Dopo essere rimasto coinvolto in un drammatico incidente stradale mentre si trovava al volante, Sam si risveglia in un letto d'ospedale. Nella stanza accanto a lui un anziano paziente dai lunghi capelli bianchi, il quale lo aggredisce poco dopo il risveglio, senza che nessuno accorra in suo soccorso; l'istituto pare infatti essere completamente deserto e Sam con non poca fatica riesce a liberarsi dell'assalitore, uccidendolo. Peccato che questi ricompaia nel corridoio poco dopo e in apparente piena salute, costringendolo a un'improvvisata fuga in ascensore.
Come vi raccontiamo nella recensione di Disquiet, in uno degli altri piani dell'ospedale Sam si imbatte in una giovane donna, reduce da un intervento di chirurgia plastica che ha vissuto un'esperienza simile alla sua, venendo attaccata da tre misteriose e discinte ragazze. Non sarà la sola altra persona che il protagonista incontrerà in quel labirinto di stanze e mentre cercherà di scoprire cosa stia accadendo dovrà anche capire di chi potersi fidare.
Nel cuore dell'orrore
Un brevissimo background della figura principale, introdotto con il più canonico dei voice-over in apertura, e poi subito il racconto si trasferisce nell'effettivo - unico - teatro dell'azione, ovvero quell'ospedale maledetto dove il malcapitato si ritrova suo malgrado imprigionato, in una sorta di incubo che pare essere uscito dalla penna di Stephen King. Certo al di fuori non si nascondono creature mostruose e metaforiche come nel The Mist (2007) di Frank Darabont, ma quel che inquieta è proprio quel nulla, quel vuoto che appare dalle finestre, impossibile da raggiungere per chi si trova all'interno, ad aumentare un ipotetico senso di claustrofobia che purtroppo non fa mai il proprio dovere a livello tensivo, soprattutto a causa di una sceneggiatura che confonde continuamente le acque senza una minima coerenza di fondo.
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Luoghi comuni in serie
Il telefono che non prende, i ricordi volutamente confusi, personaggi che spuntano senza un motivo apparente e una manciata di flashback a tentare di risistemare alla bell'e meglio la contorta narrazione. In Disquiet il regista e sceneggiatore Michael Winnick si fa prendere troppo la mano dalle ambizioni di partenza e il film si sfalda minuto dopo minuto, tanto che la breve durata (un'ora e venti) in questo caso è soltanto un vantaggio, senza tirare in ballo quell'epilogo che vorrebbe tingersi di significati più profondi e drammatici, ma rischia di (s)cadere nel ridicolo involontario. Un paio di vezzi stilistici più o meno gratuiti, come le inquadrature ribaltate, effetti speciali discreti ma poco sfruttati e un'atmosfera ansiogena spesso calcata nelle monotone fughe del protagonista, che corre per corridoi infiniti e si rifugia in ascensori quanto mai provvidenziali, confezionano una messa in scena alquanto limitata e noiosa.
Di tutto un po'
Subentra poi in maniera più o meno forzata anche la questione razziale, con il poliziotto razzista dal grilletto facile e il ragazzo di colore preso di mira - ingiustamente - durante una rapina commessa da altri, ma anche lì la superficialità con cui il tema viene introdotto nonché la gestione dei relativi personaggi che si estingue in un arco troppo breve per essere anche incisivo ai fini del pathos drammatico. Jonathan Rhys Meyers meriterebbe copioni migliori e invece ultimamente prende parte a queste produzioni low budget senza arte ne parte, qui nelle vesti di un protagonista spaesato che cerca di far ritorno dalla sua famiglia mentre si trova intrappolato in quell'ospedale degli orrori, ignaro di come stiano realmente le cose fino a quell'epilogo a dir poco improbabile e raffazzonato.
Conclusioni
Un pizzico di tensione fa capolino qua e là, ma è talmente succube di una sceneggiatura inverosimile che finisce per perdere di consistenza minuto dopo minuto, non appena compreso come il gioco narrativo non faccia altro che insinuare senza poi offrire risposte adeguate. Come vi abbiamo raccontato nella recensione di Disquiet, ci troviamo di fronte a un b-movie horror che perde progressivamente di interesse a causa di una narrazione ricca di colpi di scena forzati e improbabili, nonché monotona nella continua fuga del protagonista tra i corridoi di quest'ospedale maledetto, tra le cui mura non ci si può fidare di niente e di nessuno.
Perché ci piace
- Inizialmente crea suspense e tensione su quanto sta accadendo al protagonista...
Cosa non va
- ... ma la sceneggiatura prende poi derive forzate e inverosimili.
- Un'unica ambientazione e monotonia galoppante.
- Un cast poco efficace, con Jonathan Rhys Meyers sprecato nelle vesti di protagonista.