Sono stati Gabriele Salvatores e Giancarlo De Cataldo i protagonisti dell'ultimo duetto organizzato da Mario Sesti per la sezione eventi speciali Extra-L'Altro Cinema. La strana coppia formata dal regista premio Oscar per Mediterraneo e il magistrato-scrittore, autore del libro culto Romanzo Criminale si è scambiata pareri e opinioni sul rapporto tra cinema e giustizia. La serata è stata contraddistinta dalla proiezione di alcune sequenze di film legati a doppio filo al tema della giustizia, per discutere assieme di un argomento quanto mai attuale e delicato. "L'Italia è infiammata da questo tema - ha detto Mario Sesti - e se c'è un mezzo che lo ha affrontato direttamente è stato proprio il cinema". In fondo il processo non è nient'altro che un tipo particolare di spettacolo, una "condivisione pubblica di conflitti", ha aggiunto Sesti.
Su questa lunghezza d'onda anche Giancarlo De Cataldo, convinto che ci si debba interrogare su "c_ome faccia il processo ad essere spettacolo e come faccia lo spettacolo, in particolar modo il cinema, a raccontare un processo_". Alla domanda Gabriele Salvatores ha risposto proponendo il suo punto di vista di "figlio d'arte". "Se dobbiamo parlare di spettacolo, e per me il luogo della giustizia è teatrale - ha spiegato l'autore napoletano - non posso non parlare di mio padre, che è un avvocato. Probabilmente lo sarei diventato anche io se non avessi scoperto la musica rock e la politica degli anni '70. Ad ogni modo, lui tiene sempre banco. E' un grande raccontatore di barzellette, quindi sa come proporsi al pubblico. Ho sempre pensato che la messa in scena del dramma davanti al pubblico e alla giuria fosse catartico. Una specie di liberazione dai nostri sensi di colpa. I film americani rendono questa cosa attraverso le atmosfere ricercate, le inquadrature perfette. Noi italiani lo facciamo con la parola". Il riferimento è all'arringa difensiva del legale di Marcello Mastroianni in Divorzio all'italiana, un trionfo di esplosiva prosopopea capace convincere anche il giudice più severo. Già, il giudice, una figura il cui punto di vista raramente viene presentato nei film."Questo capita perché il cinema prende le parti dell'innocente - ha detto De Cataldo -. E' più semplice identificarsi nelle ragioni del difensore perché tutti proviamo un atavico senso di colpa. La difesa è in sostanza la relazione dell'individuo contro l'autorità, il potere, il mondo esterno, la propria coscienza dell'individuo. Detto questo, però, mi piace pensare che ogni giudice davanti all'imputato provi una sottile sofferenza che lo lega a lui". Non ha trattenuto un sorriso Gabriele Salvatores quando ha raccontato della prima volta nella sua vita in cui è stato "imputato". "E' successo tanto tempo fa per l'occupazione all'Università Statale - ha raccontato - alla fine tutto si è risolto in una grande schedatura, ma eravamo ragazzini e non ci è successo nulla". Altro punto di estremo interesse toccato dall'inedito duo salito sul palco della Sala Petrassi dell'Auditorium Parco della Musica di Roma è stato il confine sottilissimo tra giustizia e verità. "In Furia di Fritz Lang il cinema, che per sua natura è finzione, viene usato per dimostrare una cosa vera - ha spiegato Salvatores - L'uso dello stop frame è straordinario perché rappresenta il cinema che cita se stesso". Meno "artistica" la risposta di Giancarlo De Cataldo secondo cui "come in ogni fiaba che si rispetti lo spettatore deve andare a dormire contento. Quasi mai, però, nella realtà arriva quell'ammissione di piena colpevolezza resa da Jack Nicholson in Codice d'onore. Forse capita solo nei delitti di strada, quando il colpevole cade sotto il peso della paura. Anche Alfredo Rocco, l'inventore dell'omonimo codice di procedura penale attivo sosteneva che si deve raggiungere una verità umanamente accettabile e non la verità assoluta. La certezza assoluta, mi dispiace ammetterlo, non esiste nemmeno nella prova del DNA". La serie di sequenze capeggiata da quella dell'uragano Nando Mericoni in Un giorno in pretura di Steno, ha introdotto il dibattito nella delicata disamina del rapporto tra media e giustizia. "Mia nonna diceva che era tutto vero perché l'avevano detto in televisione - ha rilevato Salvatores - Senza arrivare a questi estremi, sono comunque convinto che noi oggi non sapremmo così tanto di tanti casi di cronaca, se non ci fosse la spettacolarizzazione dell'evento. Ecco, il cinema ha uno sguardo diverso, un punto di vista morale sulla realtà. L'assenza di questo elemento genera pornografia, è intrattenimento drammatico. In un'epoca in cui certa televisione ci ha trasformati tutti in una grande giuria, il cinema dovrà sempre di più raccontare quello che è invisibile, filmare quello che la tv non potrebbe mai farci vedere".
E' lo stesso Salvatores, però, a evitare ogni guerra con il piccolo schermo, aggiungendo che la "colpa non è della scatola ma quello che ci metti dentro. E in certi casi le serie televisive raccontano la realtà meglio del cinema. Questo perché una serie ti permette di ampliare i codici narrativi". Tirato in ballo da Mario Sesti, Giancarlo De Cataldo ha poi proposto una sua riflessione sulla confusione tra politica e giustizia. "Tutte le volte che le indagini toccano un uomo potente succede qualcosa - ha spiegato - ma è normale, chi ha più mezzi, meglio si difende. Il punto però è che la questione non dovrebbe essere ridotta ad un derby tra politici e magistrati. Il punto vero è quanto la giustizia sia uguale per tutti". Pensiero finale della coppia De Cataldo-Salvatores sulla protesta dei 100 autori. "Vi giuro che mi si è riempito il cuore di gioia quando ho avuto la notizia del red carpet preso d'assedio - ha concluso Salvatores. Spero che questa compattezza resista a lungo. Quanto alle dichiarazioni di un noto politico che ha detto la cultura non si mangia, rispondo con uno slogan delle femministe. Abbiamo bisogno del pane, ma anche delle rose".