Berlinale 2012, Stephen Daldry è Molto forte, incredibilmente vicino

Affiancato dal Max Von Sydow e da Thomas Horn, il regista ha raccontato la nascita del film tratto dal romanzo di Jonathan Safran Foer, favola delicata sul rapporto tra un bambino di New York e il padre, morto nel crollo delle Torri Gemelle.

C'è una delle tragedie più grandi della recente storia contemporanea, l'Undici Settembre, dietro a Molto forte, incredibilmente vicino, trasposizione cinematografica dell'omonimo romanzo scritto da Jonathan Safran Foer, che Stephen Daldry ha presentato oggi fuori concorso alla 62.ma edizione del Festival di Berlino. Un'opera, quella del regista inglese noto al grande pubblico per Billy Elliot, The Hours e The Reader - A voce alta, molto apprezzata negli Stati Uniti e candidata ai prossimi Oscar come miglior film e come migliore attore non protagonista, l'intenso Max Von Sydow. Il volto preferito da Ingmar Bergman è solo uno dei tanti di un cast ricco che comprende anche Tom Hanks, Sandra Bullock, Viola Davis e, soprattutto, il giovanissimo Thomas Horn che veste i panni di Oskar Schell, un ragazzino che cerca in tutti i modi di trovare un senso alla morte del padre, perito nel crollo delle Twin Towers, ricominciando a 'giocare' con lui, come se quel filo non si fosse spezzato del tutto. Quando ad un anno di distanza, infatti, ritrova in un armadio un vaso blu contenente una chiave nascosta in una bustina su cui è scritto il nome Black, il piccolo decide di incontrare tutte le 472 persone che a New York hanno quel cognome, nella speranza di trovare la serratura che sarà aperta dalla chiave e svelare quel mistero. In questo percorso è affiancato dall'enigmatico The Renter, l'uomo che da qualche tempo vive in affitto in una camera della casa della nonna di Oskar e che da anni ha scelto il silenzio, esprimendosi solo attraverso dei bigliettini, forse per meglio custodire quel segreto che lo lega indissolubilmente al piccolo. Accompagnato per l'occasione dal colosso Max Von Sidow e dall'effervescente Thomas Horn, una vera rivelazione per come ha saputo confrontarsi con i giornalisti, Stephen Daldry si è umilmente ritagliato un piccolo spazio nella conferenza odierna, lasciando i riflettori ai suoi attori.

Signor Daldry, lei ha dimostrato nel tempo una grande capacità nel dirigere i giovani attori, e lo conferma anche in questo caso. E' stato difficile scovare Thomas e lavorare con lui a questo ruolo? Stephen Daldry: Non ci sono dei trucchi particolari, lavorare con un ragazzino è la stessa cosa che lavorare con un adulto. Incontrare Thomas è stata una vera benedizione, lui è un attore nato, altro che! Abbiamo lavorato tantissimo in fase di prove e quando abbiamo iniziato a girare lui era già preparatissimo. Quando abbiamo iniziato il casting lui ci ha colpiti immediatamente proprio per la sua intelligenza e per il modo di rivelare la sua vita interiore. Inoltre ha una bellissima famiglia ed è cresciuto in un ambiente molto sereno.

Quella di Molto forte, incredibilmente vicino è la tua prima vera prova d'attore, Thomas? Thomas Horn: Sì è il mio primo ruolo da protagonista quello di Oskar e devo dire che ci sono stati dei giorni in cui entrare nel corpo del personaggio è stata una sfida davvero enorme. Naturalmente, essendo alle prime armi, non posso comparare questo mio lavoro a niente altro. E' stato fondamentale lavorare con Stephen e confrontarmi con lui sulle motivazioni profonde delle azioni di Oskar, mi hanno davvero aiutato a comprenderlo meglio, ad entrare nella sua pelle.

Non hai avuto soggezione a lavorare con un attore del calibro di Max Von Sydow?
Certo, sapevo bene che è un grande attore, ma oltre ad essere un artista eccezionale il signor Von Sydow è una persona speciale, quindi è stato un piacere lavorare con lui.
Max Von Sydow: Thomas era davvero molto preparato, era davvero impressionante.

In più, Thomas, hai duettato anche con Tom Hanks, cosa puoi dirci dell'esperienza sul set con lui?
Ci siamo davvero divertiti un sacco. La verità è che per me è stato facile essere sul set, perché la parte più grossa del lavoro l'hanno fatta tutti loro, cercando di interpretare al meglio i loro personaggi. Erano gentili e mi hanno aiutato in tutte le fasi, quindi è stato facile seguirli, anche se non nego di essermi sentito un po' intimidito.

Signor Von Sydow, curiosamente questo è stato l'anno di un altro film che ha puntato su interpretazioni mute, The Artist, è stato difficile per lei recitare senza parlare? Max Von Sydow: Per me non c'è grossa differenza nel recitare in un film muto o in uno parlato, l'importante, come in questo caso, è lavorare a ruoli che non ho mai fatto prima, altrimenti mi annoierei a morte. E' stato bello poter interpretare un personaggio che si esprimesse solo attraverso la scrittura. E poi gli esseri umani sono esseri umani, sia che parlino o no.

Ma perché secondo lei Froer ha voluto dare un così grande peso al mutismo del personaggio interpretato da Von Sydow? Stephen Daldry: Perché in un certo senso Jonathan ha voluto creare un legame intimo fra Oskar e The Renter. Il silenzio del personaggio interpretato da Max è legato al ricordo del tragico bombardamento di Dresda in cui è morta tutta la sua famiglia e mi serviva perché attraverso di esso Oskar riesce a dare un senso alla sua tragedia personale.

Ha trovato delle differenze nel lavorare con un regista come Daldry, che ha un background teatrale, piuttosto che con autori che hanno solo lavorato al cinema come Martin Scorsese? Max Von Sydow: Non si possono comparare queste due realtà. Sapete io mi considero essenzialmente un attore di teatro ed è stato importante confrontarmi con Stephen, un regista di solida impostazione teatrale. Come per il cinema il teatro è un gioco di squadra, ma lo è in maniera diversa. Quando si lavora ad un film non si ha mai la sensazione di costruire il proprio progetto come quando si lavora ad uno spettacolo per il palcoscenico e se ho accettato di lavorare al film lo devo essenzialmente a lui e agli altri interpreti, con il signor Horn in testa.

Signor Von Sydow, perché è da tanto tempo lontano dalla sua Svezia?
Per motivi burocratici. Ho semplicemente scelto di vivere in Francia e di assumere la cittadinanza francese, visto che dalla Svezia mi avevano detto chiaramente che non avrei potuto avere due cittadinanze contemporaneamente. E' una cosa francamente bizzarra. Ma amo ancora il mio paese, forse sono troppo pigro per tornarci subito, tutto qui, o forse mi piace essere un emigrante di professione. Considero la scuola teatrale svedese come una delle migliori al mondo, l'unica in cui un giovane attora possa davvero crescere confrontandosi con opere diverse, dalla tragedia, alla commedia, passando per i classici e le piece più moderne.

Il film parla anche del rapporto tra genitori e figli, che tipo di padre è stato lei?
E' difficile essere dei padri perfetti di quattro figli quando si fa la carriera di attore e si è sempre in giro per il mondo. Ci provo ad essere un buon padre, ma non sempre ci riesco. Mi consola il fatto che nessuno di loro fino ad oggi si è lamentato troppo.

Che ricordo avete di quell'11 settembre del 2001? Thomas Horne: Probabilmente stavo giocando nella mia casa di San Francisco. Ero davvero piccolo, avevo solo tre anni e non ricordo molto di quel giorno, ma da quando ho girato il film e soprattutto da quando ho messo piede a New York qualcosa è cambiato ed è stato bello e triste nello stesso tempo parlare con i familiari di alcune delle vittime del crollo. Ho capito che volevano andare avanti e questo in un certo modo mi ha fatto sentire molto meglio.
Max Von Sydow: Ricordo che ero in macchina con mia moglie e stavo viaggiando in autostrada in Svezia. D'un tratto arriva una telefonata da Parigi, un amico con voce angosciata mi diceva di tornare a casa al più presto e di non prendere l'aereo per nessun motivo. 'C'è la guerra, hanno bombardato New York', continuava a gridare. Siamo arrivati in albergo e subito abbiamo acceso la televisione. L'abbiamo guardata tutto il pomeriggio, così come è successo nei giorni successivi. E' stato un momento che non dimenticherò mai in tutta la mia vita.
Stephen Daldry: Ero a Londra, stavo ultimando il montaggio di The Hours.

Quando avete deciso di tagliare dal film tutta la parte dedicata alla storia d'amore tra i nonni di Oskar, ambientata durante il bombardamento di Dresda? Stephen Daldry: Quasi subito e lo abbiamo fatto con la benedizione di Froer perché volevamo che tutto fosse focalizzato sul bambino. In fondo lo stesso scrittore ha scelto di raccontare la tragedia di una perdita catastrofica come quella subita dal protagonista attraverso il punto di vista di Oskar.