Armand, la recensione: tensione e sociologia nell'ottimo esordio di Halfdan Ullmann Tøndel

Lo spazio, e poi le parole, fino alle domande e le soggettive risposte: il film norvegese candidato all'Oscar è un manuale di sceneggiatura. Nel cast, anche Renate Rensve. Al cinema dal 1 gennaio.

Renate Rensve in Armand

C'è un cinema europeo di nuove dimensioni e nuove digressioni, capace di allargare lo sguardo al sociale partendo da quei piccoli, grandi eventi quotidiani, carichi di significati e significanti, per un riverbero - almeno in questo caso - di urgente argomentazione. C'era, vista l'eredità del suo sangue, una certa pressione nei confronti di Halfdan Ullmann Tøndel (i suoi nonni sono Ingmar Bergman e Liv Ullman) e della sua opera prima, Armand, candidato norvegese agli Oscar come miglior film internazionale, nonché presentato a Cannes 77, e vincitore della Caméra d'Or (come dire, un biglietto da visita niente male).

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I protagonisti di Armand

Sarà per la location (una scuola), sarà per l'approccio, ma l'esordio di Tøndel (classe 1990) ci riporta in mente un'altra folgorante opera europea (tedesca), ovvero La sala professori di İlker Çatak. Diametralmente continuo, Armand sposta e alza lo sguardo verso gli adulti, impreparati a quell'inaspettato tanto shoccante quanto rivelatorio.

Armand, alla ricerca della verità

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Il colloquio

Il plot di Armand, firmato dallo stesso Tøndel (insomma, è nato un autore), è tanto risicato quanto efficace nella sua struttura drammaturgica (e notevole dal punto di vista registico. Al centro, anche se poi la loro presenza viene delegata al giudizio degli adulti, due bambini di sei anni, Jon e Armand. Manca poco alle vacanze estive, ma intanto Jon, asserisce che nei bagni della scuola sarebbe stato molestato sessualmente da Armand (i due sono amici, ma anche cugini: una chiave che si rivela poi fondamentale nell'economia del racconto). Il personale scolastico, a cominciare dalla preside, convoca i genitori di entrambi per far luce sull'accaduto (ad interpretare la madre di Armand c'è una brava Renate Rensve, ma occhio anche alla bravura di tutto il cast: Ellen Dorrit Petersen, Endre Hellestveit, Thea Lambrechts Vaulen, Øystein Røge). Tuttavia, il clima diventerà presto incandescente.

Come tenere la tensione

Trama stringata, nel cui interno si sviluppa un intreccio che miscela, al meglio, lo spazio scenico e lo spazio umano di due "fazioni". Armand, del resto, è un film ideato sul concetto di confronto, declinato in una forma linguistica che non elude nessun tipo di approccio, concedendosi anche sfumature umoristiche (a tratti surreali). Quasi due ore, tenute e ritmate dalla regia di Tøndel, conscio di dover dosare al meglio il ritmo (teso, ansiogeno, quasi thriller), visto anche l'approccio splendidamente teatrale del film, pur sfruttando in modo dinamico l'ambiente scolastico (e orecchio alla colonna sonora do Ella van der Woude).

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L'ambiente scolastico di Armand

Non sbaglia, allora, nel miscelare i dettami della tensione, reggendo l'umore che, fino al finale, invoglia costantemente gli spettatori, portandoli a essere giudici soggettivi di quello che poi andrebbe letto come una disamina sulle sovrastrutture e sulle ossessioni moderne, enfatizzate da un(micro)cosmo in cui il sospetto e il pre-giudizio sono il cardine su cui far leva, e su cui generare un cinema, a suo modo, spettacolare. Del resto, quello messo in scena da Haldan Ullman Tøndel diventa un circo umano in cui il confronto diventa scontro (e viceversa), assottigliando, secondo dopo secondo, ogni punto di riferimento. Per questo, la forza (e lo sforzo) di Armand è proprio il suo essere specchio moderno e graffiante, per un riflesso che sfrutta il cinema per raccontare ciò che siamo o ciò che potremmo essere. Un gran bel film.

Conclusioni

Armand rafforza una nuova onda cinematografica europea, capace di raccordare, tramite l'ordinario, le pieghe della società moderna. Spazio, musica, luce, e poi interpreti e rivelazioni: un esordio che funziona, e che tiene incollati allo schermo grazie ad una forte coesione rispetto alla sceneggiatura, mai banale e anzi appassionante e ben strutturata.

Movieplayer.it
3.5/5
Voto medio
3.8/5

Perché ci piace

  • Le scelte registiche.
  • La sceneggiatura, funziona.
  • L'utilizzo dello spazio.
  • Il concetto di polarizzazione.

Cosa non va

  • Due ore sono comunque impegnative.