Un viaggio interstellare a miliardi di chilometri dalla Terra. Un incontro a pochi metri da terra. Avventurarsi nella pancia di un enorme buco nero. Rimanere affascinati da piccoli cerchi scuri. Un padre agricoltore e una madre linguista. Interstellar e Arrival sono lontani 26 mesi; uno si è spinto oltre i confini della nostra galassia, mentre l'altro ha deciso di ospitare gli alieni sul nostro pianeta. Eppure i film di Christopher Nolan e Denis Villeneuve ci appaiono vicinissimi, capaci di sfiorarsi in più punti, grazie ad uno sguardo simile sulla fantascienza e al desiderio di trasformare il genere in un veicolo emotivo potente. Sia la storia di Joe Cooper che di Louise Banks, infatti, fanno della science-fiction un contenitore di trame audaci, complesse, affascinanti, ma soprattutto di personaggi legati in maniera inevitabile dal filo indissolubile dei sentimenti. Nolan e Villeneuve affidano le loro opere nelle mani di due genitori chiamati all'impresa: salvare il mondo o salvaguardarlo. Trovare la chiave della salvezza oppure interpretare criptici segnali alieni. Eppure, al centro di tutto ci sono due figlie, due forze di gravità che tengono ancorati Cooper e Banks al loro senso di dovere, due persone più importanti di qualsiasi pianeta in pericolo. Forti di questo legame inscindibile, che entrambi i film esibiscono nei loro incipit, Interstellar e Arrival non sono certo pellicole sovrapponibili.
Il film di Nolan tenta traiettorie ardite con una storia assai complicata, perché per il buon Christopher il cinema è come la Terra per il suo Cooper: non un territorio per "guardiani" che si accontentano di proteggere quello che è stato già fatto, ma un habitat per grandi "esploratori". Per chi vuole guardare sempre più in alto, più in là, e per questo sperimenta, rischia, alza l'orizzonte del cinema. Interstellar lo fa (sin troppo per alcuni), perché ad un certo punto chiede al pubblico un vero e proprio atto di fede, sospendendo l'incredulità e affidandosi ad un salto spazio-temporale che può risultare esagerato oppure emozionantissimo. Ecco, l'epopea interstellare di Nolan si affida all'impatto emotivo per superare i rischi di una sceneggiatura in cui non tutto torna alla perfezione. Al contrario Arrival, nonostante si spinga verso il campo non proprio accessibile della semiotica, riesce a mettere in scena con eleganza una storia che intriga senza mai risultare troppo cervellotica. È una questione di volume nel raccontare: Interstellar è un boato, un roboante impatto emotivo (l'incontro tra Cooper e sua figlia ormai anziana è un attentato alle coronarie) che riecheggia in pancia, mentre Arrival ci sussurra nell'orecchio una poesia dolcissima. Potenti e delicati, i film di Nolan e Villenueve modellano entrambi una fantascienza d'autore, solleticano il cervello e abbracciano il cuore. Ecco, quindi, cinque punti di contatto tra due film ispirati, tra due viaggi lontani in grado di arrivare dentro molti di noi.
Leggi anche: Arrival - Tradurre gli alieni per capire noi
N.B. : L'approfondimento che segue contiene spoiler
1. Soluzioni e risposte: la Terra in pericolo
Nessun futuro spinto chissà dove, chissà quanto. Interstellar e Arrival sono ambientati in tempi simili ai nostri, e in entrambi i casi basta alzare lo sguardo verso il cielo per provare timore, capire che qualcosa di grande mette a repentaglio le vite di tutti. Interstellar e Arrival mettono l'umanità davanti a qualcosa di maestoso, entità e fenomeni atmosferici più grandi di noi. Nolan parla di un pianeta ormai inospitale, asfissiato da tempeste incessanti di polvere, piegato dalla moria delle coltivazioni. Maiuscola o minuscola che sia, la terra dice agli uomini che bisogna ricominciare altrove. Se Interstellar parte con un mondo già impolverato e ci pone davanti ad una scelta inevitabile (partire), Arrival ci racconta l'inizio di tutto, ovvero l'arrivo di 12 enormi oggetti non identificati a pochi metri dal suolo terrestre. Villeneuve gioca con i pregiudizi, le attese, gli atteggiamenti guardinghi e gli insperati slanci verso il diverso, per capire se effettivamente gli alieni sbarcati nel mondo siano o meno una minaccia. Posti davanti a queste prospettive inquietanti, entrambi i registi trovano in Cooper e in Banks le chiavi fondamentali per risolvere problemi e trovare soluzioni. Un uomo e una donna per le sorti di un mondo intero.
Leggi anche: La recensione di Interstellar
Un tempo per la meraviglia alzavamo al cielo lo sguardo sentendoci parte del firmamento, ora invece lo abbassiamo preoccupati di far parte del mare di fango (Interstellar)
2. Macchie e buchi neri: il rapporto con l'ignoto
Subito dopo il suo doloroso lancio nello spazio, dove il distacco di Cooper non è tanto quello nella navicella spaziale quanto nell'auto che si allontana da casa, Interstellar assume la forma di un'avventura intergalattica, un viaggio di moderni Ulisse verso confini ancora inesplorati. Il motivo che spinge l'equipaggio dell'Endurance a spingersi così lontano è la scoperta di un wormhole, da molti ritenuto un regalo di forze altre. Riferendosi ad un indeterminato "loro", gli scienziati della NASA pensano che quel buco nero sia un dono fornito da una possibile razza aliena. Entità che sembrano manifestarsi durante il primo passaggio del buco nero, quando Amelia Brand (Anne Hathaway) sfiora qualcosa di strano e affascinante. Alla fine, uno dei colpi di scena di Interstellar, mostrerà che i presunti alieni sono gli umani stessi e quella mano toccata da Brand non è altro che quella di Cooper. In Arrival, invece, il rapporto con l'ignoto è il tema portante del film, perché per Villeneuve il dialogo con gli alieni diventa terreno fertile per parlare di diversità, conoscenza, paura e coraggio. I passi verso la comprensione degli alieni sono l'aspetto più affascinante di Arrival, perché non si tratta di un rapporto univoco, ma di un incontro osmotico, dove si ascolta prima di imporsi, dove si impara a dare valore alle domande prima di pretendere le risposte.
Leggi anche: Arrival, parla il regista Denis Villeneuve: "Bisogna essere aperti all'ignoto"
Stai sognando nella loro lingua? (Arrival)
3. Meraviglie cosmiche
Le poetiche classica e romantica hanno definito un concetto estetico che il cinema ripropone con invidiabile capacità: il sublime. Sublime è tutto ciò che sovrasta l'uomo, è una Natura imperiosa, affascinante e allo stesso tempo spaventosa. Sublime è tutto ciò che ai nostri occhi appare magnifico, inconoscibile ma comunque bello. Ecco, in questo Arrival e Interstellar eccellono grazie alla maestria e alla cura maniacale di due grandi autori come Villeneuve e Nolan, abili nel creare immagini incantevoli e a sovraccaricarle di attesa, tensione, senso. In Interstellar, oltre all'attraversamento del buco nero e alle tante inquadrature immerse in uno spazio enorme e silente, la sequenza della maestosa onda oceanica che si abbatte su Cooper e compagni è forse uno dei momenti più sbalorditivi del film. In Arrival, invece, è davvero difficile non riconoscersi negli occhi curiosi, vibranti ed estasiati di una Amy Adams che osserva i messaggi alieni fuoriuscire dai tentacoli degli eptapodi. Sembra semplice nero di seppia usato come inchiostro, e invece la potenza visiva ed espressiva del cinema di Villeneuve rende quel momento carico di una bellezza ipnotica, rara proprio perché inspiegabile e difficile da descrivere a parole.
Leggi anche: Arrival: Amy Adams e Jeremy Renner "Gli alieni come i migranti? Niente politica sul set"
4. Beffare il tempo
Siamo portati a vedere il tempo come una linea retta. O forse una somma di segmenti, ovvero delle vite di tutti, destinate prima o poi ad interrompersi. Su questa linea lunghissima si può procedere avanti o indietro, rievocando, vivendo o guardando oltre, con il passato, il presente e il futuro e fungere da coordinate temporali per noi esseri umani. Interstellar, specchiandosi nella forma circolare (o meglio, sferica) di un buco nero, scardina questa struttura temporale e ridisegna il tempo come un cerchio. Si può ritornare indietro, il futuro può interferire con il passato, fantasmi futuri si manifestano come spifferi sul presente, condizionandolo. Per Nolan questa forza incessante e indistruttibile, capace di abbattere gli argini del tempo e dello spazio, è l'amore. Un amore paterno che non si arrende al più pericoloso e azzardato dei viaggi, un amore che ricorda tanto quello di Louise Banks. Una madre che sogna il futuro, che ricorda quello che dovrà ancora avvenire. Il toccante paradosso di Arrival beffa la percezione del tempo più intima che abbiamo: la memoria. Così sentimenti di due genitori piegano il tempo al proprio volere, al proprio sentire.
Leggi anche: Interstellar e il cinema di Nolan - In viaggio tra il sogno, la memoria e le stelle
5. In nome di una figlia
Padri che tornano dai figli. Per Nolan sembra molto più di un'esigenza, quasi una fissazione. Accadeva in The Prestige con una riapparizione finale, era il sogno ricorrente di Cobb in Inception, una speranza per il padre putativo Alfred ne Il cavaliere oscuro - Il ritorno. In Interstellar il ritorno è tutto; è il senso del viaggio, una promessa da mantenere dopo un saluto amaro tra padre e figlia. Tornare indietro da Murphy e darle disperati segnali di una presenza paterna sono le motivazioni più profonde di Cooper, perché per lui non c'è salvezza del mondo che valga quanto la stima di una figlia. In Arrival i ricordi di Louise sono un dolce e amaro sottofondo. Una madre che sembra ricordare una figlia perduta, sprazzi di sorrisi e di lacrime, schegge di memoria piene di dolcezza e di un dolore tremendo. Invece la rinomata linguista ha solo ricevuto un dono dagli alieni, ovvero la capacità di percepire quello che la vita ha in serbo per lei.
Ed è qui, con questo colpo di scena spiazzante per personaggi e spettatori, che Villenueve trova una consapevolezza toccante: Louise decide di lanciarsi, di abbandonarsi ai sentimenti, di abbracciare la vita nonostante questa contempli una morte precoce. Un atto di coraggio e una lezione di attaccamento al senso della vita che non si dimentica. E non dimentichiamo nemmeno un'ultima curiosità. Sia Arrival che Interstellar hanno dato alle figlie di Cooper e Banks due nomi non comuni, nomi che quasi avvalorano le tesi dei due film. Da una parte c'è Murphy, chiamata così in nome della celebre Legge di Murphy secondo cui "tutto quello che deve accadere, accadrà", come l'epopea nolaniana insegna; dall'altra un raffinato Hannah, un poetico palindromo che non cambia a seconda del verso in cui lo si legge. Dal passato o dal futuro, da ieri o da domani, con il nome di una figlia e il senso del tempo diventati ormai sinonimi.