Un film come Animali randagi, negli USA, rientrerebbe nell'insieme dei film indie. Verrebbe presentato al Sundance Film Festival o al South by Southwest, oppure al Telluride, tra le rocce del Colorado. In Italia, invece, c'è ancora la tendenza che vorrebbe il cinema chiuso a compartimenti stagni: i grandi autori, i faccioni sui poster per convincere il pubblico, e poi i cosiddetti film piccoli, quelli dei circuiti d'essai, relegati in poche sale, e magari fatti uscire d'estate (caso vuole).
Regole di un mercato che difende solo marginalmente il proprio prodotto (di qualità), e molto poco lo comunica allo spettatore: quante volte vengono distribuiti film senza una convincente campagna di comunicazione? Appunto. Allora è (anche) compito della critica di settore raccontare e spiegare certi film, che meriterebbero certamente più attenzione. Proprio come Animali randagi di Maria Tilli, al suo primo lungometraggio dopo diversi corti e documentari (notevoli), anch'essi incentrati su figure irregolari, tragiche e rivelatrici, che propendono verso una libertà intesa come scelta e come altruismo.
Animali randagi, la trama: fare la cosa giusta
Al centro del film ci sono Luca e Toni (Giacomo Ferrara e Andrea Lattanzi), svogliati e sciupati ragazzotti che guidano un'ambulanza nella rurale provincia abruzzese. Ogni tanto arrotondano svolgendo qualche lavoro extra a bordo dell'ambulanza di servizio. Un giorno viene chiesto a Toni di attraversare l'Italia e guidare fino in Serbia, trasportando Emir (Ivan Franek), un uomo che vorrebbe farla finita prima che il tumore lo mangi vivo. Con loro c'è anche Maria (Agnese Claisse), la figlia arrabbiata di Emir, che ha già perso molto tempo dietro al padre e ora non ha più intenzione di stargli troppo dietro. Toni, più scostante e meno empatico di Luca, non dice nulla all'amico riguardo lo scopo del viaggio di Emir, almeno inizialmente. Il viaggio dei quattro, a bordo di una scalcinata ambulanza, diventerà quindi un percorso catartico, tra liberazione e scoperta.
Chilometri, sguardi e parole nel viaggio di Maria Tilli
Magari è solo un caso, ma Animali Randagi di per sé ha un titolo emblematico e significativo, che richiama una certa letteratura italiana degli anni Settanta. Chissà, un'assonanza che abbiamo trovato solo noi, o cercata anche dalla regista, che per la sceneggiatura è partita dalla voglia di raccontare l'umanità di certe persone "conosciute e mai incontrate". Effettivamente, in superficie si muovo figure in cerca di vita, oltre la dimensione volutamente sospesa che si lega alla morte come filo visibile, per una via crucis dolente ma anche speranzosa, gagliarda, a volte tenera e a volte arrabbiata. In mezzo, l'apertura visiva e la scoperta, la delicatezza e l'apatia, tra il dolore sordo e i chilometri consumati, verso una fine che potrebbe addirittura assomigliare ad un inizio. E se i giri del film prendono presto il ritmo, ingranando e a volte arrancando, come in ogni appassionato esordio cinematografico, non possiamo non pensare alla prova emotiva e fisica di Giacomo Ferrara e di Andrea Lattanzi, pensando poi ai silenzi e agli sguardi di Agnese Claisse e Ivan Franek.
Potremmo anche citare la splendida colonna sonora di Alessandro Grasso e Daniele Rieno, che accompagna le scene con una delicatezza musicale che si addice tanto alla storia quanto alla geografia di un paesaggio che muta forma come mutano le consapevolezze dei protagonisti, enfatizzate dalla fotografia seppia di Ilya Sapeha e dalla fugace scenografia di Marta Morandini. Un film di persone che non diventano mai personaggi, e un film di accenti marcati, a calcare una provincia che diventerà cosmo infinito, nel quale il valore di un viaggio, come retorica vuole, acquisirà valore nell'idealizzata meta. Un'opera da sostenere, nella sua coinvolta cura estetica e nella sua forza narrativa. Un film coraggioso, nell'uso del tempo, dilatato e ragionato, in contrapposizione ad un'epoca addomesticata, in cui la soglia dell'attenzione si aggira intorno ai venti secondi. Perché poi è forse vero quello che dice nel film lo strepitoso Ivan Franek: "oggi di randagi non ce ne sono più".
Conclusioni
Maria Tilli, dopo diversi corti e documentari, esordisce in un lungometraggio appassionato e delicato, sfruttando in pieno il paradigma del road-movie. Un film da sostenere, come abbiamo scritto, perché il cinema indipendente italiano è capace di offrire storie e sensazioni originali, che andrebbero maggiormente supportate in chiave distributiva. E Animali randagi è l'esempio perfetto: cura estetica, cura emotiva, un cast sensibile per una chiave di lettura autentica e luminosa.
Perché ci piace
- Il cast, tutto in parte.
- Le sensazioni trasmesse.
- La cura estetica e la cura emotiva.
- Il finale...
Cosa non va
- ...anticipato da un pre-finale che pare bloccarsi.