Tutto ciò che volevano erano le stesse risposte che noi tutti vogliamo: "Da dove vengo?"; "Dove vado?"; "Quanto mi resta ancora?".
Quando, il 25 giugno 1982, Blade Runner fa il suo debutto nei cinema americani, il pubblico statunitense è in visibilio per un altro film di fantascienza, uscito due settimane prima e impegnato a macinare un record dietro l'altro: E.T. l'extra-terrestre, ennesimo trionfo nella carriera del trentacinquenne Steven Spielberg. I due capolavori sci-fi del 1982, tuttavia, non potrebbero essere più diversi l'uno dall'altro: se il film di Spielberg è un perfetto prodotto per famiglie, che fa leva sulla figura dell'alieno per costruire una tenera parabola sulla forza dell'empatia, quello di Ridley Scott al contrario è una tenebrosa detective story incentrata sui temi della solitudine e della crisi d'identità. Alla radice dell'opera vi è il romanzo Il cacciatore di androidi (noto anche con il titolo Ma gli androidi sognano pecore elettriche?), pubblicato nel 1968 da uno dei giganti della narrativa fantascientifica, Philip K. Dick, scomparso tre mesi prima che Blade Runner approdi al cinema.
La fantascienza all'alba degli anni Ottanta
Le pellicole dirette in contemporanea da Steven Spielberg e Ridley Scott costituiscono le due punte di diamante di un'annata, il 1982, decisamente fortunata per il genere sci-fi. Sempre tra la primavera e l'estate escono negli USA Star Trek II - L'ira di Khan e TRON (entrambi incasseranno più di Blade Runner), oltre a Interceptor - Il guerriero della strada, secondo capitolo della saga di Mad Max, e La cosa, futura pietra miliare della fantascienza declinata in chiave horror. La cosa, distribuito dalla Universal in coincidenza con Blade Runner, riscuote una modesta attenzione al box-office, salvo essere consacrato in seguito fra le vette della produzione di John Carpenter; un destino analogo, per certi aspetti, a quello del film di Scott, che viene messo in ombra dal successo stratosferico di E.T. l'extra-terrestre e negli Stati Uniti si attesta, nella sua release originaria, a ventisette milioni di dollari.
In questo caso specifico, tuttavia, i numeri sono ben poco indicativi. Nei quarant'anni a venire, infatti, Blade Runner verrà 'riscoperto' più e più volte, e con un entusiasmo via via crescente: prima grazie alla circolazione in videocassetta, che lo fa ascendere a tutti gli effetti al rango di cult movie; poi in virtù del director's cut di Ridley Scott, che nel 2007 fa la sua gloriosa comparsa sul grande schermo (e subito dopo in home-video) con il sottotitolo The Final Cut; infine per merito dell'uscita, nel 2017, di Blade Runner 2049, sontuoso sequel affidato alla regia di Denis Villeneuve e con Harrison Ford di nuovo nel ruolo di Rick Deckard, stavolta al fianco del giovane Ryan Gosling. Ironia della sorte, pure Blade Runner 2049 sconterà in parte la sua natura di film ambizioso e 'complesso', registrando incassi ben al di sotto delle aspettative della Warner Bros, nonostante le ottime recensioni e la vittoria di due premi Oscar (per la fotografia e gli effetti speciali).
Blade Runner: 10 intuizioni di un capolavoro non replicabile
Un racconto noir nella Los Angeles del futuro
Se cinque anni fa la grande sfida di Denis Villeneuve consisteva appunto nel cimentarsi con una colonna portante del canone cinematografico, nel 1982 Blade Runner si proponeva invece come una sorta di 'anomalia', un ideale punto di congiunzione fra passato, presente e futuro. Lo script di Hampton Fancher circola già da qualche anno quando giunge nelle mani di Ridley Scott, reduce dal fenomeno Alien e dalla rinuncia a realizzare un adattamento di Dune di Frank Herbert (il testimone, come sappiamo, passerà da lì a breve a David Lynch); Scott lo farà riscrivere a David Peoples, accreditato come sceneggiatore insieme a Fancher, mentre il titolo viene 'acquistato' da un romanzo di Alan E. Nourse del 1974. Blade Runner sarà in assoluto la prima trasposizione per il grande schermo di un libro di Philip K. Dick, a dispetto di una bibliografia vastissima (i suoi primi racconti risalgono al 1952), e contribuirà ad accrescerne la fama anche al di là degli appassionati di fantascienza.
Ma se i temi e l'estetica del film di Scott sono tipici del genere di riferimento, lo spirito e la costruzione narrativa di Blade Runner appartengono in pari misura al noir classico americano: dalla presenza di un detective, il Rick Deckard di Harrison Ford, dipinto come un eroe solitario e in preda a un arduo dilemma etico, alle modalità della sua indagine in una Los Angeles immersa in una perenne oscurità, in cui le uniche fonti di luce sono le immagini pubblicitarie e la gelida artificialità dei neon. Nel 1982, in sostanza, Blade Runner non rientra nei consueti filoni sci-fi ai quali il pubblico era abituato: non c'entra nulla né con l'approccio fantasy e i ritmi avventurosi di Guerre stellari, né con la fantascienza umanista spielberghiana di Incontri ravvicinati del terzo tipo ed E.T. l'extra-terrestre, né tantomeno con la suspense a tinte horror dell'Alien di Scott. È più simile, semmai, a Chinatown di Roman Polanski, e in tal senso - per la sua capacità di amalgamare linguaggi e stilemi molto diversi - si attesta come uno dei primi capisaldi del cinema postmoderno.
Sognando con gli androidi: torna al cinema Blade Runner, il capolavoro di Ridley Scott
La genesi del cyberpunk in un capolavoro che non ha età
Il richiamo al passato mediante il noir è coniugato però alla perfetta aderenza ai codici del cyberpunk, in un'epoca in cui il suddetto genere, legato in particolar modo alla narrativa e alla fumettistica, sta attraversando una cruciale fase di rinnovamento. In tale prospettiva, Blade Runner farà da apripista: sempre nel 1982 fa il suo debutto in Giappone il manga Akira di Katsuhiro Otomo, mentre due anni più tardi William Gibson darà alle stampe Neuromante, il romanzo cyberpunk per antonomasia, e James Cameron sbancherà il box-office con Terminator. Blade Runner, come spesso accade alle opere in anticipo sui tempi, non ottiene un consenso unanime; al contrario, le anteprime per il pubblico ricevono un responso negativo, spingendo la Warner Bros ad apportare delle modifiche in vista dell'esordio nelle sale. Molti critici e accademici riconoscono da subito il valore del film di Scott, ma altri si dimostrano assai più tiepidi, imputandogli una presunta freddezza e un insufficiente sviluppo della trama e dei personaggi.
Il punto è che, nel 1982, Blade Runner non somiglia a nessun'altra pellicola di fantascienza in circolazione; la sua tendenza ad affidarsi ai sottintesi e alle ellissi, a lanciare interrogativi senza soluzioni immediate, non è qualcosa a cui la maggior parte degli spettatori sia già avvezza. Né basta la presenza di Harrison Ford, volto scanzonato di Han Solo e di Indiana Jones, per raggiungere cifre paragonabili a quelle de I predatori dell'arca perduta, tanto che nel 1982 il film di Scott si attesta sui nove milioni di spettatori in Nord America. In compenso, sarà sufficiente qualche anno per avere conferma di come Blade Runner sia un'opera proiettata nel futuro, e in grado pertanto di risultare straordinariamente moderna anche a decenni di distanza; così come per riconoscere il suo immenso impatto culturale e la lucidità con cui, immaginando una visionaria Los Angeles del 2019, questa storia di cinici investigatori e androidi ribelli riesca ancora oggi a parlarci di noi stessi, della fragile essenza della natura umana, con un'incisività e una poesia che non sono invecchiate di un solo giorno.
Ridley Scott: a cavallo tra i generi tra duellanti, alieni e gladiatori