Con questo articolo intendiamo non soltanto portarvi a riscoprire Chocolat, cult di inizio millennio molto spesso dileggiato da una certa frangia di pubblico, ma anche a recarvi nelle sale per andare a vedere Il gusto delle cose, arrivato nei nostri cinema proprio in questi giorni con un premio per la miglior regia a Cannes nel glorioso palmares.
Come avrete intuito dalla premessa, le due pellicole seppur assai diverse tra loro vantano due fondamentali punti in comune: uno è la presenza nel cast dell'attrice premio Oscar Juliette Binoche, l'altro è relativo al fatto che in entrambe le storie l'elemento chiave sia il cibo. Se nel primo come già il titolo ben esponeva erano i dolci a farla da padrone, nel secondo - un raffinato dramma in costume - è una gastronomia più ampia e a tutto campo a legare i rapporti tra i due protagonisti. In ogni caso, dove c'è cucina c'è amore.
Mangia che ti passa
In Chocolat, il film diretto nel 2000 da Lasse Hallström, la malcapitata protagonista si ritrovava suo malgrado osteggiata nella piccola comunità nella quale si era da poco trasferita insieme alla figlioletta; una comunità vittima di quel fanatismo religioso spinto alle più estreme conseguenze, tanto che la povera Vianne - atea fino al midollo - viene etichettata subito come una strega. Un contesto più quieto invece caratterizza il lavoro di Trần Anh Hùng, regista vietnamita naturalizzato francese e candidato all'Oscar per il bellissimo Il profumo della papaya verde (1993). Ne Il gusto delle cose siamo in Francia sul finire del diciannovesimo secolo, nelle verdi campagne dove si trova l'ariosa dimora del famoso gastronomo Dodin Bouffant, che condivide il tetto e la sua quotidianità con l'amata Eugénie, una cuoca eccezionale che nonostante il reciproco sentimento ha sempre rifiutato di sposarlo. Almeno fino ad ora...
L'arte del cibo
Due sceneggiature assai distanti tra loro, che riescono però a mettere in risalto la passione per l'arte culinaria, qualunque essa sia. Due stili molto diversi anche da parte dei due cineasti, con quello laccato e patinato di Hallström che strizza l'occhio al grande pubblico nella realizzazione e relativa messa in mostra di queste leccornie che cambiano la vita delle persone, trasformando l'algida comunità in un luogo migliore e meno dogmatico. Invece ecco che Il gusto delle cose offre un racconto più intimo e riservato, nel tratteggio di queste emozioni in divenire dai toni sempre più dolce-amari. E anche lo stesso modo di osservare il cibo, in quella sua ciclicità a tratti ridondante ma incredibilmente affascinante, è più meticoloso oltre a offrire una varietà di piatti di ogni tipo davanti all'occhio vigile della camera: primi, secondi, dolci e qualsiasi pietanza vi viene in mente, cucinati con uno stile raffinato e appetitoso al contempo, anche per lunghe sequenze nelle quali si assiste unicamente all'esecuzione delle ricette.
Il gusto delle cose, la recensione: cucinare per vivere, vivere per cucinare
Galeotta fu la cucina
Anche una sfida tra due spasimanti, ovviamente pure in quest'occasione ben diversi tra loro. L'affascinante gitano di Johnny Depp, giunto in città e inviso anch'esso inviso da gran parte della popolazione, ha fatto sognare e innamorare milioni di spettatrici in ogni angolo del mondo, quando i processi e le accuse per il magnetico divo erano ancora un qualcosa di assolutamente inimmaginabile. Nel film ora in sala Juliette Binoche ha perso invece nuovamente la testa e il cuore per una sua vecchia conoscenza, quel Benoît Magimel conosciuto sul set de I figli del secolo (1999) e con cui ha avuto non soltanto una relazione durata quattro anni ma anche una figlia. Una sorta di realtà che si rispecchia nella finzione, con il regista che sfrutta con sensibilità e intelligenza le macerie del loro reale legame passato per restituire veridicità a quelle emozioni affrontate dai rispettivi personaggi, nel corso delle due ore di visione.
In entrambe le occasioni naturalmente a dominare la scena è l'iconica attrice, ancor oggi splendida a dispetto delle sessanta candeline da poco spente sulla torta. Se in Chocolat si faceva forza su una freschezza genuina e contagiosa, assolutamente idonea alla sua combattiva e indomita protagonista, ne Il gusto delle cose si porta addosso una leggiadra consapevolezza, alle prese con una figura non semplice, adattandosi con magistrale sinuosità alle impervie di un ostico destino.