Nobody knows what's going on, that's the problem. The people knows the least, talks the most
A volte è davvero incredibile la vita seriale dei progetti. Quello che inizialmente doveva essere un film ma poi ha raggiunto il chiacchiericcio generale come stagione antologica di Ryan Murphy con Sarah Paulson è divenuta infine una miniserie di Apple TV+ con ben altri nomi altisonanti davanti e dietro la macchina da presa. Spiegheremo tutto nella nostra recensione di Cinque giorni al Memorial, l'ultimo in elenco di una serie di prodotti della piattaforma da non perdere, soprattutto se vi piacciono le storie vere e moralmente controverse, disponibile dal 12 agosto.
Cinque giorni da incubo
Cosa può accadere in soli cinque giorni? È questo che si chiede Cinque giorni al Memorial, tratta dall'omonimo bestseller del 2013 di Sheri Fink: lo stesso anno i diritti vennero acquisiti da Scott Rudin che ne voleva fare un film con Eli Bush. Ma è nel 2017 che il progetto salta davvero all'attenzione dei media quando viene adocchiata da Ryan Murphy, che aveva già cambiato idea sulla nuova stagione antologica di American Crime Story: doveva essere la seconda e poi la terza stagione, raccontando l'inadempienza del governo degli Stati Uniti nel gestire l'emergenza senza precedenti dell'uragano Katrina a New Orleans (come già aveva splendidamente fatto Treme sulla HBO). La scelta di Murphy ricade poi su quanto raccontato nel libro, concentrandosi sul Memorial Hospital, con Sarah Paulson chiamata a interpretare la controversa dottoressa Anna Pou. Il progetto ancora una volta non riesce a decollare ed è nel 2019 che viene ufficialmente ordinata dalla nascente Apple TV+ come limited series con Vera Farmiga nel ruolo principale e come co-showrunner nientemeno che Carlton Cuse e John Ridley. La storia si concentra sui cinque giorni che seguirono l'arrivo dell'uragano Katrina e come l'emergenza venne gestita, con i pochi mezzi e le difficoltà che avevano, dallo staff, dai pazienti e dalle famiglie del rinomato e storico Memorial Hospital. Un ospedale che ne ospitava un altro al proprio interno, ma le cui due gestioni non comunicavano al meglio, e un edificio che non aveva le difese adatte per una calamità naturale di tale portata (ma tutta la città in realtà non le aveva). Di fronte a tutto questo, alla temperatura che saliva incessante, alla corrente che andava via e all'acqua che continuava ad arrivare inesorabile, medici e infermieri del Memorial si trovarono di fronte a una situazione ingestibile ma che sicuramente sarebbe potuta essere affrontata meglio: all'arrivo degli aiuti dopo quei cinque giorni da incubo furono trovati ben 45 cadaveri nella cappella dell'ospedale. 45 per 5 giorni.
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Capro espiatorio?
Bisognava incolpare qualcuno per tutto ciò che non aveva funzionato e la colpa andò alla dottoressa Anna Pou, medico che aveva deciso di rimanere durante l'emergenza, che si sospettò avesse iniettato una dose letale a un numero elevato di pazienti. Secondo la versione della donna, "per aiutarli nel loro dolore, a non soffrire più", o in realtà per ovviare al problema delle troppe persone da evacuare entro troppo poco tempo dalla struttura, secondo l'accusa. Stimata e rinomata da tutti, soprattutto nella comunità medica locale, la dottoressa fu travolta da un circo mediatico e professionale che ebbe risultati davvero inaspettati. Un circo durato qualche anno e raccontato nella seconda metà della miniserie, dopo che vengono raccontati i fatidici cinque giorni nei primi cinque episodi, con un ritmo incalzante che il co-creatore di Lost e Bates Motel Carlton Cuse e il regista di 12 anni schiavo John Ridley conoscono bene, tenendo lo spettatore incollato alla poltrona per l'orrore che sta vedendo verificarsi sotto i propri occhi, sapendo che è una storia dannatamente vera. Nella seconda metà il ritmo si dilata, passando più ad una riflessione sulle conseguenze e al lato prettamente legal e investigativo della sciagurata faccenda.
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Un'eroina o un mostro?
Vera Farmiga si conferma eccezionale nell'interpretare tutte le sfumature della dottoressa Anna Pou e soprattutto il suo aver continuato a sostenere fino all'ultimo le proprie buone intenzioni in quelle orribili circostanze, in cui chiunque sarebbe stato messo alla prova. Ma anche il resto del cast compie un lavoro incredibile, senza mai scadere nella retorica o nelle facili esasperazioni recitative per una tragedia come questa, ancora fin troppo fresca nonostante siano passati più di 15 anni: tra tutti citiamo Cherry Jones e la sua Susan Malderick, che si ritrova suo malgrado a capo della gestione del doppio ospedale e senza un piano di evacuazione previsto in caso di allagamento. Circostanze impossibili che Jones assorbe e fa proprie, mostrando tutta la fermezza e allo stesso tempo la vulnerabilità di una persona al comando. Lo show, che si muove sempre nei toni dell'equilibrio e della neutralità, senza mai dare pienamente ragione a nessuno ma presentando i fatti e al massimo i sospetti nei confronti dei personaggi, fa un lavoro incredibile di ricostruzione non solo da filmati di archivio ma soprattutto da una vera e propria messa in scena dell'uragano Katrina, imponente e inquietante per il realismo messo in atto, tanto da far stringere i denti al pubblico che pregherà di non trovarsi mai in una situazione del genere. La serie solleva anche i dilemmi morali e etici, come già aveva fatto Dr Death, del "Non recare danno", primo e più importante giuramento della comunità medica, che qui viene sviscerato sotto tutte le sfumature e gli aspetti "interpretabili". In questo frangente rilevanti non sono solo i due agenti decisi a smascherare e perseguire Anna Pou ma soprattutto Il Dr. Horace Baltz, interpretato da Robert Pine che gli dona una tale sincerità e consapevolezza, mostrando un perfetto contraltare alla Pou. Lei è quindi un'eroina o un mostro sotto mentite spoglie? Il serial lascia al pubblico la sentenza, ricordando come sia stato realizzato in onore dello spirito di New Orleans, che nonostante la terribile tragedia non è mai morto.
Conclusioni
A chiusura della nostra recensione di Cinque giorni al Memorial tanti sono gli elementi che testimoniano come fosse una storia che doveva essere raccontata: la crudezza di quanto accaduto, splendidamente messo in scena a livello tecnico, e la terribile presunta verità di quanto compiuto dalla dottoressa Anna Pou in quel frangente, meravigliosamente interpretato da Vera Farmiga e dal resto del cast.
Perché ci piace
- La cura e la tensione palpabile nella messa in scena a livello tecnico e nella scrittura e regia di Carlton Cuse e John Ridley.
- Le interpretazioni sopraffine del cast, a partire da Vera Farmiga, Cherry Jones e Robert Pine.
- La tematica della morale ed etica medica già affrontata in Dr. Death.
Cosa non va
- Qualcuno potrebbe trovare un po’ di retorica in alcuni dialoghi.
- La serie stancherà chi non cerca più storie vere ma preferisce quelle originali di finzione.