Doppio passo, la recensione: un bel film sull'impreparazione alla vita

La recensione di Doppio passo: il calcio è una metafora perfetta per raccontare la vita al cinema, tra impreparazione, ossessioni e sbagli. L'esordio alla regia di Lorenzo Borghini funziona, anche grazie alle interpretazioni di Giulio Beranek e di Giordano De Plano.

Doppio passo, la recensione: un bel film sull'impreparazione alla vita

Il calcio che spiega la vita, in campo e al cinema. Stilemi precisi, retorica, epica, emozioni forti. Attenzione, però, qui c'è ben altra intuizione, e per l'enfasi non c'è spazio. Doppio passo, notevole esordio alla regia di Lorenzo Borghini (dopo diversi documentari), non è infatti uno sport movie da intendere seguendo il classico filo logico, bensì è una disamina lucida su quanto il pensiero umano sia oggetto sfuggente e precario, insoluto nella sua dimensione e volubile nella sua conseguente alterazione. Perché qui, in una storia di provincia, come spesso accade, il calcio è un pretesto, è l'ossessione, è la maledizione che attanaglia i volti e le parole, che si fanno indistinguibili in una bocca ormai secca. Il calcio tira le fila del discorso, ma poi l'attenzione della sceneggiatura si dirige verso un territorio nero, nerissimo. E l'ansia sale, quasi alle stelle. Altro che calci di rigore.

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Doppio passo: una sequenza

Resta però, come detto, l'umanità ammaccata fotografata con austero ma ricercato sguardo, e restano i cocci di un'esistenza andata in pezzi senza poter far nulla. Perché dietro il rettangolo di gioco, ci dice Doppio passo, ci sono i fantasmi che non vorremmo mai incontrare. Un rettangolo di gioco che per il protagonista è la comfort zone in cui rifugiarsi, la certezza su cui far leva, ogni domenica, lui, con la fascia al braccio e l'amore spinto di una città intera. Ma se di pretesto si tratta, in una sceneggiatura diretta e inesorabile, il calcio di Doppio passo scoperchia invece la terribile verità delle cose, illuminando l'intrisa impreparazione alla vita.

Doppio passo, la trama: oltre il calcio

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Doppio passo: un'immagine

Sì, l'impreparazione. Quella di Claudio (Giulio Beranek), decennale capitano della Carrarese Calcio. Una piccola città, mentalità squisitamente provinciale, e un posto dove ci si conosce tutti, di quelli dove i calciatori li trovi al supermercato. Il calcio di una volta, qualcuno direbbe. Eppure, le prospettive si scambiano, e quello di Doppio passo appare tanto come un calcio ambiguo tenuto in vita dagli interessi di quei piccoli imprenditori che giocano ad essere grandi. Per Claudio, poi, è un periodo particolare, la Carrarese è stata promossa in Serie B, ma lui, ampiamente over 30, non sembra poter reggere il ritmo di una competizione ben più impegnativa.

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Doppio passo: una scena del film

La parola del presidente, però, pare inequivocabile: un'altra stagione, poi vediamo. Un punto di partenza, ma bisogna cominciare a fare i conti con il futuro. Decide di aprire un ristorante insieme alla moglie Gloria (Valeria Bilello), ma servono cinquanta mila euro. Poco male, il contratto sta per essere firmato, e dunque glieli anticipa un vecchio amico, Sandro (Giordano De Plano). Solo che la vita non va esattamente come vorresti, e la società cambia idea: per Claudio non c'è più posto. Se vuole, può andare a lavorare alla cava. Claudio non ci sta, Claudio è "il Capitano". Tuttavia, i soldi sono finiti, e c'è un rovinoso debito da (ri)pagare.

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Giulio Beranek e Giordano De Plano, interpretazioni da "fenomeni"

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Doppio passo: una sequenza del film

Lo abbiamo scritto all'inizio della recensione, Doppio passo ha la fermezza e l'intelligenza narrativa per restare fedele alla sua idea, alla sua estetica, al suo sguardo, eliminando gli accessori e invece puntando tutto sulla permeabilità della sceneggiatura (esempio, è quasi del tutto assente la colonna sonora). Tuttavia, se di calcio potremmo parlare, il film ha una duplice anima (come dimostra l'emblematico titolo), sorretta e resa tangibile dalle interpretazioni di Giulio Beranek e di Giordano De Plano. Due "fenomeni", per restare in tema, due che tengono il punto, appoggiandosi agli occhi, alle parole, alla mimica, ai silenzi, tra sottrazione e sovraesposizione. Del resto, quelli disegnati da Borghini non sono personaggi, bensì persone: oscure, inquiete, sconnesse, irregolari, fragili, vulnerabili, sprovvedute, cattive.

Doppio Passo Giulio Beranek
Doppio passo, Giulio Beranek in una scena

Dunque, tra i tanti motivi per cui vedere Doppio passo, c'è l'espressione sgranata ed esausta di Beranek, e c'è lo sguardo velenoso e pungente di De Plano: interpretazioni da manuale, facendo salire due personalità opposte ma complementari per l'arco cinematografico messo in scena, e per le scelte compiute dal regista, bravo nello smarcarsi dai preconcetti sportivi, sfruttando una regia invisibile ma presente, e aprendo la cronaca cinematografica alla riconoscibilità e alla verità, facendo prendere allo script svolte potenzialmente inaspettate. Fuori lo spogliatoio, oltre le certezze, superando i cori da stadio: Doppio passo racconta dei nervi, degli sbagli, delle cadute. Di un uomo sperduto e forse incompiuto, e di quanto ognuno - in qualche modo - sia artefice del proprio destino.

Conclusioni

Tra i motivi per vedere Doppio passo, ci sono le interpretazioni di Giulio Beranek e di Giordano De Plano. Personaggi opposti eppure continui nell'universo narrativo ideato da Lorenzo Borghini, all'esordio, dopo diversi documentari. Come scritto nella recensione, Doppio passo elude gli archetipi sportivi e si concentra su una sceneggiatura imprevedibile.

Movieplayer.it
3.5/5
Voto medio
3.8/5

Perché ci piace

  • Giulio Beranek e Giordano De Plano, fenomeni.
  • Una regia equilibrata, mai eccessiva.
  • L'evoluzione imprevedibile della sceneggiatura.

Cosa non va

  • Alcune volte, il taglio sembra televisivo.