Trenta minuti di ritardo rispetto alla tabella di marcia prevista ma nessuno tra i giornalisti che hanno affollato la sala Petrassi dell'Auditorium Parco della Musica di Roma ha osato brontolare. In tanti lo attendevano, tutti l'hanno applaudito, in pochi ormai lo considerano ancora un regista di culto autore di film geniali ed estremi riservati ad un pubblico di nicchia. E' lui, David Cronenberg, regista di pellicole di incalcolabile valore artistico come La Mosca e Videodrome, il visionario per eccellenza che da sempre fa della metafora il suo Pasto Nudo quotidiano. Genio e sregolatezza convivono nella sua cifra stilistica da quasi quarant'anni senza mai sgomitare ed è lui stesso, o meglio la sua ecletticità di artista, ad incarnare l'essenza stessa del processo di mutazione insito nella natura dell'essere umano, un percorso da cui il maestro sembra essere quasi ossessionato. Nonostante il look casual e la calorosa accoglienza dei giornalisti in sala, Cronenberg non si scompone, non sorride quasi mai, non sembra mai troppo a suo agio. Il suo sguardo è austero e le sue risposte concise ed al contempo esaurienti. Un pomeriggio fitto di appuntamenti per il sessantacinquenne regista, sceneggiatore e attore canadese che ha incontrato i giornalisti prima e il pubblico poi ripercorrendo i momenti più belli del suo percorso di cineasta. Il suo cinema è ed è stato sempre esplorazione nei meandri dell'inconscio, un viaggio nel baratro della solitudine umana ma soprattutto percezione e paura. Sentimenti, pulsioni, suggestioni e riflessioni di un artista che il Festival Internazionale del Film di Roma celebra in modo sublime con l'allestimento di un'imperdibile mostra fotografica dal titolo Chromosomes (al Palazzo delle Esposizioni fino al 16 novembre) che riassume in 50 opere la quintessenza di una filmografia, 50 fotogrammi del suo cinema selezionati e catturati con millimetrica accuratezza da Cronenberg e trasformati in quadri. Un'altra mutazione dunque, cinema traslato su tela, che il regista ha definito come uno 'scavo archeologico' nel suo passato.
Tante le domande che i cronisti in sala hanno dovuto condensare nel pochissimo tempo a disposizione che è letteralmente volato via.
Nel suo cinema c'è sempre un corpo o un'anima che si trasforma. Ci racconta questa sua fascinazione per le trasfigurazioni umane?
David Cronenberg: Gli esseri umani sono fondamentalmente degli animali che trasgrediscono, che si immaginano come qualcosa di diverso e quando scoprono la loro vera natura difficilmente riescono ad accettarla. Si ostinano a pensare e a sperare di poter essere diversi, il loro è un desiderio di elevazione che si può rappresentare in diverse forme, basti pensare alla religione, all'arte e alla cultura in generale. E' questo aspetto ad interessarmi particolarmente, per questo nei miei film è divenuto quasi una costante.
David Cronenberg: E' stata un'esperienza molto faticosa quasi come guidare un grande transatlantico nell'oceano. Quando ti cimenti in un lavoro di questo tipo non sei più solo tu a decidere o a dirigere gli attori ma devi dividerti con il librettista, il compositore delle musiche e il direttore d'orchestra (Placido Domingo, ndr). Abbiamo formato un equipaggio ed alla fine abbiamo portato a termine il nostro viaggio. Vivere a Parigi e dirigere l'opera è stata un'esperienza davvero entusiasmante.
E' forse per questa sua attenzione per i suoni che nei suoi film la scelta delle musiche e delle colonne sonore è così accurata?
David Cronenberg: Per molti registi è una cosa marginale, una cosa che si fa alla fine e quindi considerata meno importante, ma non per me. Ricordo che per La Mosca venne in assoluto la musica prima di tutto. In fase di post-produzione un film può cambiare totalmente, dal singolo fotogramma fino a stravolgere il senso globale dell'opera. Il suono rende un film completo dal punto di vista dimensionale, sono luci, forme e colori che grazie alla musica, o più genericamente a suoni e rumori, acquistano tridimensionalità. Nel 1969 feci un film dal titolo Stereo che era completamente privo di colonna sonora, assai disturbante, quasi senza vita.
E' per questo secondo lei che quando morì Stanley Kubrick molti definirono Eyes Wide Shut come un film incompleto?
David Cronenberg: Si esatto. Qualcuno al suo posto si occupò del missaggio e non potremo mai sapere come sarebbe stato il film se di tutto ciò si fosse occupato Kubrick in persona. Si può distruggere un film come migliorarlo notevolmente con il lavoro di post-produzione, possono stravolgersi le battute, persino le interpretazioni degli attori.
Il suo film, come ogni essere umano, si trasforma continuamente e dopo essersi focalizzato sul lato puramente fisico della sua mutazione ora sembra puntare di più sull'astratto, su qualcosa di più mentale e invisibile. Cosa ci riserverà il futuro?
David Cronenberg: Ci sono concetti e cose che è impossibile filmare per loro definizione, il mio lavoro è stato finora quello di trovare le metafore giuste ed il linguaggio più appropriato per trasformare tutto ciò in immagini e portarlo su pellicola. L'essere umano è mente e corpo, io ho fatto il percorso inverso ma non mi sento di essere cambiato di molto, probabilmente è l'approccio della critica nei miei confronti ad essere cambiato.
David Cronenberg: Una volta Oliver Stone mi chiese "Ma non ti fa un po' rabbia?". Gli risposi di no, l'importante per me è riuscire a comunicare, ad esprimere me stesso. Sono punti di vista, ovvio che se fai un film da 100 milioni come Il Signore degli Anelli devi per forza raggiungere un pubblico diverso e ti aspetti risultati diversi dai miei. Tant'è vero che il mio film più famoso e quello che ha incassato di più risale infatti a vent'anni fa ed è La mosca. E' una questione di chiarezza e di onestà, nel mio lavoro ho scelto di lasciarmi guidare dall'istinto e dall'intuito, da nient'altro.
Molti dei suoi film sono tratti da romanzi, sappiamo che ne sta scrivendo uno e che ha sempre dichiarato di preferire la letteratura alla pittura. E' vero? Ci racconta di più?
David Cronenberg: Mio padre è stato un giornalista e uno scrittore, pensavo di diventarlo anch'io ed invece mi ritrovo a fare il regista. Sono cinquant'anni che provo a scrivere un romanzo ma solo ora lo sto facendo veramente. Non posso anticiparvi nulla, ho scritto solo 60 pagine, ma posso dirvi che ho già trovato editori disposti a pubblicarmelo in tutto il mondo e praticamente il libro ancora non esiste. Sono terrorizzato solo all'idea! (ride) Sono in una fase molto delicata del processo creativo, ma vi anticipo che non sarà né un horror alla King né un libro di fantascienza.
Quali sono i suoi scrittori preferiti o quelli a cui si è ispirato durante la sua carriera?
David Cronenberg: In questo momento sono molto orientato verso la letteratura russa, ho letto da poco Guerra e Pace, adoro Nabokov, Dostoevskij e Gogol ma nella mia carriera ho preso ispirazione da Borroughs, Ballard, McGrath a anche da Philip Roth. Mi sento un lettore dai gusti molto eclettici.
Quanto deve essere in grado di trasformarsi un attore per poter essere apprezzato da lei?
David Cronenberg: Ho lavorato con tanti bravi attori tutti diversi tra loro. Il segreto è non imporre mai nulla ma solo dare delle direttive, farli sentire a proprio agio e liberi di esprimersi senza paura di essere criticati. Non esiste l'algoritmo giusto, sul set amo creare per ognuno di loro un'atmosfera protetta perché l'attore è fondamentalmente è un corpo che subisce una trasformazione, che sia col trucco o con l'abbigliamento. Ognuno di loro sa come ottenere il meglio da se stesso, bisogna solo aiutarli a farlo. Anch'io sono stato attore e vi assicuro che, anche se si è a pochi metri di distanza, fare il regista è una cosa completamente diversa.