Chi ha visto gli ultimi due acclamati lavori di Asghar Farhadi, Una separazione e Il passato, lo ha potuto apprezzare nel ruolo, rispettivamente, del giudice e del ristoratore amico del protagonista. Babak Karimi, attore di origine iraniana vissuto a lungo in Italia, il cinema ce l'ha nel sangue. Dopo aver esordito a soli dieci anni in un film del padre, il regista Nosratallah Karimi, ha studiato cinema a Roma dedicandosi ai mestieri del documentarista e del montatore per tornare a recitare a tempo pieno solo di recente. Montatore per Pasquale Scimeca, Abbas Kiarostami e Babak Payami, due anni fa ha festeggiato il trionfo internazionale di Una separazione portandosi a casa tre Orsi, tra cui quello per il miglior film, un Golden Globe e un Oscar per il miglior film straniero, prima statuetta a prendere la via dell'Iran. Oggi Babak torna a Firenze, ospite del Middle East Now per accompagnare il labirintico Fish & Cat, rivelazione della sezione Orizzonti della passata edizione della Mostra di Venezia, in cui lo vediamo nelle vesti di un personaggio assai poco raccomandabile.
Babak, da iraniano vissuto per tanto tempo in Italia, ha svolto un ruolo da mediatore tra Oriente e Occidente.
Babak Karimi: Ho vissuto in Italia 40 anni e da 4 anni sono tornato in Iran. Essendo perfettamente bilingue, quando è cominciato il flusso del cinema iraniano nel mondo ero la persona giusta per favorirne la diffusione in Italia. Ho portato il primo film iraniano in Italia, Bashù, il piccolo straniero, grazie ai miei contatti con i distributori visto che nel frattempo avevo iniziato a lavorare nel cinema. Ho curato agli adattamenti e le edizioni italiane dei film di Kiarostami, Makhmalbaf, delle uscite in sala, ma anche dei film circolati solo nei festival. Sono stato consulente di Marco Müller alla Biennale di Venezia e adesso collaboro con il Festival di Roma.
In realtà ho debuttato come attore a dieci anni in un film di mio padre, ma quando sono venuto in Italia mi sono 'nascosto' dietro la macchina da presa studiando regia. Ho diretto alcuni documentari e poi ho deciso di dedicarmi unicamente al montaggio. Ho lavorato con Pasquale Scimeca, Maurizio Zaccaro, Costanza Quatriglio. Ho ricominciato a recitare quasi per gioco facendo piccoli ruoli nei film che montavo, poi la cosa ha preso piede. Ho girato Caos calmo con Moretti, Tickets di Kiarostami e non ho più smesso.
Middle East Now ci ha permesso di rivedere, dopo Venezia, Fish & Cat, uno dei film più apprezzati della Mostra. E' curioso che un montatore sia protagonista di un film che è un unico piano sequenza. Sul set ha dato dei consigli al regista Shahram Mokri?
No, perché Shahram è un cineasta molto preparato e ha un gran senso del ritmo. Non sempre il montaggio si fa tagliando e cucendo; è legato al ritmo del film che può essere interno all'inquadratura o imposto in un secondo momento con i tagli. In questo caso era già dentro l'immagine fin dal principio.
Per tutto Fish & Cat vediamo Babak aggirarsi per i boschi con un sacchetto di carne in mano. Di chi sono quei resti? Data la struttura temporale del film, potremmo pensare che si tratti della ragazza mostrata nel finale.
Non necessariamente. Potrebbe essere chiunque, ma certo non è carne comprata in macelleria.
Come ha creato un personaggio così inquietante?
Ho avuto vari riferimenti. Da principio mi ha ricordato molto il personaggio di Anthony Hopkins ne Il silenzio degli innocenti e sono andato a rivedere il film per capire come una persona così malata possa essere tanto gentile. Anche la location mi ha aiutato molto. L'atmosfera di quel luogo, dopo un mese, automaticamente ti faceva diventare un uomo della giungla.
Questi sono gli ingredienti della vita odierna iraniana. Come si vede anche da Una separazione, la società iraniana è divisa tra tradizione e modernità. Pur essendo un film che gioca col genere, sono in molti a sostenere che Fish & cat sia il manifesto dell'Iran di oggi. Il film ha avuto molto successo tra i giovani sia per il linguaggio usato sia perché veicola un concetto importante: i vecchi che si mangiano i giovani, la società patriarcale cerca di distruggere quei giovani che cercano di scardinarla dall'interno.
Fish & Cat parte come un horror, la tensione è altissima fino alla fine, ma di fatto la violenza non si vede mai. E' una scelta artistica o è anche un problema di censura?
No, è una scelta artistica. Shahram Mokri è appassionato di slasher, è un grande cinefilo e ha voluto giocare con lo spettatore presentandogli gli ingredienti dell'horror per poi raccontare tutt'altro. La violenza non viene mostrata, ma solo suggerita, col risultato di far diventare il tutto più inquietante.
Negli ultimi anni il cinema iraniano è sinonimo di qualità elevatissima. Come spiega questa felice congiuntura?
Sono stati due i fattori fondamentali. Agli inizi della rivoluzione il Ministero della Cultura creò dei club gratuiti in tutto il paese noti come Associazione Cinema Giovane. Prima di allora per studiare cinema occorreva andare a Teheran, ma questi club, sorti anche nei posti più sperduti, hanno diffuso l'alfabetizzazione visiva colmando una lacuna. A differenza dell'Italia, dove le arti figurative sono diffuse ovunque, l'Iran ha una fiorente tradizione poetica, ma pochi pittori e i club hanno permesso a giovani autori di provincia, tra cui anche Shahram Mokri, di formarsi ed emergere anche a livello internazionale. L'altro motivo è che l'Iran, al contrario dell'Italia, è un paese giovane. Il 70% della popolazione è sotto i 35 anni, perciò circola molta energia e speranza. Ogni sette anni escono sul mercato una ventina di registi nuovi, di cui due/tre di livello internazionale.
E invece come vede la situazione italiana?
Io ho deciso di tornare in Iran proprio perché soffrivo questo ripiegamento del cinema italiano su sé stesso, questo uniformarsi su pochi modelli e la mancanza di rinnovamento. La mia vita e il mio lavoro erano qui, ma l'atmosfera era soffocante. Nel mio caso specifico, essendo iraniano, mi venivano offerti solo ruoli da orientale, il kebabbaro turco, il marinaio egiziano. Raramente ho avuto ruoli che mi facessero crescere come attore, così ho deciso di darmi un'altra possibilità in Iran.
Noi conosciamo l'Iran solo attraverso il filtro dei media che denunciano l'arretratezza, la mancanza di libertà, la condizione della donna. Quale è oggi la situazione reale del paese?
L'Iran è un paese in pieno sviluppo, ma è molto complicato. Ci sono ancora delle sacche di arretratezza, ma non è più il paese che era 34 anni fa, prima della rivoluzione. Oggi c'è una gioventù forte, preparata, che sta prendendo in mano il proprio destino e che deve fare i conti con il peso della tradizione e delle regole.
Sui giornali si è parlato molto dell'arresto di Jafar Panahi. Oggi com'è la situazione?
Jafar oggi non è in galera né agli arresti domiciliari. Per fortuna vive serenamente, ma ci sono altre persone che, a causa della loro attività intellettuale, sono state interdette dalle loro mansioni o imprigionate.
Sono perfettamente d'accordo con lui. Anche io penso che il cinema sociale, che racconta i sentimenti e le condizioni delle persone, sia fortemente politico. Dietro alle condizioni in cui un popolo vive c'è sempre un responsabile, che sia il governo o altro, e certi film aiutano il pubblico a riflettere. Le pellicole che lanciano slogan non hanno la stessa forza. Un regista iraniano ha detto che c'è molta più politica tra le inquadrature di un film di De Sica che in tutta la produzione di Costa-Gavras.
Com'è lavorare con Asghar Farhadi?
E' molto piacevole perché è una persona riflessiva, pacata e molto preparata. Non ha l'ansia di arrivare né di prendere scorciatoie per fare carriera. Per un attore è una fortuna poter lavorare con lui.
Cos'è cambiato dopo l'Oscar per Una separazione, prima statuetta andata a un film iraniano?
E' un traguardo che il cinema iraniano si meritava di raggiungere prima, ma è avvenuto con il film giusto, un film amato dagli iraniani, che racconta la società. L'Oscar è stato accolto dall'orgoglio nazionale. La reazione di gioia del popolo alla notizia è stata documentata da due ragazzi in un documentario emozionante. E' il riscatto di un popolo maltrattato, mal descritto, vessato che risponde con la cultura della creatività. Adesso sentiamo una maggiore responsabilità.
Dopo l'Oscar, però, Farhadi ha realizzato Il passato, una storia meno iraniana e più europea.
In realtà il soggetto de Il passato è precedente a Una separazione. All'inizio Farhadi voleva girare il film a Berlino, poi ha cambiato idea e si è spostato in Francia. Quello che mostra nel film sarà il futuro della civiltà iraniana.
Lo trovo un film notevole. A livello estetico e visivo è un grande passo avanti. E' una grande bellezza che racconta con la sua vuotezza il vuoto che la accompagna. Quello che mi auguro è che Sorrentino non si adagi su questo risultato cercando di ripetersi, ma che sappia voltare pagina e passare ad altro.
E invece come è stata la sua esperienza con Nanni Moretti, suo collega in Caos calmo?
E' andato tutto bene. All'inizio ero timoroso, ma invece è stata una piacevole collaborazione che spero si ripeta. La Sacher ha anche distribuito in Italia Una separazione di cui io ho curato l'adattamento, perciò abbiamo collaborato in varie forme.
Quali sono i suoi progetti futuri?
Ho appena finito uno spettacolo teatrale in Iran sull'immigrazione. La produzione, iraniano-francese, è incentrata su tre generazioni di immigrati in Francia e anche noi attori siamo tutti immigrati. Nei prossimi mesi lo porteremo anche in Europa. Per quanto riguarda il cinema, ho recitato nell'opera prima di una giovane regista che è attualmente in post-produzione.
Le manca qualcosa dell'Italia?
Mi manca un'Italia che non c'è più.