Dopo ogni chiusura di festival, grande o piccolo che sia, dopo ogni cerimonia di premiazione di un evento cinematografico, dagli sfavillanti Oscar ai nostrani David di Donatello, è sempre la stessa storia: nessuno è mai veramente contento del "risultato", e spesso tra cinefili e addetti ai lavori si discute e ci si confronta, a volte si arriva addirittura a litigare o a minacciare (non si sa bene chi) di non seguire più queste manifestazioni e di non curarsi più dei premi che assegnano. L'abbiamo visto in questi giorni dopo l'assegnazione del Leone d'oro al film di Lav Diaz, The Woman Who Left, ma lo stesso era successo qualche mese fa dopo la vittoria a sorpresa di Ken Loach a Cannes, o qualche settimana prima in occasione dei David di Donatello; ed ovviamente succede praticamente sempre, da ottant'anni a questa parte, tra febbraio e marzo quando si parla di Oscar.
Perché queste scelte fanno discutere così tanto? La risposta è piuttosto semplice: se è vero che, come si suol dire, in Italia siamo 60 milioni di allenatori di calcio, nel mondo ad essere appassionati e critici di cinema siamo in miliardi; il che vuol dire che non importa se abbiamo visto un solo film oppure cento tra quelli presenti, quando si dà un premio ad un'opera cinematografica, ad un regista o ad un attore, tutti ci sentiamo in diritto, e talvolta in dovere, di dire la nostra opinione e contestare quella della giuria o dell'Academy.
Se lo chiedete a noi, tutto questo è sì un paradosso, ma assolutamente positivo; è una dimostrazione di quanto l'argomento "cinema" sia ancora vivo nel cuore della gente e di quanto il cinema sia non solo l'arte moderna più popolare, oltre che sintesi e unione perfetta di tutte quelle che l'hanno preceduta, ma anche il fenomeno culturale, sociale e mediatico più importante della nostra epoca. E proprio per questo non c'è da stupirsi di tutte le polemiche che si susseguono e che, anno dopo anno, non sembrano fare altro che aumentare lo scontento di cinefili e spettatori casuali, critici e organizzatori.
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Il ruolo dei festival e dei premi
A cosa serve un festival cinematografico? Tralasciando trascorsi storici e interessi politici/economici, lo scopo di un festival cinematografico è sempre quello di dare visibilità a delle opere filmiche. Quanto più il festival è prestigioso e importante tanto più sarà ampia la visibilità del film che vi partecipa. Esistono festival e manifestazioni che si limitano a riproporre film già presentati altrove o addirittura già arrivati in sala; e poi ci sono i più importanti - Cannes, Venezia, Berlino, Toronto, Sundance etc etc... - che possono contare molto spesso sulle anteprime mondiali oltre che sulla presenza del regista e del cast, che hanno così la possibilità di presentare il loro film al mondo intero.
Se lo scopo quindi è quello di mostrare il film (spesso per la prima volta) al pubblico, alla stampa e alla critica, a cosa servono i premi di un festival? Di fatto a nulla, se non a incrementare la vendibilità di alcuni titoli e a invogliare registi e produttori a partecipare, ma serve sopratutto a livello mediatico, tanto al festival che ai realizzatori dei film ma anche alla stampa che può, ovviamente, sfruttare la competizione per rendere più appetibile per il grande pubblico qualcosa che di fatto non lo è: a chi interesserebbero altrimenti notizie su registi e attori a volte mai sentiti o film che non hanno visto?
Parliamo invece degli Academy Awards e di altri premi simili: anche qui tralasciamo quelle che furono le vere motivazioni di Louis B. Mayer e degli altri fondatori, e diciamo che gli Oscar nacquero nel 1929, ancora prima dei festival cinematografici (la prima edizione della Mostra di Venezia fu nel 1932) ufficialmente con uno scopo ben diverso, ovvero quello di premiare i film già usciti nel corso dell'anno. Gli Oscar, quindi, in realtà non sarebbero una competizione, ma semplicemente un modo che l'industria hollywoodiana inventò a suo stretto uso e consumo per autocelebrarsi e per onorare quanto era stato già fatto e mostrato anche al grande pubblico.
Se i media si sono "impadroniti" degli Oscar e li hanno resi un evento di interesse mondiale molto più grande di quello che in realtà sarebbero, è perché la presenza di divi e l'idea di trasformare in una "lotta" tra giganti quella che dovrebbe essere una semplice celebrazione è troppo appetibile per resistere alla tentazione.
Ha più valore un Oscar o una Palma d'oro?
Partiamo intanto da un'altra domanda: cosa comporta vincere un premio di questo tipo? Fondamentalmente è la stessa cosa. Per gli artisti vuol dire avere più prestigio, più potere contrattuale e vuol dire entrare nella storia del cinema. Per un film può volere dire anche maggiore successo commerciale in sala (ma non solo, pensate all'home-video o ai diritti TV) o, addirittura, fare la differenza tra l'essere distribuito o non arrivare in sala. Messa così è evidente che vincere un premio è importante, ma si tratta comunque di un qualcosa che ha valore soprattutto per chi lavora nel campo cinematografico, di certo non per il grande pubblico.
Eppure se Oscar, Palma d'Oro o Leone d'oro sono su tutti i giornali e sulla bocca di tutti è perché ormai è (stato reso) interesse di tutti ed è quindi giusto che tutti vogliano partecipare: perché se l'Oscar è ormai sinonimo di premio al miglior film dell'anno è giusto che chiunque sia chiamato ad esprimere il proprio parere. Provate pure a ragionare con qualcuno e far capire che si tratta del miglior film dell'anno non in assoluto ma per l'Academy, o che la Palma d'oro è scelta da una giuria molto ristretta. Difficilmente ci riuscirete.
Un'altra cosa che si sente dire molto spesso è che sì, va bene, gli Oscar ma in fondo non valgono nulla, non sono mica come la Palma d'oro o il Leone d'oro. Si tratta di un'affermazione assurda per tanti, tanti motivi, ma proviamo ad elencare le principali differenze:
1) Gli Oscar premiano alcuni film tra TUTTI quelli usciti nelle sale USA (normalmente un numero tra i 300 e 400 all'anno); i festival più importanti premiano soltanto i film selezionati da una commissione, raramente superano i 22 all'anno e devono provenire da diverse nazioni di tutto il mondo.
2) I membri dell'Academy chiamati a votare sono oltre 6000, tutti dello stesso ambiente (industria cinematografica statunitense) ma con professioni differenti; i membri di una giuria cinematografica sono un numero molto ristretto (in genere da 7 a 9), persone che molto spesso non si conoscono tra loro, arrivano da posti diversi del mondo e si occupano di cose diverse (che talvolta hanno anche poco a che fare con il cinema).
3) I film che prendono in esame i votanti degli Oscar sono tutti film arrivati in sala e quindi, detto volgarmente, più "commerciali", più adatti e vicini al grande pubblico (altrimenti in sala non arriverebbero); una giuria di un festival invece vede concorrere anche film che probabilmente in sala non arriveranno mai, o comunque loro stessi (per non parlare dello spettatore medio) non vedrebbero mai.
4) È certamente vero che i risultati degli Oscar sono in qualche modo influenzati dalle pressioni degli Studios, dalla promozione, da amicizie e inimicizie e, più in generale, dalla corruzione dilagante tanto ad Hollywood come in tutto il mondo; è altrettanto vero però che anche le giurie di un festival subiscono molte pressioni (spesso addirittura dettate da un interesse politico più che economico) o che tendono a votare per interessi patriottici più che culturali o cinematografici.
5) I membri dell'Academy sono liberi di votare - tra i film eleggibili ovviamente e tra le nomination in seconda battuta - in totale libertà e in totale anonimato, è un voto democratico e il risultato è matematico; le votazioni delle giurie sono dibattiti in cui è facile farsi influenzare, le loro scelte sono quasi sempre fatte di compromessi, e quindi - visto che le stesse regole dei Festival portano a premiare il maggior numero di film possibili (e quindi non solo uno per tutti i premi per esempio) per avere così palmarès che accontentino il maggior numero di persone - non rispecchiano mai veramente dei valori "oggettivi".
Cosa vuol dire questo, che gli Oscar sono meglio dei premi dei festival? Assolutamente no, vuol dire che non solo in realtà non sarebbero proprio paragonabili ma che, se proprio il confronto è necessario, è assurdo dire che gli Oscar non valgono nulla perché poco onesti e poi non fare lo stesso con i premi da festival perché, numeri alla mano, casomai dovrebbe essere il contrario. Perché mai 7-9 persone che giudicano 20-22 film (scelti da altrettante persone) che nessuno ha mai visto, dovrebbero essere meglio di migliaia di addetti ai lavori che scelgono tra TUTTI quelli che gli spettatori avevano a disposizione in sala? E da quando una giuria selezionata (da chi?) di pochissimi è meglio di un voto democratico di molti?
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Il paradosso dei Festival
La cosa veramente strana di questo dualismo è che l'opinione popolare sembri premiare e dare più prestigio alla soluzione elitaria e snob dei festival, e snobbare e trattare con sufficienza tutti i premi più commerciali, dagli Oscar a scendere. Se poi c'è un premio che - apriti cielo! - rimette la decisione agli spettatori veri e propri (tipo MTV Movie Awards, People Choice Award e in fondo, molto più in piccolo, anche i nostri Movieplayer Awards) quelli non valgono nulla perché la gente non capisce un tubo. E invece quelle 7/9 persone che probabilmente non hanno nemmeno mai visto in vita loro 20/22 film di seguito, e che quei tipi di film non li vedranno mai più nella vita, sono assolutamente degni di giudicare e assegnare i premi più importanti del mondo.
Sia chiaro, noi amiamo i festival e siamo felicissimi di farne parte, ma abbiamo sempre fatto fatica a capire la fascinazione, soprattutto di chi al festival non c'è, per questi premi. E non riusciamo a capire come questi premi festivalieri possano continuare ad avere così grande credibilità quando, come e più degli Oscar, continuano a snobbare film importantissimi: Birdman, Bastardi senza gloria, Non è un paese per vecchi, La grande bellezza, Drive, Carol, Il petroliere, Grand Budapest Hotel, Boyhood e tantissimi altri film molto amati dal pubblico e dalla critica sono tutti passati a Cannes, Venezia e Berlino negli ultimi anni e sono stati o completamente ignorati o non hanno comunque mai ricevuto il premio principale. Quando è capitato che gli Oscar hanno fatto lo stesso è successo il finimondo e quando invece sono stati proprio quelli dell'Academy a rimediare agli "errori" dei festival nessuno sembra averlo notato.
Il punto è che continuando a premiare film che quasi nessuno degli spettatori "normali" (intesi non da festival) vedrà, è più difficile che qualcuno possa criticarti. Ed è in fondo lo stesso motivo per cui film che invece veramente segneranno l'anno cinematografico quali Inside Out, Mad Max: Fury Road o Gravity (sempre per tenerci ad esempi recenti) non vengono inseriti in concorso, perché finirebbero per non essere premiati e sarebbe sempre più difficile giustificarne il motivo. Meglio quindi tenerli al di fuori dei giochi e lontani dalle inevitabili polemiche.
Toronto, la variabile impazzita
C'è poi il festival canadese che è molto più giovane - ha appena compiuto 40 anni - ma si è da subito imposto come uno dei più importanti al mondo grazie all'enorme numero di film presentati (in media sono 300, ma si è arrivati anche a pute di 450!) e soprattutto grazie alla presenza di tantissime anteprime mondiali e titoli e star di primissimo livello. Un'altra caratteristica del Toronto International Film Festival è la mancanza di una giuria e di un concorso: non esistono quindi premi come per gli altri festival e nemmeno premi divisi per categorie come per gli Oscar, ma semplicemente è il numerosissimo pubblico a decretare il "miglior film" attraverso il voto espresso dopo la proiezione.
Messa così il People's Choice Award del TIFF dovrebbe essere meno significativo e prestigioso degli altri, eppure con gli anni ha acquisito sempre maggiore importanza tanto da essere considerato il vero apripista di tutta la Award Race: con l'eccezione del meraviglioso E ora dove andiamo? di Nadine Labaki che conquistò il pubblico del festival canadese ma non l'Academy, nelle ultime 8 edizioni tutti i vincitori del premio sono stati candidati poi agli Oscar come miglior film (Precious, Il lato positivo - Silver Linings Playbook, The Imitation Game e Room) e addirittura in tre casi (The Millionaire, Il discorso del re e 12 anni schiavo) hanno conquistato l'ambita e prestigiosa statuetta. Non una giuria selezionata, non i critici, ma il semplice pubblico di un festival ha lanciato e condizionato i mesi decisivi e più chiacchierati dell'ultimo decennio cinematografico.
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Critica, pubblico o addetti ai lavori?
Qualcosa è cambiato negli ultimi anni anche a Venezia quando alcuni film già citati come Birdman, Gravity e Il caso Spotlight sono tutti passati prima dal Lido per poi arrivare fin sul palco del Dolby Theatre di Los Angeles, e non è un caso infatti che quest'anno film importanti e, come dicono gli americani, Oscar hopeful come La La Land, Jackie, Arrival, Animali notturni e La luce sugli oceani abbiano deciso di cominciare in Italia il loro viaggio. Nonostante i predecessori a Venezia non abbiano vinto nulla nemmeno quando erano in concorso, ma sono bastati l'attenzione e l'apprezzamento della stampa a dare il via al buzz.
Quest'anno pure non è andata troppo diversamente: Jackie si è dovuto accontentare di un premio alla (bellissima) sceneggiatura, il film di Chazelle di un riconoscimento ad Emma Stone e Tom Ford del secondo posto, eppure qualcosa ci dice che il pubblico di Toronto potrebbe consacrare ulteriormente proprio uno di questi film e spingerli ulteriormente verso la notorietà. Le scelte meno "commerciali" della giuria, invece, non avranno lo stesso effetto ma di certo aiutano un certo tipo di cinema che, senza i festival, verrebbe oggi completamente schiacciato e, sinceramente, non pensiamo che possa esserci nemmeno un cinefilo degno di tale nome che possa desiderare nulla di tutto questo in nome di una crociata contro film lunghi, film in bianco e nero, film "terzomondisti". Eppure, nonostante questo, in questi giorni è facile leggere di persone che auspicano premi di tipo diverso, premi che possano valorizzare film che la gente andrebbe a vedere in sala. O che, aggiungiamo noi, la gente vedrebbe in sala comunque, anche senza l'apporto della giuria veneziana o cannense.
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I festival di domani?
A nostro parere fa bene invece il festival cinematografico di stampo più tradizionale a mantenere la propria identità e a spingere - perché è evidente che la giuria, volente o nolente, comunque sceglie di seguire una certa linea, magari nemmeno troppo vicina al proprio gusto personale, tracciata dal direttore o dai predecessori - per un cinema che non ha altri sbocchi se non quelli dei festival, e fa bene quindi a insistere su autori come Lav Diaz, Amat Escalante o Andrei Konchalovsky. L'errore semmai è quello di non ammettere che già oggi, all'interno dei festival stessi, c'è comunque una convivenza quasi forzata con un cinema completamente diverso data dal voler/dover strizzare l'occhio ad Hollywood , a potenziali blockbuster e al pubblico delle grandi occasioni. Ne consegue la presenza di una stampa magari più generalista o comunque meno legata ad un certo tipo di cinema e quella di un pubblico, spesso molto giovane, che è attratto dalle star, dai grandi nomi e magari anche da un cinema più di genere. E ne consegue una certa (in)sofferenza verso i film che alla fine risultano i vincitori.
La domanda che viene spontaneo chiedersi, dopo questo Venezia 73 che sta facendo tanto discutere ma anche dopo lustri di esperienze simili, è quindi questa: perché ancora nessuno dei grandi festival ha deciso di affiancare ai premi tradizionali delle giuria anche uno o più della critica e del pubblico? Oltre alla paura di andare contro tradizioni decennali ma anche un po' obsolete, quale sarebbe il rischio di accettare ed ammettere che l'immagine e il ruolo dei festival sta ormai cambiando e non è più solo appannaggio di un solo modo di pensare? Saremo forse ingenui noi, ma tornare da Venezia o da Cannes con qualche polemica in meno e qualche film in più da "consigliare" ad ogni tipo di pubblico in più a noi non dispiacerebbe affatto.