morboso i bambini. Perché questo li colpisce così tanto? Fabio: "C'è la necessità, quantomai ora, di proteggere quella parte di vita che è più significativa: quella dell'infanzia e della fanciullezza, che deve mantenere, giustamente, un tono divertito, lieve, sognante, timido, pudico. Sono caratteristiche che vedo sempre meno. Vedo sempre più la necessità di bruciare le tappe per inseguire già l'età adulta. Certe esperienze c'è tutto il tempo per farle. Credo che, da questo punto di vista, nel secolo scorso si vivesse meglio e che ci fosse una distribuzione del tempo tale che le fasi della vita fossero veramente assaporate in pieno. Le infanzie sbagliate producono gli errori che poi calpestiamo giornalmente. E calpestiamo le persone che le hanno prodotte. Quindi servirebbe una tutela maggiore, che non è necessariamente l'educazione che uno pensa di dare, ma l'educazione che uno riceve semplicemente vivendo in un paese come l'Italia".
La cantina dei fratelli D'Innocenzo
Un'altra costante è la cantina. È un luogo che torna in tutte le storie dei D'Innocenzo. In Dostoevskij un personaggio dice: "Chiunque va a pulire una cantina ne esce sporco". Quanto è importante per i registi e sceneggiatori andare a pulire questa metaforica cantina? Lo sporco che ne esce cos'è per loro? Damiano: "Non è un vanto, perché altrimenti vorrebbe dire che è dentro una comfort zone. È un segreto. Ed è bellissimo nascondere segreti nelle storie. Anche perché - vivaddio! - le nostre, non essendo mai storie autobiografiche, ci permettono di spargere qualcosa di noi in tutti i racconti. Qualcosa che io non ho capito di Fabio, qualcosa che io non ho capito di me stesso, qualcosa che Fabio non ha capito di mamma. È bella questa roba qui. Però ti assicuro che non è mai una compiacenza. Anzi, è il contrario: è un andare a svelare i fantasmi. Sono fantasmi che ci faranno soffrire, ma vanno svegliati".
Chi scrive le lettere di Doestoevskij?
Non vi riveleremo chi è serial kiler, ma a scrivere materialmente le lettere sono stati, ovviamente, sempre i fratelli D'Innocenzo. Come hanno trovato lo stile di scrittura? Come è cambiato con la definizione del personaggio? Damiano: "Quella delle lettere è una voce che ci è subito giunta come precisa. Siamo grandi divoratori di lettere e di scambi epistolari. Ricordo i diari di Guido Morselli, quelli di John Fante, che si scambiava con la madre. Kafka. Io e Fabio siamo grandi scrittori di mail: ci piace tantissimo conoscere le persone attraverso la forma epistolare, chiaramente moderna. Non ho mai messo un francobollo in vita mia, anche perché è molto dispendioso! Però quella voce lì, la voce di Dostoevskij, è giunta in maniera immediata. Quasi immeritatamente immediata. È arrivata. Quelli sono doni che, quando capitano, diventano il fortino del racconto".
Ci sarà una seconda stagione di Dostoevskij?
Senza fare spoiler, diciamo che, visto il finale di Dostoevskij, si potrebbe continuare a raccontare questa storia. Ma la vera domanda è: ai D'Innocenzo piacerebbe fare una seconda stagione di Dostoevskij? Fabio: "Assolutamente sì. Ci sono tante cose che abbiamo messo sul tavolo. Chi vedrà il film per intero capirà che c'è proprio un trampolino che quasi chiede di fare un tuffo verso il prosieguo della storia. Non so se lo faremo adesso. Non so se lo faremo mai. Non è necessariamente qualcosa che dipende esclusivamente da noi. Però è un mondo che ci è piaciuto abitare, un mondo che secondo me è promettente e ha ancora qualcosa di inesplorato. Di sicuro, casomai dovessimo fare una seconda stagione di Dostoevskij, la faremmo esclusivamente se il tono potesse cambiare radicalmente. Quindi una nuova prima stagione".