Dopo la notizia dell'annullamento per motivi logistici del suo secondo red carpet in due giorni un po' di preoccupazione tra i fan e gli addetti ai lavori ha iniziato a serpeggiare ma poi tutto è rientrato e Richard Gere si è materializzato in tutta la sua solarità nella sala stracolma che l'attendeva per il primo viaggio nel Cinema Americano di questo Festival di Roma 2009. Si apre con l'attore di Philadelphia la serie di incontri, curati da Antonio Monda e Mario Sesti, tra i grandi registi e attori di Hollywood ed il pubblico dell'Auditorium Parco della Musica di Roma organizzati dal festival in collaborazione con Studio Universal. Già presente alla prima edizione del Festival nel 2006 con L'imbroglio - The Hoax diretto sempre da Lasse Hallstrom, l'indimenticabile protagonista di film che hanno segnato un'epoca come Pretty Woman, American gigolò, Ufficiale e gentiluomo ha risposto alle domande dei due intervistatori per poi iniziare una conversazione goliardico-amichevole con il pubblico, in prevalenza femminile, parlando del suo percorso professionale e personale facendo un bilancio di questi trentacinque anni di onorata carriera. In jeans e giacca sportiva, proprio come ci si veste per una chiaccherata tra amici al bar, il fascinoso Richard si è messo subito comodo sulla poltrona che nelle edizioni precedenti ha ospitato grandi registi come Michael Cimino, Jim Jarmush, Sydney Pollack, Joel Coen e Ethan Coen, Sidney Lumet, David Lynch e non ultimo Terrence Malick, che diresse nel lontano 1978 I giorni del cielo, film d'esordio che ricevette la Palma d'Oro per la Migliore Regia (nello stesso anno in cui Apocalypse Now vinse come Miglior Film) e che valse a Gere il David di Donatello come Migliore Attore Straniero.
Proprio le immagini tratte dal film di Malick hanno aperto le danze dell'incontro, in particolare la scena che ritrae Richard Gere giovanissimo recitare al fianco di una splendida nella scena in cui i due parlano del loro futuro in riva alle acque di un fiume. "Ricordo che avevo appena compiuto 26 anni quando iniziai a girare I giorni del cielo e ne avevo 29 quando il film uscì in sala", ha dichiarato l'attore sorridendo - "Terence è così, ci mette una vita a fare un film, non era mai soddisfatto del nostro lavoro e quel che rendeva la cosa ancora più complicata era che non sapeva neanche spiegarci quel che secondo lui non andava". Seguirono un anno di montaggio dopodiché i produttori, stanchi dei tempi decisamente dilatati del cineasta americano spinsero affinché il film fosse completato e rilasciato nelle sale. "Terence è uno straordinario regista, un artista particolare di grande talento che però rendeva il periodo delle riprese un po' frustrante per i suoi attori" ha affermato Gere ricordando la sua prima complessa esperienza di attore sul set con uno dei registi più introversi ed enigmatici del cinema contemporaneo. "Ricordo che arrivai a prenderlo da parte per chiedergli: si può sapere che cosa vuoi che faccia? Lui mi rispose che voleva esattamente quel che era appena accaduto, provocare in me una determinata reazione. Ed aveva ragione, la vita accade e basta e noi ne facciamo parte come gli altri elementi presenti in natura, come l'acqua, il fuoco e il vento. E' per questo che amo il suo cinema, il suo stile narrativo e la sua visione del mondo. Che poi riesca a spiegarsi o meno non è troppo importante. Non finirò mai di ringraziare Terence per avermi scelto, è stato un inizio difficile ma fondamentale per la mia carriera e per la mia evoluzione di attore". E se I giorni del cielo è stato fondamentale, Pretty Woman è stato sicuramente il film che lo ha consacrato come uno degli attori più amati di Hollywood, anche a giudicare dagli applausi scatenatisi in sala dopo la proiezione della scena che lo vedeva amoreggiare e scherzare in una lussuosa vasca da bagno in compagnia di una seducente Julia Roberts.Grandi classici, commedie sentimentali, film in costume, musical, Richard Gere ha dimostrato, specie negli ultimi anni, di essere un attore estremamente versatile dopo essere stato un sex-symbol, emblema del romanticismo e della seduzione come in passato fu considerato Clark Gable. Grandi film e piccoli film, da Sommersby a The Jackal, da Se scappi, ti sposo a Chicago, da Shall we dance? a Cotton Club, da L'angolo Rosso fino all'omaggio a Bob Dylan con Io non sono qui, da Ufficiale e Gentiluomo a Il Dottor T e le donne. Pellicole famose che lo hanno portato a lavorare con grandissimi registi, i più grandi di Hollywood come Robert Altman e Francis Ford Coppola con i quali ha lavorato rispettivamente per Il Dottor T e le donne e Cotton Club ricavandone impressioni diverse ed insegnamenti importanti. "Con Robert sembrava essere sempre tutto improvvisato, considero davvero ottimo il lavoro che ho fatto con lui perchè essendo un grande scrittore riesce a costruire tutto il film in fase di sceneggiatura", ha ricordato Gere tra una risata e l'altra. "Ricordo che dovevo recitare al centro esatto tra tre o quattro cineprese puntate simultaneamente sulla scena e lui collegato via radio con i cineoperatori diceva loro cosa fare esattamente, da che parte muoversi e cosa riprendere" - ha raccontato l'attore spiegando come questa fosse una prerogativa di Altman scaturita dalla lunga esperienza televisiva del regista - "la cinetica presente nel suo metodo di lavoro rende tutto più fluido, fa sì che tutto sia sempre in movimento, nonostante il suo modo di raccontare sia profondamente strutturato Robert utilizza gli elementi in suo possesso per creare l'illusione del movimento, nessuno più di lui ha le idee chiare su quel che è reale e quel che non lo è". Leggerezza, simpatia e ironia hanno caratterizzato l'incontro di Gere con il folto pubblico accorso in sala, ma non sono mancati i momenti di serietà e di riflessione come quello che ha seguito la proiezione di uno spezzone tratto da L'angolo rosso, precisamente l'intensa scena ambientata in tribunale in cui il suo personaggio si confronta aspramente con le autorità giudiziarie cinesi colpevoli a suo giudizio di averlo condannato ingiustamente per reati mai commessi. Inevitabilmente il pensiero di tutti è volato al Tibet e al dramma dei monaci buddisti perseguitati e repressi dal governo cinese: "Faccio spesso un bilancio di quel che sono stato capace di fare per gli altri nella mia vita e la risposta è che non ho fatto poi molto" - ha candidamente ammesso Gere - "prendete ad esempio la questione del Tibet, ne ho parlato, ho cercato con ogni mezzo di attirare l'attenzione sul dramma vissuto da quella gente ma non so dirvi se sono riuscito veramente ad aiutarli". Un piccolo contributo il suo che ha contribuito ad aprire la porta alla speranza, a far discutere a sensibilizzare l'opinione pubblica su un argomento assai complesso. E' stata poi la volta della proiezione di un montaggio davvero insolito che ha mostrato in sequenza tre clip estratte rispettivamente da Chicago, Shall we dance? e Cotton Club, tre pellicole assai diverse tra loro che mettono in risalto, montate una di seguito all'altra, la sua grande ecletticità nei panni del ballerino, del cantante e del musicista. E parlando di Cotton Club Gere ha voluto dire la sua anche a proposito della sua esperienza al fianco del grandissimo Francis Ford Coppola per ben tre volte: "L'ho visto recentemente e l'ho trovato un film davvero divertente uscito fuori non si sa bene in che modo. Dico questo perchè con Francis tutto era aleatorio, non c'era mai una sceneggiatura da seguire o una scaletta, è un vero miracolo quel che siamo riusciti a fare sul set", ha dichiarato l'attore. "In quel momento Francis non attraversava un periodo facile della sua vita, era impossibile per lui in quel periodo mettersi seduto davanti a un foglio bianco a scrivere". Gere ha definito il maestro Coppola come un cineasta supremo, dotato di un senso epico molto spiccato, il creatore dei primi due film de Il Padrino che continueranno per decenni ad essere considerati come i più bei film della storia: "Credo che quelli ottenuti insieme a Francis siano i risultati più alti mai ottenuti nella mia carriera" - ha continuato Gere - "la grandiosità della sua narrazione, la sua ironia e la sua enorme passione per i dettagli, confluiscono nelle sue storie rendendole divertenti e profonde allo stesso tempo. Grazie alla sua regia e ai suoi movimenti di macchina diventano armi potentissime che nessuno sa usare meglio di lui". Immancabile la parentesi dedicata ad American Gigolò, con la proiezione della scena in cui in un locale abborda una donna che in realtà gli confessa di voler solo esercitare il suo francese, e quella tratta da Ufficiale e gentiluomo con la proiezione della scena finale in cui con addosso la sua stupenda uniforme da marinaio entra in fabbrica per ricongiungersi con la sua amata. Ed è proprio riferendosi a questi due film che Richard Gere ha confessato di aver avuto, ad un certo punto della sua carriera, il problema che di solito hanno le grandi dive: "Ci sono stati dei momenti in cui la mia notorietà ha un po' oscurato e fatto passare in secondo piano le mie doti di attore" - ha dichiarato Gere - "e pensare che in realtà quel personaggio avrebbe dovuto essere interpretato da John Travolta, in quel periodo all'apice della sua carriera". Ripensando in particolare ad American Gigolò Gere si è lasciato andare ad un momento di commozione ricordando l'amico Ferdinando Scarfiotti, scenografo vincitore del Premio Oscar nel 1987 per L'Ultimo Imperatore di Bernardo Bertolucci (con il quale lavorò anche per Ultimo Tango a Parigi, Il Conformista, Il piccolo Buddah e Il the nel deserto) scomparso nel 1994 e ricordato dall'attore come uno dei più grandi scenografi del mondo: "Mi disse di voler sperimentare per il film uno stile che si avvicinasse il più possibile a quello di Bertolucci, gli sarò sempre grato per tutto quello che ha fatto per me, come professionista e come amico" - ha detto Gere con la voce rotta dall'emozione. "Ho pensato ad American Gigolò quando è scomparso Ferdinando, è stata una sfida difficile interpretare quel personaggio, per tutta una serie di motivi, ma decisi che era venuto il momento di mettermi in gioco ed il tempo, come anche il successo ottenuto, mi hanno dato ragione".
L'incontro con il divo si è concluso con una rassicurazione per le fan preoccupatissime di dover rinunciare a lui qualora gli fosse venuto in mente, come spesso accade agli attori più amati, di passare dietro la macchina da presa ed accantonare il suo mestiere originale: "State tranquille, non ho alcuna intenzione di diventare regista ed il motivo è semplice: come attore mi sono sempre sentito libero, ho sempre collaborato con tutti i registi con i quali ho lavorato, non mi sono mai sentito stretto nel mio ruolo di interprete, quel che porta un progetto dall'inizio delle riprese fino alle sale cinematografiche è un processo creativo e produttivo non di una sola persona ma di tutti. Per questo non sento per ora l'esigenza di dirigere un film tutto mio, tutti i film che ho interpretato li ho sempre sentiti miei".