Di come l'esperienza offerta da Days Gone, nuova esclusiva PS4, sia al tempo stesso qualcosa di molto familiare ma anche unica nel suo genere, vi abbiamo già raccontato qualche giorno fa nella nostra recensione. Ora, liberi dalla paura di rovinare la sorpresa a nessuno causa spoiler, vogliamo approfondire quello che secondo noi è sicuramente l'aspetto più entusiasmante di tutto il progetto: le orde di furiosi. Non che la loro presenza fosse un segreto, anzi erano già state oggetto dell'ormai celebre trailer di presentazione del 2016 durante l'E3, ma è soltanto nelle ultime ore di gioco che questi (spesso enormi) gruppi di infetti acquista una reale rilevanza sia a livello di trama che di gameplay.
Nella prima parte di Days Gone le orde ci sono sì comunque, ma sono praticamente inavvicinabili dal protagonista, perché non sufficientemente equipaggiato o "istruito" per affrontare un pericolo del genere. La loro presenza è comunque molto tangibile, nonché pressoché casuale, nel momento in cui ci troviamo ad esplorare la mappa di gioco, ovvero la bellissima ma abbandonata ambientazione dell'Oregon. Ed è proprio qui che viene il bello (si fa per dire, ovviamente): perché l'idea di aggiungere alle ormai classiche dinamiche del videogioco open world - fai una missione e torna indietro, esplora e amplia la mappa, etc etc... - un elemento in grado di creare tensione nel giocatore tanto che nel protagonista è, nella sua semplicità, davvero intelligente. Non tanto in termini di gioco, ma per atmosfera e immedesimazione.
Come in un (vecchio) episodio di The Walking Dead
Per chi scrive - chiaramente non un videogiocatore tipo, ne siamo consapevoli - non c'è nulla di più distraente e in qualche modo irritante in un gioco del genere della sensazione di quasi onnipotenza: che molto spesso non dipende solo dal livello di difficoltà selezionabile, ma dal fatto che una volta capite le dinamiche e le strategie migliori, sia possibile affrontare praticamente ogni nemico come fosse quasi una mera formalità. Noi stessi, durante il gioco, abbiamo visto il nostro Deacon St. John sconfiggere mercenari, anarchici, cultisti e furiosi di vario tipo a migliaia e senza grossa fatica. L'unica vera difficoltà, nonché variabile impazzita anche in un piano ben congegnato, diventava quindi proprio l'eventuale presenza o meno (e non sempre prevedibile) di un'orda dei paraggi: ci sono state almeno due occasioni in cui abbiamo dovuto ripetere da capo delle missioni praticamente finite, semplicemente perché dei rumori di troppo (lo sparo di un nemico o un maledetto allarme o altoparlante) avevano richiamato l'attenzione di un'orda che si era così frapposta tra noi e la nostra moto. E quindi tra noi e la nostra unica possibilità di salvezza.
Questo che vi abbiamo appena descritto non succede così spesso da risultare frustrante per fortuna, ma è sufficiente ad aumentare in modo esponenziale la tensione di alcune missioni e soprattutto a ricordare, a chi come noi è appassionato del genere post-apocalittico e surivival, alcuni dei migliori momenti di opere del passato. Ricordate per esempio il primo episodio della seconda stagione di The Walking Dead? I nostri erano riusciti ad uscire indenni da Atlanta e proprio per questo il peggio sembrava ormai alle spalle, eppure fu proprio un'orda a creare il panico nel gruppo e a scatenare una tragica serie di eventi. Sempre nella stessa serie abbiamo visto delle orde, con conseguenze devastanti, in quasi tutti i momenti più significativi dello show, o meglio fino a che The Walking Dead, con l'ingresso di un super villain come Negan, ha segnato la quasi totale scomparsa della minaccia zombie. E, così facendo, ha perso tutto o quasi del suo smalto finendo in quello specialissimo dimenticatoio che dedichiamo alle ex serie ancora in corso.
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Ode alle orde, simbolo di un mondo senza speranza
Non è un caso, che il calo di ascolti e del successo della serie AMC sia andato di pari passo a questo cambiamenti, perché l'orda non rappresenta solo una minaccia come tante altre, ma l'essenza stessa di un mondo che non esiste più e che, probabilmente, non tornerà mai. Come in tutte le opere simili, sia in The Walking Dead che in Days Gone c'è chi continua a sperare in una soluzione, in un antidoto, in un ritorno alla normalità; c'è poi invece chi, come Deacon o il Rick Grimes di turno, capisce che la vita precedente è persa per sempre e l'unica possibilità è guardare avanti e adattarsi. Per questo motivo Rick, sia nella serie che nei fumetti di The Walking Dead, studia le orde, cerca di trovare un modo per guidarne e cambiarne il percorso ed, inevitabilmente, si trova ad affrontarle ed eliminarle. E - se ricordate bene uno degli ultimi grandi episodi della serie, quel Nessuna via d'uscita a metà della sesta stagione - Rick capiva che l'unico modo per respingere l'invasione zombie era combattere tutti uniti, tutti insieme.
In Days Gone, Deacon non ha questa possibilità perché è fondamentalmente solo la maggior parte del tempo, e proprio questo rende le orde di furiosi non solo un pericolo di gran lunga superiore, ma un pericolo che si va a sommare a tutto il resto. Perché in Days Gone i vari Negan del caso non escludono la presenza degli furiosi stessi, ma anzi semmai finiscono con l'attrarli. Ed è proprio per questo che un videogioco diventa forse perfino più esemplificativo di quello che potrebbe essere davvero un mondo post-apocalittico di questo genere rispetto ad una serie che va avanti da anni. Perché al netto di pochi campi e zone abitate e protette a fatica, gran parte del territorio che una volta apparteneva ai cittadini dell'Oregon ora è "proprietà" proprio di queste orde. Che non hanno un capo e nemmeno uno scopo, sono semplicemente un ricordo di tutto ciò che eravamo ed avevamo, ma ora non c'è più; nonché il simbolo di quanto davvero pericoloso, imprevedibile e irreversibilmente perso sia diventato il mondo esterno per gli esseri umani.
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Per questo è bello che un gioco come Days Gone ci permetta, soprattutto nella fase (post)finale del gioco, di provare a distruggere queste orde con grande fatica e metodo, adottando la tattica del "divide et impera" e insegnandoci a sfruttare non solo ogni arma a nostra disposizione ma anche ogni nascondiglio o posizione strategica. Perché quei combattimenti difficili ma particolarmente soddisfacenti, rappresentano la parte del protagonista, e quindi di noi, che vuole continuare a lottare e non vuole arrendersi all'inevitabile. Ancora più bello e realistico però è il fatto che non le trasformi mai in una sorta di "boss finale" o nemico da superare ad ogni costo, ma le renda parte stesse dell'ambientazione, qualcosa da cui non si può prescindere e che non si può mai ignorare. Una scelta che le rende quindi l'anima stessa di Days Gone. Che non è un videogioco perfetto o, nella maggior parte dei casi, particolarmente innovativo, ma di certo in quanto ad atmosfera e resa, non solo scenografica ma soprattutto emotiva, di un mondo distopico avrebbe molto da insegnare a tante altre opere ben più blasonate.