Ogni Paese ha il proprio magnum opus letterario (o più di uno), che presto o tardi diventa un film o una serie tv per celebrarne la tradizione, la cultura, la rappresentazione della propria società e della propria storia. La Colombia trova un capostipite sicuramente nel Premio Nobel Gabriel García Márquez e nel suo romanzo del 1967 Cent'anni di solitudine, considerato tra i libri più significativi del '900. Ora quell'opera così importante, che ha influenzato molti scrittori, diventa un altrettanto monumentale adattamento televisivo in lingua spagnola.
Cent'anni di solitudine: sette livelli per sette generazioni
In originale Cien años de soledad (oppure 100 Years of Solitude che dir si voglia), arrivata su Netflix, è sostanzialmente una grande epopea familiare che racconta l'origin story dei Buendía fino alla loro caduta. Si parte dal capostipite, José Arcadio, che fondò alla fine del XIX secolo la città di Macondo e che si unì alla cugina scatenando le ire dei familiari, tanto che alla coppia fu predetto che avrebbe partorito un'iguana come maledizione sulla stirpe. Una grande traversata, un'eredità difficile da costruire e da mantenere, il viaggio dalla povertà alla ricchezza e viceversa. C'è tantissimo materiale in questo racconto, che viene narrato - forse in modo un po' troppo classico e didascalico - da un narratore onnisciente "dal futuro", che quindi anticipa molti degli eventi che stanno per accadere, spezzando in parte il climax narrativo.
Uno stile letterario per la serie Netflix
Cent'anni di solitudine si mantiene fedele allo stile del romanzo originario: molte prolessi, rigore formale, frasi sontuose, il destino di una famiglia visto come se fosse già scritto dall'alto, da forze superiori. Una storia a metà tra leggenda e mito che dona al racconto un ralismo magico che possiamo ritrovare anche nell'adattamento a episodi. Come se la veridicità storica incontrasse il soprannaturale, creando un interessante "scontro" anche a livello formale, tra regia e fotografia che provano a rendere al meglio questo connubio singolare. Si vuole mettere in scena il boom latinoamericano degli anni '60 e '70, influenzato da veri movimenti come il modernismo occidentale (dell'Europa e del Nord America) e quello legato alla rivista cubana Vanguardia. Allo stesso tempo questa scelta potrebbe risultare faticosa per chi non è avvezzo a questo tipo di narrazione impegnativa da seguire, con un ritmo compassato e allo stesso tempo sbrigativo.
Un'opera imponente
A livello di messa in scena, si vede il grande sforzo produttivo e il cuore che hanno provato a mettere nel proprio orgoglio nazionale e storico. Dalle scenografie ricostruite il più possibile in location ai costumi, dal trucco e parrucco all'uso dei colori e della luce per rappresentare le differenti fasi della famiglia Buendía. O almeno una parte, dato che visto l'ampio materiale originale si è optato per due parti da otto episodi ciascuna. Anche gli interpreti scelti con cura cercano di rendere al meglio una storia di tali proporzioni ma finiscono spesso nella recitazione tipica delle produzioni in lingua ispanica: enfatizzata, esagerata, esasperata.
Non si può però non gioire che finalmente ci sia un adattamento che si è impegnato anima e corpo nel provare a (tras)portare su schermo un racconto così complesso e stratificato. Si dice che "nessun uomo è un'isola" ma la solitudine affrontata dalla narrazione è quella vissuta da tutti i personaggi, che si sentono soli contro il mondo pur avendo qualcuno vicino. Cent'anni di solitudine se vogliamo è anche una storia di sopravvivenza che attraversa guerre civili e un secolo di storia della Colombia, mentre questa cambia radicalmente proprio come i suoi protagonisti e allo stesso tempo rimane fedele a se stessa, pur non chiamandosi ancora così. Non ci resta che attendere la seconda parte di questo magnum opus a puntate.
Conclusioni
Cent’anni di solitudine era un adattamento televisivo che prima o poi doveva accadere visto ciò che rappresenta a livello locale e mondiale il romanzo originario. Una trasposizione complessa e su più livelli, non sempre facile da seguire e forse un po’ troppo classica e didascalica nella messa in scena, ma che restituisce le tematiche e i tanti anni affrontati dal racconto, tra storia con la S maiuscola e finzione magica. Una produzione imponente con un cast che prova a non essere costantemente in eccesso, non sempre riuscendoci.
Perché ci piace
- L’evidente enormità dell’impegno produttivo.
- Le tematiche affrontate, soprattutto la solitudine e sofferenza dell’umanità.
- Il realismo magico e la sua resa visiva.
- Lo stile classico che prova ad essere il più possibile fedele al materiale di partenza…
Cosa non va
- …ma finisce per essere un po’ troppo didascalico.
- Il narratore onnisciente potrebbe disturbare la visione.
- La recitazione a volte esasperata.
- State lontani se non amate le grandi epopee familiari.