Funziona così: tornare indietro nel tempo grazie ad un film. Tornare indietro, e perdersi. Perdersi, senza la voglia di ritrovare la strada. Perché era meglio prima, non c'è dubbio. Era meglio quando un certo cinema andava dritto, senza nascondersi dietro l'artificio o la credibilità. Era meglio quando avevamo più tempo, per essere spontanei, o per credere nei sogni. Che poi, se non si avverano, poco importa. Alla fine conta il desiderio, più che la sostanza. Era più bello, quando il gusto per un film non travalicava oltre il (non) richiesto giudizio critico. Perché un certo cinema, rivisto oggi, è diverso, forse più doloroso. Allora, il viaggio di Crossroads - Le strade della vita di Tamra Davis, bollato come film da Razzie Awards, è la traduzione simultanea del concetto legato alla nostalgia che diventa malinconia (sfruttato dalle piattaforme digitali, in questo caso Netflix, che lo porta in streaming per la prima volta).
La trasformazione di un film scadente (all'epoca), tornato a splendere sotto la luce di un tempo che non invecchia, ma anzi esalta il mito e la memoria, legandosi ad un'icona a cui vogliamo spassionatamente bene. Chi? Ovvio: Britney Spears. Perché, dietro i tratti da road-movie a tinte teen, Crossroads ha segnato l'esordio al cinema della regina del pop. Era il 2002. Le inflessioni post-moderne degli Anni Novanta si stavano rafforzando, tra mode e nuovi linguaggi, seguendo una contro-cultura figlia di Mtv, e in scia ad una potenza immaginifica che oggi è tornata protagonista (archiviando finalmente gli Anni Ottanta), rivelando una certa narrazione, e anzi acchiappando da certi titoli (come Crossroads) l'ispirazione principale.
Crossroads, un film che sa di strada, che sa di musica, che sa di ricordi
Del resto, immaginatelo oggi, il film di Tamra Davis, scritto da Shonda Rhimes (non ve lo ricordavate, eh!), Crossroads sarebbe passato al Sundance o al South by Southwest. Sarebbe stato in lizza per gli Indipendent Spirit Awards. Sarebbe stato l'emblema di un cinema indipendente, più nell'estetica che nella sostanza. Girato a basso budget (10 milioni, ne incassò poi 60), novanta minuti per un viaggio che parte dalla ristretta provincia americana, allargandosi verso una promessa che, oggi, torna a far battere il cuore. Una promessa, e una scatola dei desideri, seppellita e poi ritrovata, quando la vita chiede il conto di un giuramento. Al centro, tre amiche, Lucy, Kit, Mimi - Britney, Zoe Saldana, Taryn Manning.
Tre amiche, e un vecchio sogno, che profuma di California, di Elvis Presley, di scoperte e di rivelazioni. Tre amiche, e una Buik del 1966. Il mito dell'on-the-road, dopo Easy Rider e Paura e Delirio a Las Vegas. Il mito della strada, che taglia gli States, tra luoghi comuni e ballate country, tra rock e sogni infranti. Il mito della strada, sì, e l'incoscienza di tre protagoniste, non più ragazze, ma nemmeno donne (come canta Britney in I'm Not a Girl, Not Yet a Woman, uno dei suoi brani presenti nella soundtrack). E noi, ora come allora, che non vogliamo crescere, ma che nemmeno possiamo restare ancorati al passato. Appunto, la nostalgia che si trasforma in malinconia, scoperchiando una consapevolezza impossibile da affogare: non è più il 2002, su Mtv non ci sono più i video di Britney, e il cinema stesso ha cambiato faccia, mostrando quella pre-confezionata dell'algoritmo.
Gli anni migliori, di quando la felicità era scontata (anche al cinema)
Perché sia chiaro: non stiamo riabilitando Crossroads - Le strade della vita. Non c'è nulla da riabilitare. Anzi. Piuttosto, ci rapportiamo al film con uno sguardo adulto, e più consapevole. O forse, solo con uno sguardo più invidioso. Invidioso, perché Crossroads, nella sua calda ingenuità, è uno dei manifesti cinematografici di chi è cresciuto con i poster in cameretta, quando c'era ancora il valore del mito. Il manifesto di un certo American Dream, ormai svilito e svanito, nell'evanescente propaganda di una libertà che ha i colori di uno slogan elettorale. Crossroads, sigillato in un finale che coglierebbe addirittura il senso della vita (o l'aspirazione massima: godere del presente, senza pensare al futuro), rivisto adesso, a portata di telecomando, ci spinge indietro con i ricordi, accarezzandoli nella loro rivitalizzata consistenza. Dura un attimo, però. Il passato non torna, e se torna è un inganno della mente, che cerca appiglio e sicurezza in una zona di comfort che offre un effimero riparo.
Può un film, vecchio di vent'anni, e con una bislacca messa in scena, avere ancora una potenza tale, da mandare in frantumi la nostra già gracile emotività? Eccome. Impossibile resistere, impossibile trattenere una smorfia, che sa di lacrime, che sa di sorrisi. Questione di memoria, questione di anni. Gli anni di Britney Spears, gli anni del Blockbuster il venerdì; gli anni delle attese, e dell'amicizia analogica, in cui le parole contavano più di ogni altra cosa. Erano gli anni della spensieratezza scontata e libera, scapigliata, ingenua, tenera (nonostante il mondo stesse cambiando, dopo l'11 Settembre). Erano gli anni in cui tutto andava bene. Gli anni in cui eravamo felici, e non sapevamo di esserlo. Crossroads è il nostro momento fuori tempo, il nostro tempo fuori sincrono. È tutto ciò di cui avevamo bisogno. "All I need is time. A moment that is mine".