Dal gennaio del 2020 a oggi, aprire un quotidiano, online o meno, significa fare i conti con la lettura di una serie di notizie alquanto destabilizzanti. Fra pandemie, guerre, crisi climatiche, rincari di ogni tipo e via di questo passo, non ci stiamo di sicuro annoiando anche se magari tutti noi avremmo preferito scacciare la noia in una maniera differente dalla lettura di notizie che ci mettono giornalmente alle prese con un nuovo hunger game. Da quanto The Donald è tornato alla casa Bianca ci si è messo anche lui. Non che avessimo dubbi in tal senso: tutta la sua campagna elettorale è stata accompagnata da dei proclami che ha poi messo in atto innescando una serie di eventi il cui esito finale nel lungo termine è ancora oscuro, ma che nell'immediato ha creato un certo scompiglio, per così dire.

Fra le tante, c'è la ben nota questione dei dazi reciproci che l'amministrazione Trump ha fatto entrare in vigore con 60 paesi, salvo poi ritardarli di tre mesi, che, secondo il Presidente, consentirà agli Stati Uniti di liberarsi dalle catene di uno "sfruttamento commerciale" che le imprese Stars and Stripes avrebbero subito nel tempo. Il Presidente è sicuro di sapere il fatto suo e di avere il coltello dalla parte del manico, ma intanto questa mossa avrebbe creato dei dissapori anche con il suo principale alleato/finanziatore/consigliere Elon Musk.
La rappresaglia principale è quella contro la Cina con cui il tetto dei dazi è stato elevato, al momento, oltre il 100%. Una decisione, questa, che avrà delle ripercussioni molto pratiche sulla vita dei consumatori americani, a partire dai micro ordini che vengono fatti sui ben noti shop cinesi online in su. Ripercussioni che vanno inevitabilmente ad aggiungersi agli eventuali contro dazi che verranno applicati come risposta. Contro dazi che, nel paese asiatico, potrebbero mietere una vittima illustre: Hollywood.
La Cina era vicina
Nel primo decennio degli anni Duemila, alcuni mercati come Cina, Brasile, Russia, Corea del Sud hanno assunto un'importanza sempre maggiore in quelle che erano le economie di Hollywood. La Cina soprattutto, per via del suo gargantuesco bacino d'utenza, di un mercato theatrical in costante espansione e un numero di sale che, negli anni, è aumentato a ritmo folle, anche per quel che riguarda gli schermi premium format ha fatto parecchia gola. Un rapporto però, quello fra il mercato cinese e l'industria dello spettacolo americana, che non è mai stato semplicissimo - le autorità comuniste ammettono solo un numero prestabilito di film stranieri ogni anno, le pellicole approvate non devono contenere riferimenti a temi sociopolitici considerati sensibili in Cina e il margine di guadagno è sensibilmente inferiore rispetto al solito con delle trattenute che raggiungono il 75%.

Per una decina di anni abbondanti, le major hanno però flirtato con estremo piacere con la Cina perché, nonostante tutti i caveat di cui sopra, le cifre generate in quella piazza finivano in ogni caso per dare un importante boost al box office di questo o quel film. Poi, anche con la complicità della pandemia, i rapporti si sono decisamente raffreddati, i film americani sono continuati ad arrivare nelle sale della nazione asiatica, ma con esiti molto meno muscolari. E, adesso, tocca ai dazi di Trump mettere un ulteriore bastone fra le ruote. Già perché se, finora, il cinema americano e le piattaforme streaming sono sfuggite a eventuali ritorsioni in quanto a contro dazi perché considerati servizi, più che beni, ora la musica potrebbe cambiare assumendo delle tonalità sinistre. E potrebbe essere proprio la Cina a fare da apripista.
Più che dei dazi, un vero e proprio ban
Arrivano da Bloomberg News e dall'Hollywood Reporter le indiscrezioni secondo le quali, a quanto pare, in una Cina sempre più autosufficiente in materia di blockbuster cinematografici, si potrebbe arrivare alla scelta estrema di bandire in toto le produzioni americane.
La testata segnala che sui social media cinesi sono stati condivisi dei piani di massima sulla faccenda. E a diffonderli sono stati Liu Hong, un redattore senior dell'agenzia di stampa statale Xinhua, e Ren Yi, nipote di Ren Zhongyi, un ex leader del Partito Comunista nella provincia del Guangdong oggi blogger molto influente. Tutti e due hanno pubblicato le proposte sulla base di informazioni ricevute da fonti anonime informate sui piani delle autorità. In termini pratici, se tutto dovesse essere davvero attuato, la mossa avrebbe più l'effetto di uno sberleffo e il danno pratico sarebbe relativo. Presente sia chiaro, ma relativo.

Come vi abbiamo già detto qualche riga fa, Hollywood, negli ultimi anni ha guadagnato molto meno di prima in Cina. L'interesse del pubblico cinese è drasticamente virato in direzione delle pellicole d'alto profilo prodotte direttamente da quelle parti. Per dire, c'è comunque chi come Warner Bros e Legendary ha portato nei cinema Un film Minecraft e ha visto piovere dai botteghini cinesi ben il 10% dei 144 milioni di dollari che il blockbuster ha generato a livello internazionale nel primo fine settimana. E va anche detto che il mercato cinematografico vede gli USA mantenere un surplus commerciale enorme rispetto alla Cina: i film cinesi andranno anche fortissimo in patria, ma in nordamerica (e non solo) non godono di chissà quale popolarità.

Ma di sberleffo parlavamo, perché in un contesto di politica internazionale basato sui personalismi, più che sulla... politica, la decisione di bandire in toto le produzioni cinematografiche statunitensi avrebbe una risonanza roboante in ogni angolo del globo. Probabilmente resterebbe un caso isolato o quasi, ma per una personalità egomaniaca come Trump potrebbe trattarsi di un'offesa ben più grave di qualsiasi contro tariffa o mira espansionistica su Taiwan.