Destino e possibilità
Gabriele Salvatores è sicuramente uno dei pochi registi che, nel piatto panorama del cinema italiano degli ultimi anni, hanno provato a proporre qualcosa di nuovo. E' un merito che gli va certamente ascritto: dopo il successo, nei primi anni 90, di film come Mediterraneo e Puerto Escondido, il regista napoletano ha coraggiosamente deciso di spendere il credito accumulato presso pubblico e critica per battere strade nuove, poco frequentate dal cinema nostrano. Il film di cui ci accingiamo a parlare è solo l'ultimo tassello di questa ricerca, parte di un processo che è ancora in corso.
Quello che più colpisce positivamente di questo film è il taglio visivo che Salvatores gli ha voluto dare: la fotografia è carica, accesa, a tratti colorata di toni surreali, il ritmo è sincopato, in alcune scene quasi da videoclip. Il regista ambienta la storia a Ibiza (un'altra isola, dunque, dopo quella di Mediterraneo), tra discoteche, paesaggi marittimi ma anche larghe distese di terra e sabbia solcate da lunghe strade, quasi come in un road movie americano; una rappresentazione dell'isola che ne accentua il carattere di luogo in qualche modo distaccato dal mondo esterno. Mondo esterno da cui tutti i protagonisti sembrano in effetti voler estraniarsi: un'amnesia, di fatto, fortemente ricercata che significa fuga dai nodi irrisolti della propria vita, rifiuto di rivolgere uno sguardo tanto al passato quanto al futuro. Così, Sandro rifugge fino all'ultimo un confronto con sua figlia, spaventato dal giudizio della ragazza, continuando a mentire sul proprio lavoro anche di fronte all'evidenza; Angelino è insoddisfatto del proprio lavoro nel bar sull'isola, sogna una vita diversa con Alicia (magari con un figlio), ma non fa nulla per realizzare questa aspirazione; il capo della polizia Xavier non si è più ripreso dalla morte della moglie, cerca conforto nel rapporto con un travestito che abita sull'isola, ed è distrutto dall'ostilità di suo figlio, che vive come un personale fallimento. Una stasi carica di dolore e disagio, quindi, che avvolge tutti i protagonisti ma che sarà destinata a durare poco: l'evento esterno del ritrovamento della cocaina, infatti, porterà una serie di avvenimenti imprevedibili, che sconvolgeranno, in modi diversi, la vita di ognuno di loro. Sconvolgimenti positivi, malgrado tutto: Salvatores ci mostra un fato benigno che sembra dare a tutti una seconda possibilità. Così la rocambolesca fuga dai gangster servirà a Sandro per parlare realmente, per la prima volta, con Luce, e Jorge riuscirà infine ad assumersi le proprie responsabilità solo dopo la malattia del padre, dando così anche a quest'ultimo una ragione per andare avanti. Persino Angelino e Alicia riusciranno infine nel loro intento di avere un figlio solo dopo il confronto finale con i gangster, e la definitiva rinuncia, da parte dell'uomo, alla cocaina (ben simboleggiata, alla fine, dai sacchetti che si squarciano e il cui contenuto si mischia con la neve). Avvenimenti non collegati, ma che appaiono governati da una qualche logica superiore: "questo posto è benedetto", dice Angelino nella battuta che conclude il film, e si è tentati di dargli ragione.
Salvatores, per narrare i due sotto-plot principali del film, sceglie la strada del flashback e della riproposizione della storia dall'inizio, da un punto di vista diverso: una tecnica non originalissima in assoluto (si pensi, per fare l'esempio più ovvio, a un film come Pulp Fiction e agli innumerevoli "sbalzi" temporali di cui è composto), ma certamente insolita nell'ambito del cinema nostrano. Ma, come si diceva, tutto il look del film ed il taglio narrativo adottato si allontanano sensibilmente dagli stilemi "classici" a cui siamo abituati dalle nostre parti: la regia di Salvatores è nervosa, vive di pause e improvvise "accelerazioni", l'aspetto di alcune sequenze è addirittura lisergico, in più di una scena viene usato, in modo intelligente e funzionale, lo split-screen (si veda il dialogo tra Sandro e Luce, scena che rende molto bene anche grazie a questa tecnica). Certo, la voglia di innovazione e di sperimentazione del regista lo porta a calcare un po' la mano in alcune sequenze, risultando a volte un po' forzato (si veda la "fuga" di Jorge e i suoi amici durante l'eclisse), ma complessivamente il film risulta molto accattivante per l'occhio. Gli interpreti appaiono tutti in palla e piuttosto funzionali ai rispettivi ruoli, da un Abantuono che rende bene nel ruolo del personaggio travolto dagli eventi, a un nervoso e simpatico Rubini, passando per la dolente interpretazione dello spagnolo Juanjo Puigcorbé nei panni del capo della polizia Xavier.
Un percorso da incoraggiare, quindi, quello di Salvadores, in un panorama cinematografico molto statico, che vive essenzialmente di conferme da parte dei "vecchi" (Moretti) e di "nuovi" di talento, ma non certo innovatori nei temi (Muccino). Lo aspettiamo quindi alla prossima prova, fiduciosi in una prosecuzione sulla strada intrapresa: varietà e originalità del nostro cinema, sicuramente, potranno solo guadagnarne.
Movieplayer.it
3.0/5