... giurano fedeli eterna fedeltà a Sua Maestà. StarZ , dopo gli allegri massacri di Spartacus, stempera gli eccessi in una serie inedita ispirata ai cicli arturiani. Novella agghiacciante per coloro che già si figurano una versione medievale del suddetto scandita da sbudellamenti e accoppiamenti ginnici. Al contrario, Camelot è un prodotto in linea con gli standard di violenza e sesso concessi dalle cable, quasi mesto rispetto agli altri drammi in costume partiti da poco come The Borgias (Showtime) e Game of Thrones (HBO). Borgias, assieme a Camelot e Game of Thrones (questi ultimi girati, come I Tudors, in Irlanda - ci chiediamo di nuovo se non finirà come in quel di Cardiff dove le troupe di BBC si incrociano continuamente) forma un trio di period drama a target adulto che si distinguono per l'indagine sulle conseguenze del potere (scontri per la corona, faide familiari, delitti, intrighi, tradimenti) dove l'amore e la violenza - più o meno trucidamente esibiti - sono meri mezzi di conquista politica.
Tutti, nonostante le evidenti differenze - Camelot e Game of Thrones hanno un'ambientazione medievale fantasy ma l'azione del secondo è immersa in luoghi immaginari, Borgias non ha elementi fantasy e si colloca nell'Italia rinascimentale - manifestano la stessa dichiarazione di intenti, quello di avventurarsi, per l'appunto, in un discorso sul potere che intrighi lo spettatore. Curiosamente, sembra che il Nuovo Continente abbia deciso di farsi ricolonizzare dalla Vecchia Inghilterra, per la sorprendente preponderanza di location, staff e cast britannici che infesta le tre serie in oggetto e non solo. Camelot nasce, infatti, dalla collaborazione tra il Michael Hirst di Tudors e Chris Chibnall di Torchwood. Chibnall aveva già manifestato interesse per la leggenda di Re Artù qualche anno fa: sue alcune stesure di soggetti poi adottati da Merlin di BBC (successivamente finito nelle grinfie dei famigerati 4 J), tanto che gi spettatori di entrambe le serie possono notare che sia in Camelot che Merlin Morgana è erede al trono di re Uther Pendragon, e l'anelito alla corona è più sete di vendetta nei confronti di un padre ingiusto che cieca ambizione.
Chibnall, abbastanza audacemente, spoglia la mitologia della consacrazione arturiana di ogni connotazione soprannaturale. Lo scapestrato Artù estrae la spada nella roccia dopo una rocambolesca arrampicata risalendo una cascata e commenta con un "maddai!" il successo dell'impresa. A questo proposito, ci piace anche l'imposizione di un registro basso, colloquiale, filologicamente orripilante a discapito delle ampollose ricostruzioni della locuzione medievale.
Chibnall sceglie la leggenda più evocativa e rinomata della leggenda arturiana, quella della Dama del Lago, per decostruire la genesi del mito: Merlino ammanta di un alone mistico il terrificante eccidio del fabbro incaricato di costruire Excalibur e dell'innocente figlia, di fatto coprendo un duplice delitto con la favola della predestinazione divina del giovane Pendragon. Al quarto episodio di Camelot corrisponde una sensibile deviazione di intenti: quella che si prospettava come una sorta di soap opera fantasy di cavalieri e maghi assume i connotati di una dissertazione sul potere sullo sfondo dello scontro titanico tra due volontà opposte, quello di Morgana e di Merlino, e in cui Artù è un mero strumento. Se Artù rappresenta uno stadio del potere ancora in embrione, la fata e il mago incarnano i due successivi: mentre Morgana si lascia corrompere dal senso di onnipotenza trasmessole dalla magia, consapevole del prezzo da pagare -, Merlino ha già superato quella fase ma è ossessionato dal timore di ricadere irrimediabilmente in tentazione. La sua espiazione è la fondazione di un potere giusto incarnato nella monarchia di Artù, ma, come Morgana e Merlino racchiudono in sé sia il Bene che il Male, anche nell'ingenuo Artù si annida il seme della corruzione. Lo scarto tra princìpi e loro realizzazione, nonostante le doti di manipolazione di Merlino, è dato dall'esperienza, e nulla può il mago per impedire che l'infatuazione del giovane re per Ginevra, sposa del cavaliere Leontes, comprometta la costruzione del regno perfetto: naturalmente, sono le azioni degli uomini a fare la Storia, e lo spirito dell'Uomo (in questo caso Artù) è comandato dal desiderio (in questo caso per Ginevra).
Resta tutto da vedere il percorso eletto da Chibnall per Camelot, al bivio tra trasposizione fracassona e di facile intrattenimento e un prodotto più pretenzioso. Un punto a sfavore è senz'altro l'incontestabile recitazione canina di Joseph Fiennes (il suo Merlino convince molto di più sulla carta che davanti la mdp, per quanto produca la sua performance migliore dopo la prova di Le due verità), il quale scompare a fianco di interpreti ben più carismatici (seppur di passaggio) come James Purefoy (lo spavaldo re Lot), e ispirati, come Sean Pertwee (il fedele Ector) e la splendida Lucy Cohu, genitore adottivo capace in poche battute di restituire tutta la dolcezza e l'apprensione di una madre amorevole.
Più convincente e incredibilmente seducente, l'impudica, ossessionata e selvaggia Morgana di Eva Green, fedele all'iconografia contemporanea (l'unico che se ne discosta sensibilmente è Merlino - creatura fantasmagorica in cerca di espiazione - sparuto, rasato, dal volto segnato da una misteriosa cicatrice); da abbattere la bella e monocorde Claire Forlani nelle vesti della madre naturale di Artù, Igraine, da sopportare sperando che giunga l'illuminazione l'attore twilightiano Jamie Campbell Bower - fisico acerbo ma voce adulta - curiosamente convinto di stare interpretando il re delle onde di Miami Beach piuttosto che re Artù.