Un prestigioso ristorante milanese, il cui chef coltiva ambizioni di indipendenza per liberarsi dal giogo del suocero. E un locale libero dall'altra parte della piazza, che sembra il palcoscenico ideale per tagliare i ponti con l'impostazione troppo tradizionalista che il grande vecchio si ostina a dare al proprio menu. Peccato che, proprio quando i sogni di gloria stanno per realizzarsi, con tanto di progetti per l'arredamento della sala, il luogo designato venga soffiato all'irascibile Conforti dai Perrone, giunti dal profondo Sud per permettere al talento del capofamiglia, e al buon nome dei prodotti tipici della loro terra, di espandersi in direzione di nuovi palati. Tra i due chef avrà quindi inizio una sfida a colpi di specialità culinarie, inasprita da sabotaggi non altrettanto meritevoli di vanto. La fiction Mediaset, forte di un cast di grandi nomi, tra cui spicca quello di Fabrizio Bentivoglio, tenta di fare leva su quella che da sempre è una delle grandi passioni, nonché dei grandi vanti, del popolo italiano: la buona tavola. Riproponendo, nel contempo, un'altra costante del belpaese, ovvero la rivalità tra Nord e Sud, l'eterno conflitto tra i punti forti di entrambi gli stili di vita: la raffinatezza e la veracità. Con l'ideatore Pietro Valsecchi, il regista Francesco Miccichè, il produttore Mario Gianani e il cast abbiamo ripercorso la nascita del progetto, e commentato l'esperienza vissuta su un set tanto ricco e stimolante.
Pietro Valsecchi: Il progetto di questa serie nasce da lontano. Ho sempre voluto fare qualcosa di inerente la cucina perché mio padre si è salvato da Dachau facendo il cuoco, e poi perché il padre di mia moglie è un grande anfitrione, che organizza sempre grandi cene, da cui ho imparato molto. Io poi adoro cucinare, trovo che la cucina sia un luogo molto creativo, dove con poche cose bisogna essere in grado di inventare sempre qualcosa di buono. All'inizio avevo immaginato una sfida tra cucina italiana e cucina francese, ambientata a Parigi, poi mi era venuto in mente di aprire un mio ristorante ma, di fronte al rifiuto della mia famiglia, ho deciso per questa serie. Che è sì leggera, ma non più di tanto: come si dice, tu sei quello che mangi, e quello che bevi, e anche solo in questa prima puntata si affronta il tema importante della contraffazione. Il nostro è un Paese complicato, che si fonda anche su questo, ed è normale che anche la catena alimentare ne sia influenzata. Ho immaginato due grandi cuochi, uno del Nord e uno del Sud, e i loro diversi modi di vivere e gestire la cucina, i loro manifesti. Trovo che questa serie sia innovativa proprio per la sua capacità di dare allegria, ma di fare anche pensare a quello che mangiamo. Ringrazio tutto il cast e gli scrittori, e speriamo che vada bene.Mario Gianani: Sono contentissimo di aver fatto parte di questo progetto fin da subito, e di averlo fatto insieme a Taodue. In Italia pochi marchi riescono ad avere una consistenza importante, a conferire sempre il giusto tono ai propri lavoro, e Taodue è uno di essi.
Francesco Miccichè: Questa serie è stata innanzi tutto piacevole da girare, grazie alla produzione e a questo gruppo straordinario, con cui abbiamo cercato di raccontare l'idea della cucina, dei diversi modi di affrontarla. Ci siamo appoggiati a degli stereotipi, ma grazie all'interpretazione del cast siamo riusciti a usarli in maniera originale. Dal mio punto di vista è stato un bel viaggio, mi ha arricchito non soltanto perché prima capivo poco di cucina, ma soprattutto perché l'abbiamo fatto nel giusto clima, che era un clima piacevole, divertente, giusto per una commedia.
Giorgio Tirabassi: Io vorrei fare outing, ammettendo che quando si era iniziato a parlare di questa serie io ero molto scettico, mi sembrava di una semplicità che non mi convinceva, non vedevo come potesse svilupparsi. Poi mi sono ricreduto, e ho capito che era proprio la semplicità la forza della serie. Alcune parti, che in lettura non mi erano sembrate forti a sufficienza, si sono animate durante le riprese, grazie al rapporto con Fabrizio, e in generale ai membri del cast che hanno i tempi comici nel DNA. Era un lavorare con il sorriso, con la gag sempre pronta a venire fuori, ma sotto il controllo di quella sceneggiatura che io stesso avevo criticato. Ringrazio quindi chi ha creduto più di me nella costruzione di questa serie, e sono anche contento di aver utilizzato la cucina come ambientazione, perché credo che sia un elemento in grado di unire tutta la famiglia.Fabrizio Bentivoglio: Aldilà di quella con la cucina, per me la sfida vera è stata quella che ha detto Francesco. A me chiedono spesso di rendere leggera la pesantezza, mentre qui dovevo essere leggero e basta, il che è una cosa difficile, niente affatto scontata. Il mio obiettivo, nei quattro mesi delle riprese, è stato quello di divertirmi nonostante la fatica, e ci siamo riusciti: d'altronde, se non si diverte chi recita, è impossibile che lo faccia chi guarda.
Lorenza Indovina: Quando mi è stato proposto il ruolo ho accettato subito con entusiasmo, specialmente in considerazione del cast, che è davvero strepitoso. Non avevo mai lavorato con degli attori così bravi, e non mi riferisco soltanto a quelli più famosi, ma anche ai ragazzi. Se il pubblico si divertirà un quarto di quanto mi sono divertita io, allora è fatta. C'è stata anche molta improvvisazione, che ha dato tanta verità e genuinità al risultato, e soprattutto è stata importante la conferma di Valsecchi, con cui avevo già lavorato e che apprezzo anche da spettatrice, perché riesce a creare sempre prodotti coerenti e onesti. Parlare di una donna del Sud con questa personalità è stato affascinante: di solito mi propongono sempre donne disperate, tristi, storie di omicidi, di Mafia, e qui ho avuto invece l'occasione di rappresentare un mondo meraviglioso, che è poi quello che conosco io, e, partendo dalla cucina, di raccontare la ricchezza di una persona. Io credo che le persone che non cucinano siano aride, mentre Anna è una donna coraggiosa, che sostiene il marito, che vede sempre il bicchiere mezzo pieno, che ha sani principi. Quindi ringrazio l'opportunità che mi è stata data, quella di divertirmi ed essere pagata per farlo.Debora Villa: Io mi bacio i gomiti per aver avuto questa possibilità, anche perché, dopo due anni di provini, credo di essermela sudata abbastanza! All'inizio ero più caciarona, il mio personaggio era una macchietta, e per di più credevo di dover far coppia con Enrico Bertolino, che nel personaggio del milanese stava a pennello. Poi, quando ho saputo di avere ottenuto la parte ma che Enrico non c'era più, mi sono un po' risentita, insomma, non sono questi i modi! Poi mi hanno detto che il suo ruolo lo avrebbe fatto Fabrizio Bentivoglio e mi sono detta che beh, Enrico avrebbe capito... Quando ho realizzato che sarei stata la moglie di Bentivoglio ho iniziato a non dormire più, e anche adesso non ci dormo. La prima cosa che ho pensato è stata: devo baciare Bentivoglio! E lui il bacio me l'ha fatto aspettare fino all'ultimo episodio, anche se poi mi ha detto: "è vero, però ti ho dato una gragnola di baci!"... È l'uomo più bello del mondo, e l'ho baciato! A parte questo, sono contenta di aver potuto far vedere che non sono solo un'attrice comica. E mi avete fatto sgobbare parecchio, perché qui a Roma siete tanto simpatici a tavola, ma sul lavoro... Io comunque ho dato il massimo.
Teresa Mannino: Diciamo che il discorso Bentivoglio ha attratto un po' tutte, anche se poi io l'ho visto una volta sola e non ho nemmeno avuto il coraggio di salutarlo. Purtroppo ho lavorato invece molto con Tirabassi, che è arrivato subito con una faccetta da "io sono un attore e tu no", e che ha rotto per tutte le riprese. Per fortuna che grazie al regista si arrivava a una mediazione, perché tra di noi ci di tirava le insalate in faccia. Si, è un tipo violento, sarà per questo che mi attrae... Sul set c'era un erotismo di fondo molto forte, e poi si sa che tra sesso e cucina c'è un legame stretto. Il cibo è legato alla sfera emotiva, serve a entrare in contatto con una persona. Pensate poi che Tirabassi ha fatto anche cambiare nome al mio personaggio, che in origine si chiamava Anita, perché sua moglie si chiamava Anna e lui doveva chiamarla Annì, alla terrona.. Per fortuna invece che c'era Antonio Catania, con i suoi fantastici tempi comici, che mi ha insegnato tantissimo pur senza volerlo fare, a differenza di Tirabassi.La cucina ormai ha invaso i palinsesti: è un segno dei tempi, della volontà di riempire la pancia e svuotare la testa?
Mario Gianani: Io credo che questa serie sia figlia di un pensiero diverso, il cibo è parte dell'ambiente in cui si cresce e si vive, è un fatto di testa, che ci può anche curare. Qui siamo aldilà del riempirsi la pancia, siamo in un filone più pensoso del semplice intrattenimento.
Fabrizio Bentivoglio: Io non sono un bravo cuoco, sono quello che si definisce un cuoco d'emergenza: al massimo faccio una pasta aglio e olio, o una burro e parmigiano. Mentirei se dicessi che sul set ho imparato, perché in quattro mesi si ha semplicemente il tempo di ripetere delle azioni indicate da un vero chef. Dopo la pressione del set, allora si, è venuta la curiosità di sapere cosa fosse rimasto, e ora sono ordinatissimo: faccio sempre la pasta aglio e olio, ma non sporco più, perché i grandi cuochi non sporcano.
Giorgio Tirabassi: Io vivo in famiglia da più tempo di Fabrizio, e quindi ho "cotto", non direi "cucinato", molte cose. Non ho cambiato il mio modo di cucinare, l'unica cosa che mi è rimasta è come fare il sale aromatizzato, un grande tocco di stile. Poi volevo darvi un'anticipazione sulla prossima serie, che avrà anche dei risvolti noir: nella prima puntata Teresa verrà investita da un autobus e da lì partirà la ricerca di una nuova lavapiatti.
Quanto ha influito sulla serie il successo di Benvenuti al Sud?
Pietro Valsecchi: Ha influito, perché il film è molto bello e mi ha divertito, ma è anche vero che la serie è partita quattro anni fa. Poi io avevo tante serie già pronte, ed è stato grazie all'incontro con Mario, che è una persona attenta alla qualità, con cui abbiamo condiviso da subito tante idee, che sono riuscito a fare questa. Mi auguro di avere lo stesso successo del film.
Non è un po' vecchia questa diatriba tra Nord e Sud, così come l'utilizzo del termine "terrone"? Ora esistono altri tipi di razzismo.
Pietro Valsecchi: Io sono nato a Crema e vi assicuro che là "terrone" si dice eccome, e poi qui c'è l'assonanza con la famiglia Perrone. Il problema in realtà non è il confronto tra due cucine, tra Nord e Sud, ma è economico. A Conforti è stato tolto il pubblico, è dopo che viene il problema dell'avere un rivale terrone. Le grandi battaglie sono sempre girate intorno all'economia. Chissà, magari nella prossima serie potremmo inserire anche altre etnie, ma l'Italia ha subito già tante influenze, è piena di cucine diverse, ed è bello poter lavorare su questo bel Paese, che dovrebbe vivere di cucina e di arte, mentre tutti pensano a devastarlo.
Pietro Valsecchi: Io so che si è salvato cucinando a Dachau, e che poi è tornato a casa a piedi. Da allora ha sempre avuto una grande attenzione per la cucina: era un contadino, e ricordo che mi portava tra i cespugli a cercare gli odori per insaporire i suoi piatti. Questo mi ha fatto appassionare, e ritengo di essere un buon cuoco.
Fabrizio, cosa ti ha convinto a partecipare a questo progetto?
Fabrizio Bentivoglio: Negli ultimi anni mi proponevano solo ruoli da malato, da depresso. Non è importante che si sia tali o meno, ovviamente, ma qui ho avuto l'occasione di interpretare un ruolo in cui normalmente si vede un Abatantuono: quello di una persona esuberante, dalla grossa autostima, diversa dai miei soliti personaggi. Questa è stata la ragione principale, quella di poter essere leggero.
E tu, Giorgio, dopo le incertezze iniziali, da cosa ti sei fatto convincere?
Giorgio Tirabassi: Innanzi tutto ho saputo che ci sarebbe stato Fabrizio, la sua presenza portava la commedia a un livello di realtà credibile. I due protagonisti potevano costruire un rapporto equilibrato, e poi, riunione dopo riunione, ho capito che proprio questa sua leggerezza, così difficile da realizzare, era il bello del progetto. Anche grazie agli altri attori, che sono sì comici, ma con misura, abbiamo calibrato i fatti e i dialoghi, attingendo all'umorismo di ognuno.
Come affronterete il confronto con Nero Wolfe?
Giancarlo Scheri: Noi diciamo sempre che lo scontro tra fiction non fa bene a nessuno, ma noi abbiamo tre fiction a settimana, la Rai lo stesso, quindi era inevitabile che accadesse. Peró, per il bene della fiction italiana, sarebbe bene che così non fosse.