Cosa hanno in comune gli Ebrei ortodossi della Norvegia, una pseudo-setta del New Mexico ed archeologi impegnati in uno scavo in Israele? Siamo costretti ad ammettere di non saperlo ed anche che il pilot di Dig non ci aiuta a capirlo. Quello che ci suggerisce, però, è che un collegamento c'è eccome, che il prologo ad Oppland in Norvegia e le due storyline che si sviluppano successivamente fanno parte di un unico flusso narrativo, di una "storia più grande di noi" che è al centro della nuova serie del canale USA.
Una nuova produzione di ampio respiro, dal titolo Dig che fa riferimento esplicito allo scavo nei sotterranei di Gerusalemme, quella creata e sviluppata da Tim Kring e Gideon Raff, due nomi noti del mondo della TV: il primo è infatti l'autore di Heroes prima e Touch poi, il secondo è la mente dietro la serie israeliana da cui è tratta Homeland (di cui, per inciso, resta comunque produttore). Due autori ora pronti a collaborare per mettere in piedi un thriller dai risvolti mistici/cospirazionisti, che affonda le radici nella mitologia biblica, e non solo, per creare un universo affascinante ed ambizioso. Ci riusciranno?
Connelly e gli altri: i personaggi di Dig
Kring ci ha abituati a storie composte da tanti personaggi e già nel corso della premiere di Dig abbiamo potuto conoscere alcuni di loro. Fulcro della storia, almeno delle sue prime battute, è il Peter Connelly di Jason Isaacs, un agente FBI che è fuggito da Washington e da una vita segnata dal dolore della perdita di una figlia, ma che attraverso un incontro surreale e suggestivo si trova coinvolto in qualcosa di profondo, misterioso e, probabilmente, molto pericoloso. L'incontro è con Emma Wilson, alla quale dà volto e capelli rossi la cantante Alison Sudol: Emma è una studentessa di archeologia impegnata in uno scavo sotto Gerusalemme al servizio del suo professore ed idolo Ian Mangrove (Richard E. Grant), che viene assassinata dopo l'incontro con il protagonista. Altre donne della vita di Peter sono il suo capo Lynn Monahan (Anne Heche), con la quale l'agente sembra avere (o aver avuto) una relazione, e la (ex) moglie rimasta in patria, con la quale è in contatto telefonico.
Ma c'è anche un altro volto noto della TV, e di una televisione di un certo livello per essere stata la Claire di Six Feet Under: si tratta di Lauren Ambrose che interpreta Debbie, membro di una organizzazione/setta che opera in New Mexico e si occupa di crescere il piccolo Josh, ragazzino che secondo una profezia avrà un importante ruolo per... bè, non sappiamo ancora per cosa. Quello che sappiamo è che Josh tenta la fuga e le conseguenze di ciò sono inquietanti per un duplice motivo che non anticipiamo.
Misteri e suggestioni bibliche dal mondo
E' centrale il fascino di un'ambientazione come Israele, quella sensazione esternata anche da Emma Wilson, parlando al protagonista Peter Connelly: lì a Gerusalemme tutti gli angoli, ogni pietra e muro, trasudano storia dell'umanità e si respira quell'atmosfera unica, quella vibrazione inconfondibile. Suggestioni sullo sfondo delle quali si concretizza proprio l'incontro tra i due personaggi, la loro incursione notturna nello scavo che dà il titolo alla serie, e che rendono realistico il rito che i due spiano nei tunnel sotterranei e l'obbiettivo dello scavo stesso, la ricerca di un oggetto unico e mitico come l'Arca dell'Alleanza. Un'atmosfera che non si affievolisce nemmeno nelle porzioni di storia ambientate lontano dalla Terra Santa: il senso di predestinazione, di qualcosa di più grande delle singole forze in gioco, di una cospirazione vecchia di duemila anni, è presente fin dal prologo norvegese, dal primo accenno a una profezia, dalla bizzarra detenzione del piccolo Josh in New Mexico e nella inquietante organizzazione che di lui si occupa. Una sensazione di un misterioso intreccio globale che si dipana al di là dei confini di un singolo stato e che si dipanerà per tutti i dieci episodi della prima stagione di Dig.
Comporre il puzzle di Dig
Quello che resta da verificare è se questa storia, annunciata come più grande dei protagonisti, non risulti anche più grande degli autori. Tim Kring ha già dato prova di smarrirsi nei meandri della sua stessa narrazione (con Heroes) e di diluire troppo il racconto tra le diverse storyline (con Touch), ma Raff ha dimostrato di avere le idee molto chiare sulla storia che intende raccontare, su un certo rigore che è mancato invece al suo collega. La speranza è che Dig sappia prendere il meglio dai suoi due padri, la capacità evocativa del primo e la compiutezza del secondo, facendo sì che i diversi pezzi del puzzle mostratici fin qui riescano a trovare il loro posto in un disegno completo e coerente. La premiere ci ha fatto capire che le premesse ci sono, che gli elementi per incuriosire non mancano, e che i personaggi presentano una base sviluppabile per aggiungere livelli, dettagli e sfumature nel corso degli episodi successivi. Per una storia di questo tipo, che tanto (troppo) dipende dal suo sviluppo complessivo, il giudizio definitivo non può che essere rimandato a fine stagione.
Movieplayer.it
3.5/5