Il giovane Jean viene assunto come assistente di Stéphane, un fotografo eccentrico il cui metodo lavorativo prediletto - l'uso di dagherrotipi, che costringono le modelle a rimanere perfettamente immobili anche per un'ora - rende l'esperienza al suo fianco a dir poco insolita. Col passare del tempo Jean si innamora, ricambiato, della figlia del datore di lavoro, Marie, ma per poter vivere insieme felici dovranno prima allontanarsi dal mondo di Stéphane, dove l'immagine è tutto ciò che conta...
Nuovi orizzonti (linguistici)
Attivo professionalmente dal 1983 e noto a livello internazionale dal 1997, con l'uscita di Cure, il giapponese Kiyoshi Kurosawa è uno dei massimi esponenti contemporanei della cinematografia del suo paese, in particolare per quanto riguarda le produzioni di genere, facendosi notare soprattutto nei festival maggiori (Cannes, Venezia, Berlino, Toronto) con vari thriller e horror. Quest'anno, dopo aver presentato nella capitale tedesca l'ottimo poliziesco Creepy, è arrivato al festival canadese con un prodotto insolito, presentato anche al Torino Film Festival: Daguerrotype (noto anche come Le secret de la chambre noire), il suo primo lungometraggio dal sapore internazionale. Il film è infatti ambientato e girato in Francia, recitato interamente nella lingua transalpina, e vanta un cast di tutto rispetto composto da Tahar Rahim (Il profeta), Olivier Gourmet (attore-feticcio dei fratelli Dardenne), Constance Rousseau (Simon Killer) e Mathieu Amalric. Ma la trasferta non ha inciso sull'essenza cinematografica del regista: a livello puramente formale, abbiamo a che fare con un film che è inconfondibilmente di Kurosawa.
La forza dell'immagine
Entrambi i titoli, francese e internazionale, rimandano all'importanza della fotografia come elemento narrativo (per chi non lo sapesse, il dagherrotipo fu il primo processo fotografico annunciato al pubblico, e richiedeva tempi di lavorazione considerevoli). E proprio su questo gioca Kurosawa con una mise en scène meticolosa e raffinatissima, tutta basata sui contrasti tra luce ed ombra e tra movimento e staticità, applicando alla componente teorica anche un delizioso tocco cinefilo citando più volte Hitchcock (in particolare, una delle sequenze fondamentali del film omaggia il tema musicale di Psycho scritto da Bernard Herrmann) e riaffermando il proprio talento di genere confezionando un piano-sequenza magistrale e tesissimo, dove l'alternanza tra fissità e moto diviene quasi insostenibile prima di raggiungere un apice che trasforma irrevocabilmente l'intreccio in chiave tragica. Un ulteriore contrasto, tipico di Kurosawa, è quello tra passato e presente: il film è palesemente collocato cronologicamente ai giorni nostri, ma è pervaso da un'aria d'altri tempi, inquietante e neanche tanto velatamente surreale, con le presenze spettrali tanto care al regista che riescono ad incutere un grande senso d'angoscia senza mai ricorrere a stratagemmi banali per far saltare lo spettatore dalla sedia.
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La coppia che non c'era
Daguerrotype non è solo un ottimo thriller (che rischia però di non convincere del tutto chi vuole una risposta a tutte le domande), è anche una struggente storia d'amore, con protagonisti due giovani amanti il cui legame inevitabilmente intriso di mistero e tristezza dà alla pellicola il suo nucleo emotivo. Merito di una scrittura che non cede alla tentazione dei cliché sull'argomento e di due interpreti eccelsi, in particolare Rahim che ha il compito non indifferente di dover gestire molte delle scene più impegnative da solo, con risultati che colpiscono al cuore (vedi tutta la parte finale). E tra i due c'è Olivier Gourmet, caratterista sopraffino il cui personaggio burbero e bislacco è forse il vero cuore tragico di una storia che rimarrà impressa a lungo dopo la visione, come una fotografia che non verrà scalfita dal tempo.
Movieplayer.it
4.5/5