Terzo capitolo del franchise cinematografico diretto e interpretato da Kenneth Brangh, Assassinio a Venezia (qui la nostra recensione) non ha avuto un buon riscontro al box office mondiale. Con un budget di 60 milioni di dollari, il film ne ha incassati a livello globale appena 121, rivelandosi un piccolo flop commerciale. Curiosamente, in termini d'apprezzamento, critica e grande pubblico lo hanno elogiato più delle precedenti trasposizioni dei romanzi di Agatha Christie, trasformandolo tra recensioni e percentuali nel miglior capitolo della serie finora.
Questo accade perché Assassinio a Venezia è un adattamento libero e strutturato di una delle storie con protagonista il famoso detective, Poirot e la strage degli innocenti, tra i meno noti e citati dell'autrice britannica, peraltro mai trasposto sul grande schermo rispetto ad Assassinio sull'Orient Express e Assassinio sul Nilo. Questo lo mette in una posizione unica e priva di paragoni, tant'è che lo sceneggiatore Michael Green ha optato per una totale rilettura del racconto, cambiandolo praticamente per intero, sovvertendone senso e atmosfera per cimentarsi con sensibilità anche più orrorifiche, di stampo psicologico. E al netto di molte scelte registiche e di montaggio che non convincono del tutto, in questo senso, Assassinio a Venezia è davvero un buon capitolo del franchise, soprattutto nella sua capacità di guardare al presente in determinati passaggi della storia.
I toni dell'orrore
Assassinio a Venezia è attualmente disponibile su Disney+, ottimo motivo per tracciare una riflessione sul prodotto e provare a capire perché recuperarlo in piattaforma. La prima cosa da sapere sul film è che è molto diverso dalle sue precedenti iterazioni. Assassinio sull'Orient Express e Assassinio sul Nilo rappresentano l'anima più classica di Poirot, la messa in scena del suo incredibile acume, il desiderio di raccontare una precisa metodologia d'indagine che ha reso il detective belga uno dei massimi esponenti investigativi dell'intera storia della letteratura contemporanea. Nella trasposizione di Orient Express, infatti, emerge il desiderio di un take audace e teatrale su una delle indagini più conosciute e amate (e imitate) ideate dalla Christie, con una cura maniacale della messinscena, soluzioni cinematografiche virtuose per sopperire e insieme nobilitare la mancanza di spazio e un tracciato narrativo pressoché identico al romanzo originale. In Assassinio sul Nilo, comunque pensato per imitare appena l'ossatura di Orient Express, gli spazi invece si ampliano e l'indagine per Poirot diventa anche personale, ma non si tratta di una buona trasposizione cinematografica, troppo prolissa e poco astuta in senso pratico per un giallo stranoto adattato con pochissima indipendenza creativa.
Di fatto, le due iterazioni non provano in alcun modo a ragionare sul presente al di là di alcune tematiche sempreverdi già affrontate dalla Christie. Sono fermi nell'ideale traspositivo ancestrale: riportare il racconto in modo puntuale e fedele, dirigerlo con una cura formale adeguata al contesto. Assassinio a Venezia invece va oltre, supera il timore reverenziale nei confronti della scrittrice e tenta un'operazione in effetti coraggiosa, cioè riscrivere dall'interno una storia della Christie e inventare praticamente di sana pianta un nuovo e più emancipato intrigo con Poirot, sfumando persino le tinte del giallo per arrivare in quelle più ombrose dell'orrore, "spiritico" e psicologico. Già questo lo rende di per sé interessante, ma al di là della storia e dell'intreccio (che non riporteremo) il film gode per l'appunto di uno sguardo attento ad alcune tematiche presenti e ben inserito all'interno dell'indagine e della narrazione.
Assassinio a Venezia: Kenneth Branagh e i fantasmi di Poirot
Gli altri
Nel suo essere un film di fantasmi, Assassinio a Venezia racconta un aspetto della modernità che forse non emerge completamente lungo lo svolgimento della storia ma è riavvisabile in sottotesto. Parliamo del ragguardevole talento dell'Uomo Social del XXI secolo di screditare, ingannare e calunniare il prossimo a proprio vantaggio, che è poi una lettura estremamente (e tristemente) capitalistica della società contemporanea, dove predomina l'ego a discapito degli altri. È persino interessante la riflessione sul possesso e la dipendenza affettiva, sulle terribili conseguenze di un vuoto esistenziale capace di condurre a decisioni estreme, malate e ingiustificabili. Da una parte abbiamo il volto corrotto del potere e del successo nascosto dietro una maschera di gentilezza e "capacità", dall'altra quello di un estremo e maniacale controllo dell'altro che si cela dietro a un amore deviato ed egoista. Imbrogli differenti che generano sempre e comunque dei mostri. Pur consapevole di dover rivelare la verità sul caso e consegnare e i colpevoli alla giustizia, Poirot è assediato da visioni del passato e da profondi sensi di colpa che ne attanagliano l'anima, infestando la sua mente che non riesce ad essere del tutto lucida.
Nonostante questo, il detective vuole più di tutto portare alla luce questi "troll" capitalisti ed emotivi, questi mostri del presente, che si nascondono tra le mura dell'antico palazzo veneziano in cui è ambientato il racconto. E lo fa al di là della sua materia grigia non del tutto funzionante, di una messinscena che supera i concetti del giallo tout court e mima alcuni tropi dell'horror, di svariati tentativi di screditamento e di un affetto marcito nel controllo. Praticamente, Poirot affronta i fantasmi della contemporaneità sociale dimostrando che la più grande virtù dell'Uomo è quella morale, fatta d'integrità e consapevolezza, di una costante messa in discussione al netto di rigide e incontrovertibili certezze della vita.