Verace e vorace di parole, Valentina Lodovini ha sempre un impatto prorompente, dovuto più ad una grande spontaneità che all'innegabile bellezza. In concorso al Bif&st di Bari con Buoni a nulla, l'attrice è stata protagonista di un lungo focus a lei dedicato, un'occasione per ripercorrere le tappe fondamentali di una carriera ormai consacrata e per conoscere meglio un'interprete dall'altro lato dello schermo. Lodovini è partita nel segno del cinema d'autore, ma negli ultimi anni ha dimostrato anche un grande duttilità nella commedia commerciale dove ha incarnato più volte il prototipo della donna procace e dalla solarità mediterranea. Pur essendo toscana ("in molti mi spacciano per umbra, ma la mia macchina è targata Arezzo") è riuscita ad impersonare con naturalezza la femminilità partenopea senza mai permettere al suo aspetto di offuscarne il talento.
Una carriera allo specchio
Per Valentina Lodovini fare cinema comporta due doveri: sentirsi fortunata e restituire al pubblico positività. "Per quanto abbia spesso interpretato personaggi brillanti, io sono fondamentalmente una persona timida, malinconica e talvolta persino nichilista. Questo, però, non deve trasparire quando entro in contatto con il pubblico che merita tutta la mia gratitudine". Emergono subito i tratti di una personalità complessa, per niente banale, nella quale il cinema ha giocato una parte importante: "Fare film mi ha aiutato a sbloccarmi e a vincere molte delle mie paure. Ero terrorizzata dall'idea di recitare, ma dall'insicurezza ho poi trovato il coraggio di affrontare i miei limiti anche grazie a ruoli dove interpretavo persone sempre migliori di me. Io amo i miei personaggi, sono come amiche, le difenderei sempre". Trasportata da un flusso di naturalezza, ammette che parlando di lei, è difficile non affrontare il tema dell'esteriorità: "La mia avvenenza mi ha aiutato, sono stata spesso ritenuta adatta per certi ruoli. Per un attore il corpo è uno strumento di lavoro, ma è chiaro che bisogna mantenere una certa coerenza con la propria predisposizione fisica. Io, ad esempio, non sarei in grado di interpretare un ruolo di una donna malata, anoressica o bulimica". Una riflessione che si lega inevitabilmente al ricordo di uno dei suoi maestri: Nicolaj Karpov. "Lui mi ha insegnato la differenza tra essere una bella statuina e avere un'anima". Non mancano elogi e tanta gratitudine anche per Marco Risi che ha creduto in lei sin dai tempi di Fortapàsc.
Fanatica del metodo
Dopo sette anni trascorsi nel Centro di Cinematografia Sperimentale di Roma (in compagnia di Alba Rohrwacher), lo studio si trasforma in una necessità che si affianca alla passione. "Essere attori significa o avere un talento smisurato o affidarsi al metodo. Non avendo il primo, mi ritengo una fanatica della preparazione. Facciamo un mestiere carico del senso della vita, per cui bisogna ricercare le sfumature e non rimanere in superficie. Personalmente mi affido tanto alla lettura del copione e ad un'attenta analisi del testo, provando le battute in continuazione con il mio coach di recitazione. I film andrebbero preparati nei minimi particolari, con tanta dedizione, come fossero delle coreografie per ballerini".
Il peso dei "no"
Dopo una piccola comparsa in Ovunque sei di Michele Placido, il ricordo del primo ciak vero e proprio è legato a L'amico di famiglia di Paolo Sorrentino. "Iniziare con un regista come lui è stato un dono e una condanna. Ricordo ancora il terrore che provai sul set, tant'è che pensai ad abbandonare il cinema perché non mi sentivo in grado di superare il mio impaccio". Una carriera che ha poi continuato a seguire le orme del cinema d'autore, come confermano i successivi A casa nostra di Francesca Comencini e il film della consacrazione: La giusta distanza di Carlo Mazzacurati. "Credo che quello di Mara sia uno dei ruoli femminili più belli mai scritti negli ultimi anni, perfetto per valorizzare una giovane attrice. In quel periodo il mio essere acerba mi ha reso ancora più credibile e per questo mi ritengo fortunata". Dai toni profondi di quel film nebbioso, immerso nella provincia della Pianura padana, al sole campano di Benvenuti al Sud, il passo è tutt'altro che breve: "Quello di Miniero è un film che mi è servito per cambiare approccio col pubblico prima che con il personaggio. Lavorare con due comici come Bisio e Siani è stato utile così come lo studio di un dialetto lontanissimo dal mio. Si tratta di un film dal buon ritmo che cela una grande cattiveria sociale come fanno tutte le commedie più riuscite del nostro cinema". Un'esperienza servita da spartiacque, dopo la quale il peso delle scelte dei copioni è diventato decisivo: "Purtroppo è vero che in Italia si tende alla ripetizione, soprattutto quando esplode il caso di un film dal successo clamoroso. Dopo Benvenuti al Sud ho ricevuto tante, troppe proposte simili che per fortuna ho rifiutato, infatti le migliori carriere si costruiscono più sui no che sui sì. Anche io, in un paio di casi, presa dalla paura di lavorare poco, ho accettato lavori di cui non sono pienamente soddisfatta, ma per non sbagliare mai e non bruciarsi la carriera, bisognerebbe mantenere intatta una certa purezza".
Spettatrice cinefila
La gioia espressa da Valentina Lodovini non è soltanto quella di un'addetta ai lavori che si confronta in maniera diretta con il suo pubblico ("suppongo di averne uno e molte delle mie scelte ne tengono conto") ma anche l'entusiasmo di una spettatrice onnivora. "Vedo qualsiasi tipo di film, infatti quando ho tanto tempo libero mi capita di andare al cinema persino due volte al giorno. Se proprio devo scegliere un genere preferito, direi il cinema sociale. Maestri come Francesco Rosi mi hanno fatto capire che con il cinema non si può far cambiare il mondo, ma si può far conoscere il mondo, creando una coscienza civica nel pubblico. Il mio regista preferito? Direi Pietro Germi perché ha fatto di tutto, confrontandosi con diversi generi". Da amante del cinema impegnato, l'attrice avanza una critica alla scarsa pazienza di distributori ed esercenti: "Per un piccolo film di genere sopravvivere ad un weekend di programmazione è un miracolo. Ormai tutto si gioca in soli tre giorni di permanenza in sala, limitando così al minimo l'effetto passaparola". Un piccolo sfogo che adombra, solo per qualche attimo, la fervida allegria di un'attrice sempre più matura, stimata, benvenuta ovunque.