"È tutta una tragedia!", scherza al telefono Chiara Celotto, dopo averci raccontato le paturnie di un mondo - non solo cinematografico - decisamente complicato. L'attrice, classe 1997, è la protagonista femminile di La casa degli sguardi, esordio alla regia di Luca Zingaretti. Talento vero, volto incredibile, anima colorata ("adora far ridere le persone", leggiamo nella sua bio). Chiara Celotto l'abbiamo vista in quella folgorazione di Mixed by Erry di Sydney Sibilia, e poi in tv al fianco di Massimiliano Gallo in Vincenzo Malinconico, avvocato, e prossimamente eccola pure su Netflix nella serie Sara.

Nel debutto di Zingaretti interpreta Paola, in qualche modo legame emotivo del protagonista, Marco, interpretato da Gianmarco Franchini, asfissiato da un dolore incommensurabile. Film delicato, umano, che rispecchia a pieno il regista. "Zingaretti in realtà è una persona molto riservata, e nel film traspare una certa delicatezza", spiega l'attrice. "Al tempo stesso è un regista presente, e sicuramente questo suo modo di essere nel film lo ritroviamo. Un film che andava disegnato in questo modo, senza sfociare mai nel melodramma o nel banale. Ci sono molti sentimenti, tenerezza e violenza, tutto molto in bilico".
Chiara Celotto: la nostra intervista
La casa degli sguardi è un film vero, universale, capace di raccontare i sentimenti nel modo più naturale possibile. "La maggior parte delle persone può ritrovare se stessa al cinema, e con questo film puoi entrare in empatia. Si riconoscono certe problematiche, certi temi, dalla genitorialità al lutto. Ci sono persone semplici, e aiuta nel ritrovarsi in una certa umanità. Non accade spesso, ma la storia punta al rapporto e alla complicità, tra contrasti, amore, amicizia", prosegue Chiara Celotto, mentre la teniamo al telefono per un'intervista di oltre mezz'ora.

Dolore, accettazione, catarsi, difficoltà. Nella sceneggiatura, ispirata dal romanzo di Daniele Mencarelli, viene fuori uno spaccato strettamente contemporaneo. Per l'attrice, la sua generazione ha "Difficoltà nell'innamorarsi". Spiega: "Con i miei coetanei mi confronto con la difficoltà di innamorarci. Si rispecchia la paura di tutto, della vita, delle responsabilità, di un passo importante. Siamo nel mezzo di una società pietrificata".
L'importanza di essere emotivi
E prosegue, "Non c'è più il senso della più nobile conquista, si ottiene tutto con un click. Si perde il valore delle cose. Conosci una persona tramite schermo, poi la incontri solo per un obbiettivo. Tutto veloce e tutto superficiale. Questo porta alla noia, e toglie valore a ciò che si incontra. Si evita l'emotività, in una dimensione che non tocca e non scalfisce".
Una standardizzazione che si può ritrovare anche nel mestiere dell'attore? "Spero non accada mai, perché ogni provino è una conquista. Uno step, e devi cercare di avvicinarti alla vittoria e al ruolo, è tutto un percorso più faticoso del set a livello psicologico. Magari ti innamori di un personaggio che poi non va a te. Non è come con gli esami che puoi ridarli".
Il lavoro dell'attrice, oltre l'icona
Chiara Celotto fa parte di una stupefacente generazione attoriale. Intelligente, preparata, disponibile, sincera. "Forse abbiamo più consapevolezza rispetto all'attualità, capiamo meglio certe dinamiche", dice l'attrice, "Affrontiamo dinamiche che i più adulti non comprendono, e tutto è trasformato anche dalla tecnologia. Ti parlo di sentimenti ed emozioni. Il tema dell'amore è cambiato rispetto ai miei genitori, nonostante la loro generazione non sia così distante dalla mia".

Dall'altra parte, c'è una produzione audiovisiva colma di possibilità, nonostante serva sempre il titolo giusto. "Almeno in Italia, il film è vincente se ti fa spiccare. Siamo pieni di attori bravi che non spiccano nel film giusto, e noto che oggi si lavora molto grazie a certi progetti e certe capacità". Poi, un sussulto sui premi. "I David? Certo, ci penso. Ma per quanto riguarda i riconoscimenti, non è una dinamica oggettiva. Ci sono tanti parametri. Se sei in voga, è in voga la tua carriera. È questione di moda e di icona. L'attore fa tanti lavori, è anche uno sponsor, un modello. Se non sei iconico sei indietro". Tuttavia, Chiara Celotto rimarca la sua tangibile nobiltà intellettuale: "Tutto questo puoi scegliere di non farlo, facendo solo ciò che ti piace, senza indossare magari dei capi importanti. E non è il mio obbiettivo".
Un'iconizzazione che passa attraverso la promozione, e la propria cura dell'immagine. Un lavoro dentro un altro lavoro, fatto di photo-shooting e interviste tutte uguali. "Alcune volte mi sento priva di materiale, se rispondi sempre alla stessa domanda. Per me è complicato, e anche imbarazzante, mi imbarazza parlare in pubblico. Però mi sto allenando. Sono felice quando il film viene presentato in un festival, penso a La casa degli sguardi alla Festa di Roma. È stato bello. Tuttavia, le conferenza stampa sono un momento complicato, ci sono tempi ridotti, e quando ricevi domande più complicate non sai bene cosa fare. Sei lì che ti devi inventare qualcosa. E poi è difficile rispondere alle domande banali". Come biasimarla?
Il fattore "follower"
L'altra paturnia, arriva da quei casting che puntano più sulla quantità dei follower invece che sulla qualità dell'attore. "Ti ritrovi a sentire roba che per fare un film devi avere molti follower. Se non li hai, non lavori. Fortunatamente, sia Sidney che Zingaretti mi hanno scelto per la bravura, hanno puntato su di me, su ciò che potevo offrire. E questo è ciò che mi piace".

E continua, "Sono però felice del percorso che ho fatto, tra accademie e diplomi. Poi, bisogna vedersela con chi fa i reel di un minuto e ha popolarità senza una vena artistica. Ti ritrovi a confrontarti con persone che non hanno lo stesso studio e lo stesso percorso. Così è tutto più facile, faccio dei video simpatici, mi faccio un seguito... Ma non funziona così".
I ruoli comici
Mancano forse le giuste guide? Per Chiara Celotto, i punti di riferimento cambiano in base alla sua evoluzione. "Come mi trasformo io, si trasformano i miei punti di rifermenti. Ora mi sono concentrata su Emma Stone, strepitosa, l'ho amata in Povere Creature!. È naturale e particolare. Ho avuto dei riferimenti, ho guardato con attenzione Hitchcock o Billy Wilder. La mia infanzia poi è popolata da Totò, un punto di riferimento per la comicità. Il punto di riferimento assoluto non ce l'ho, cerco di capire cosa mi piace e cosa non mi piace. E questo l'ho imparato in accademia, vedendo gli spettacoli. Osservavo il teatro che non mi piaceva per capire cosa non avrei voluto fare. Tutto cambia, mentre cambio io".

A proposito di Totò, e a proposito della sua verve comica, Chiara Celotto rivela che "Mi piacerebbe fare un ruolo comico, la comicità mi porta a godimento. Ahimè, in Italia devi essere esteticamente particolare, o fare la spalla di un attore comico, per avere ruoli divertenti. Quando mi è capitato con Diversi come due gocce d'acqua, una commedia, ho trovato il personaggio drammaticamente comico, come insegna Eduardo. Non volevo far ridere, ma risultare buffa. La comicità sta nelle situazioni più che nelle battute. Anche in Malinconico c'era della comicità, ma funzionava in coppia con Massimiliano Gallo. Era il contesto a creare situazioni divertenti".