All'incontro stampa seguito alla presentazione dell'interessante Certi bambini, i registi Antonio Frazzi ed Andrea Frazzi, insieme agli sceneggiatori, al produttore Rosario Rinaldo e al giovane protagonista Gianluca Di Gennaro, hanno raccontato approfonditamente la genesi del film e le motivazioni che hanno determinato la sua realizzazione, spaziando inoltre sulla dura realtà che esso vuole rappresentare.
Seguiamo qui i momenti salienti della conferenza stampa:
Potete dirci qualcosa sui protagonisti? In base a che caratteristiche li avete scelti?
Andrea Frazzi: Per il ruolo di Rosario cercavamo un attore che avesse essenzialmente due caratteristiche: innanzitutto doveva avere lo sguardo di un bambino (e questo è venuto fuori soprattutto nelle scene in compagnia della nonna), e poi doveva essere credibile mentre teneva in mano una pistola. Questa sorta di "congiunzione astrale" l'abbiamo trovata in Gianluca: appena l'abbiamo visto abbiamo detto "è lui".
Per quanto riguarda il ruolo di Caterina, doveva essere la classica immagine di ragazza che fa innamorare un bambino di 12 anni. Quello che attrae a quell'età è soprattutto la fisicità, l'aspetto fisico, tutto il resto viene dopo. Quello che chiedevamo a Miriam Candurro era essenzialmente questo.
Antonio Frazzi: Tra l'altro lei si trasformava quando iniziava a parlare in dialetto, e questa è stata un'altra caratteristica fondamentale: quella lingua straordinaria che è il napoletano fa venir fuori subito tutta una serie di emozioni, un vulcano che prima era nascosto.
Andrea Frazzi: Emanuela Garuccio doveva invece interpretare Gemma, una ragazza cieca, ed è stato uno dei ruoli più difficili in assoluto. Con lei abbiamo provato anche degli espedienti, ad esempio quello di "accecarla" davvero in alcune scene, facendola recitare senza vedere.Rolando Ravello e Arturo Paglia dovevano essere invece un po' come il diavolo e l'acqua santa, visto che uno è quello che alla fine, inaspettatamente, chiude la trappola intorno a Rosario, mentre l'altro è l'amico che però finisce per tradirlo.
Antonio Frazzi: Arturo tra l'altro lo conoscevamo già da diversi anni, aveva lavorato con noi in TV con Don Milani, Marcinelle e varie altre opere televisive.
Come e dove avete scelto le locations?
Andrea Frazzi: Il film è girato intorno e dentro a Napoli, nel Vecchio Mattatoio (che ora è completamente distrutto), nella metropolitana nuova, e poi a Salerno, Battipaglia e Bagnoli (in tutta la parte sul mare). L'idea di base era che il protagonista venisse dai quartieri per andare verso una città "del futuro": il problema è che Rosario, per arrivare a questo futuro, deve passare attraverso un percorso delinquenziale. E' il suo destino, ed è già segnato. La città in cui è ambientato il film potrebbe essere anche una qualsiasi città del sud del mondo: noi abbiamo usato Napoli perché offre moltissime possibilità a livello di linguaggio, humus e forze emotive: ma il film poteva essere tranquillamente ambientato anche a Rio De Janeiro o Buenos Aires.
Rosario Rinaldo, perché questa scelta di scrittura così composita, con un gran numero di sceneggiatori affiancati all'autore del libro originale?
Rosario Rinaldo: Io ho sempre voluto fare un cinema il più lontano possibile dalla televisione, partendo il più delle volte da romanzi: sono convinto infatti che il cinema abbia un grande spazio di ricerca, un vero e proprio mondo da ricomporre che parte dalla letteratura. La competenza di scrittura che avevamo raggiunto negli anni '60 e '70, e che in seguito è sparita, adesso si sta lentamente ricomponendo, e a mio parere questo sta avvenendo intorno ai giovani scrittori: il cinema, da solo, non ce la fa a raccontare bene i personaggi, e secondo me il nuovo sta proprio nei personaggi. Chi sta indagando in quella direzione sono proprio i giovani scrittori: da qui la scelta di Marcello Fois, che è a sua volta uno scrittore, e la decisione di coinvolgere nel progetto lo stesso Diego De Silva.
De Silva, come ha fatto, in questo film, a "tradire" sé stesso, "corrompendo" la sua scrittura e condividendola con gli altri?
Diego De Silva: In realtà nel realizzare il film non abbiamo "tradito" niente: questo film infatti somiglia moltissimo al libro. Abbiamo operato soltanto un'inversione di struttura per adattare la storia: il libro infatti comincia con l'omicidio e prosegue con il viaggio in metropolitana del protagonista che ripercorre le tappe salienti del suo passato recente. Nel film non potevamo usare quella struttura, non era la più adatta, quindi abbiamo deciso di far arrivare l'omicidio alla fine. Nello stesso tempo, il lavoro sulla sceneggiatura è stato fortemente emotivo: il film è un film sulla memoria, e la memoria non è mai consequenziale, ma anarchica, frammentata.
Fois, lei è un autore di romanzi gialli e noir. Questa storia ha un "cuore nero", e se sì, qual è?
Marcello Fois: Noi abbiamo cercato più la poesia che il "nero", in questa storia. Questo sembra atroce a dirsi, visto che si tratta di una storia così violenta: eppure, la nostra scelta è stata quella di restituire esattamente lo stesso impianto poetico presente nel libro. Il protagonista è un personaggio negativo, ma nello stesso tempo ha una componente che può generare un grande affetto. Volevamo evitare l'atteggiamento giudicante nei confronti di Rosario, e in questo siamo stati molto fedeli al libro, che mantiene uno sguardo "terso" nei confronti del protagonista, restituendone i difetti ma anche gli aspetti più positivi, la componente più affettiva.
Andrea Frazzi: Pur partendo da una storia che affonda le sue radici nella tradizione neorealista, noi abbiamo cercato un linguaggio che fosse legato alla memoria, sganciato da una mera narrazione "cronachistica" dei fatti. Abbiamo percorso altre strade, più "analogiche", legate più all'emotività che alla consequenzialità degli avvenimenti.
Perché la scelta di questo tema in particolare, quello della delinquenza minorile?
Andrea Frazzi: Io avevo letto il libro di Diego e mi aveva colpito moltissimo per come raccontava senza mezzi termini una realtà spiacevole, in un periodo in cui tutti vogliono far passare questo paese per un luogo zuccherato, in cui tutti sorridono e tutto va bene. Così chiamai Antonio, e venne fuori che anche lui aveva letto lo stesso libro e ne era rimasto ugualmente colpito: abbiamo contattato Rosario e, una volta incontratici e stabilito che ci "piacevamo", abbiamo cominciato a lavorare a questo progetto.
Antonio Frazzi: Alla fine si tratta di spinte interiori, sono proprio quelle che ti inducono a raccontare una certa storia in un determinato momento.
Andrea Frazzi: Io un contatto diretto con l'ambiente rappresentato nel film l'ho avuto, e risale al periodo in cui, subito dopo la laurea, facevo doposcuola ai bambini. Allora venni a contatto con degli orfanotrofi, e vidi una realtà davvero dura, terribile: per questo, avevo già un certo contatto "emotivo" con il tema trattato nel film, che è stato una spinta in più per realizzarlo.
A distanza di pochi giorni abbiamo visto Fame chimica, che tratta sempre di adolescenti in realtà particolarmente difficili, e il vostro film. E' il segno del ritorno del cinema italiano a temi più "veri"? Non vi pare che questo vada contro una recente tendenza del pubblico, che ultimamente vuole solo "fuggire" dalla realtà?
Andrea Frazzi: Io spero che il pubblico capisca e apprezzi il nostro intento: abbandonare Rosario significa abbandonare anche noi stessi, abbandonare il nostro futuro e la nostra stessa società.
Gianluca Di Gennaro, come sei giunto a lavorare in questo film?
Gianluca Di Gennaro: Io avevo lavorato già in teatro con mio zio, al teatro Cilea di Napoli, da lì Marita D'Elia (responsabile del casting dei bambini, ndr) mi ha notato e ha deciso di farmi fare il provino.
Che sensazioni hai provato rivedendo il film?
Gianluca Di Gennaro: Il film rappresenta la realtà così com'è, ed è una realtà che è importante venga rappresentata. Episodi come quelli raccontati nel film ne accadono tantissimi, e di molti io sono stato testimone. Sono realtà purtroppo molto diffuse.
Nel film sembra non esserci speranza. E' così?
Rosario Rinaldo: Nel film c'è una preoccupazione, un cruccio sempre presente: quello di dialogare con il pubblico, che è poi una tradizione del cinema italiano che dalla fine degli anni '70 e per tutti gli anni '80 è stata abbandonata. Noi ci siamo chiesti a chi ci rivolgevamo, e come dovevamo comunicarci: questo proprio perché il film è disperato, e finisce facendo vincere il pessimismo della ragione. Tra letteratura, cinema, televisione, fiction, e i vari altri mezzi di comunicazione, esiste un vero e proprio flusso, che parte dalla TV per coinvolgere tutti gli altri mezzi, senza divisioni nette. Nel nostro caso, dopo il libro è venuto il film, del film verrà realizzato un DVD che comprenderà probabilmente anche materiale d'archivio sulle realtà da noi affrontate: il nostro prodotto, insomma, si inserisce in un mercato più vasto, e la "speranza" che manca nel film viene recuperata proprio così: serve un mercato vasto per far circolare il più possibile il tuo messaggio.