La Berlinale seleziona pochi film italiani per la competizione internazionale, ma spesso questi centrano il bersaglio. Dopo la coinvolgente vittoria dei fratelli Taviani, nel 2012, con Cesare deve morire l'Orso d'Oro torna a essere stretto da mani italiane.
La tragedia dei migranti fotografata da Gianfranco Rosi nel drammatico documentario Fuocoammare ha fatto breccia nel cuore di Meryl Streep. Chissà se Rosi metterà l'Orso nello stesso scaffale che contiene il suo Leone d'Oro.
Come da tradizione, anche quest'anno Berlino ha voluto privilegiare le pellicole a tematica politico-sociale premiando l'impegnato Death in Sarajevo, ispirato liberamente alla pièce di Bernard-Henri Lévy Hotel Europa, mentre Lav Diaz, altro uomo da palmares, fresco di vittoria a Locarno, apre nuove vie con una pellicola che ha messo a dura prova i giurati per via della sua durata. Speriamo che non siano in molti a imitare la via battuta da Lav.
Meritatissimo il premio per la miglior interpretazione femminile andato alla danese Trine Dyrholm, anima pulsante del bel La comune, e con lei viene premiato anche Majd Mastoura, protagonista di Hedi.
Un palmares per non dimenticare
Il primo a parlare è il regista di HediMohamed Ben Attia, il cui film porta a casa ben due riconoscimenti. "Il mio film è finito da pochissimo" spiega Attia dopo essersi slacciato la cravatta. "Quando abbiamo saputo che eravamo in concorso abbiamo dovuto lavorare alla massima velocità. Alla base del film c'è la primavera araba, ma prima di iniziare le riprese abbiamo avuto difficoltà a reperire i fondi. Per fortuna abbiamo trovato dei co-produttori in Europa, ma non è stato facile. Una delle sfide del mio film era raccontare una storia d'amore, ma anche riflettere sulla condizione delle donne in Tunisia. I miei lavori parlano della difficoltà dei giovani tunisini di trovare il loro posto nel mondo in un paese così complesso".
Regista e sceneggiatore il giovanissimo Tomasz Wasilewski, autore dell'enigmatico United States of Love. Wasilewski si presenta in conferenza insieme al cast femminile dichiarando: "Ieri ho passato una delle migliori serate della mia vita presentando il film qui a Berlino. Sentiamo di aver fatto qualcosa che conta. In Polonia abbiamo grandi registi e sento che adesso è giunto il momento della Polonia. Scrivetelo, mi raccomando!". Il regista prosegue: "Non mi sono mai visto come sceneggiatore, ma questa storia è nata sulla carta. Quando sono diventato adulto ho cominciato a pensare ai miei genitori e quanto possa essere dura la vita. Avevo 9 anni quando il Comunismo è crollato e ho cercato di tornare con la mente a quell'epoca per cercare di non dimenticare".
Attori da orso
Tocca agli attori commentare i loro straordinari riconoscimenti. Il protagonista di Hedi Majd Mastoura confessa: "Sono davvero eccitato e felice. Quando ho iniziato a lavorare al film non mi sarei mai immaginato un risultato simile. La vita è strana. Questo è il mio secondo film e fino a qualche mese fa non sapevo se fare l'attore o continuare i miei noiosi studi di informatica, ma a volte la vita decide per te. Per me non è importate fare film con finali positivi o negativi, ma sono concentrato soprattutto sulle sensazioni che provo sul set e sulle reazioni del pubblico. Non credo di essere un eroe, ma solo un attore e credo che questo premio per me sia un ottimo inizio".
"Amo la Berlinale e sono una fan del festival" aggiunge Trine Dyrholm, straordinaria interprete de La comune che cerca di destreggiarsi tra le urla dei fotografi. "Meryl mi ha premiato ed è stato un momento davvero emozionante. Resterà sempre nel mio cuore. Thomas Vinterberg è un regista straordinario e grazie a lui gli attori conquistano premi importanti. Prima è toccato a Mads Mikkelsen a Cannes e ora a me. Ritengo che nel finale de La comune contenga un messaggio di speranza. Personalmente spero che il mio personaggio abbia la forza di rialzarsi dopo tutto quello che le è successo e trovi il modo di divertirsi, magari andandosene a Parigi".
L'umanità davanti alla macchina da presa
A Berlino Mia Hansen-Løve ottiene finalmente il riconoscimento ufficiale che le mancava. "E' difficile esprimere a parole i sentimenti che provo. Sul palco ero terrorizzata, non vedevo l'ora di scendere, ma al tempo stesso ero eccitata" spiega la regista. "Con gli attori ho fatto un lavoro lungo e importante. Serve esperienza, ma la cosa fondamentale per me è dar loro fiducia. Quando scrivo mi aiuto con la musica per dare verità ai personaggi, ma sul set sono gli attori a creare una loro musica interiore. Sul palco sembro timida, ma sul set mi sento come un pesce nell'acqua. Non so se ho il piglio di un uomo, ma nel mio ambiente sono molto più sicura".
Colpevole di aver preso in ostaggio la critica per otto ore, Lav Diaz commenta divertito l'Alfred Bauer Prize ottenuto per A Lullaby to the Sorrowful Mystery: "Essere qui a Berlino è una grande responsabilità, ma anche un enorme piacere. Il mio film vuole veicolare un concetto che a me sta molto a cuore: più del capitalismo a me sta a cuore l'umanità. Il cinema è un'arte ancora giovane e Berlino ci sta aiutando a diffondere un nuovo tipo di cinema, più estremo, in cui l'uomo al centro di tutto. Ho impiegato 17 anni a fare questo film. Avremmo dovuto realizzarlo nel 1990, ma solo quattro anni fa abbiamo trovato i produttori giusti e l'anno scorso l'ho finalmente potuto giurare. Sono cresciuto col cinema perché mio padre era un grande appassionato. Ogni fine settimana ci vedevamo tanti film, spaghetti western, pellicole in bianco e nero. tra i mie modelli potrei citare Tarkovsky, ma è il cinema in toto ad avermi insegnato a fare il regista".
Un habitué dei palmares è anche il bosianico Danis Tanovic, veterano della Berlinale. "Quella di Death in Sarajevo è stata una delle migliori di sempre. Tutto il cast era con me, Meryl Streep ha amato il film. Che altro dire..." scherza il regista. "Quando ho vinto un Oscar l'ho fatto col mio primo film. Non ero in grado di rendermi realmente conto dell'importanza. Oggi sono più consapevole. So bene che al cinema fanno successo i film di supereroi perché il pubblico vuole vedere questo. I festival sostengono il cinema d'autore e non posso che esserne felice. Non ho un metodo particolare per dirigere gli attori, ogni attore è diverso dall'altro. Ci sono attori che vogliono un regista deciso e duro, altri vogliono essere liberi. Per lavorare con determinati attori devo amarli. A volte mi è capitato di lavorare con attori che mi sono stati imposti ed è stata una brutta esperienza non perché non fossero bravi, ma perché non c'era feeling tra di noi. La sintonia è importante quanto l'esperienza.".
L'Orso d'Oro se ne va a Lampedusa
Tocca, infine, a Gianfranco Rosi porre la parola fine a questa 66° edizione del Festival di Berlino da trionfatore. "Questo premio è un'enorme responsabilità. Quando ho iniziato il film un anno e mezzo fa a Lampedusa, il dibattito sull'immigrazione era concentrato sull'Italia. Ora l'Europa sembra essersi accorta di questo problema. Pur non avendo fatto un film politico, sento che il mio film è politico a prescindere. La mia speranza è che serva a sensibilizzare l'opinione pubblica. Quest'orso d'oro è dedicato a Lampedusa. Lo porterò sicuramente lì, anche perché ho una casa in affitto che non mi decido a lasciare. Non vedo l'ora di proiettare il film sull'isola, ma non essendoci un cinema dobbiamo aspettare la bella stagione per farlo all'aperto".
Riflettendo sui documentaristi italiani Rosi aggiunge: "Credo che l'Italia sia molto avanti sul documentario. Ritengo che per trovare la verità in questo genere occorra rompere le barriere del realismo e trovare una nuova forza nel linguaggio cinematografico. Da quando ho iniziato a fare cinema, non mi sono mai posto il problema. La differenza tra vero e falso va trovata nel cinema. La prima volta che ho visto la barca piena di persone in difficoltà ho capito che nessuno di noi può voltare la testa dall'altra parte. Aiutare i migranti è una responsabilità di tutti". L'attenzione si concentra anche sul Samuele Pucillo, figura centrale del documentario assente alla premiazione. "E' tornato a casa" spiega Rosi. "E' giovanissimo e ho pensato che tutto il caos intorno a lui lo avrebbe confuso. Dovete pensare che qui a Berlino è stato a un vero cinema per la prima volta. Troppe emozioni in una volta sola".