Andor è ancora un miracolo (galattico)

La serie spin-off di Rogue One incentrata sulla storia della spia ribelle interpretata da Diego Luna rappresenta ancora un caso più unico che raro nel corso audiovisivo di Star Wars.

Diego Luna nei panni di Cassian Andor

Che Cassian Andor non sia un personaggio come quelli a cui Star Wars ci aveva abituato è chiaro dal primo istante in cui lo si incontra. È il dicembre del 2016, quando nelle sale arriva A Star Wars Story: Rogue One diretto da Gareth Edwards, prequel sulla carta complicatissimo che invece sbanca al box office e conquista critica e pubblico. Siamo in una delle primissime sequenze del film. Andor, interpretato da Diego Luna, sta parlando con un informatore. Questo gli dice ciò che deve dirgli, si gira e fa per andarsene.

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Una scena di Andor

E Andor gli spara, alle spalle. Perché lo fa? Perché non può lasciare tracce. Ma Andor non è l'antagonista di questa storia, è uno dei buoni. Sta già tutta qui la scomoda complessità di una figura che sembrava impossibile veder ritratta nel canone cinematografico di Star Wars con la scala di grigi con la quale poi, anni dopo, la serie omonima ne avrebbe approfondito la scalata nei ranghi della resistenza ribelle.

Che all'inizio sembra mutare dalla dimensione della simpatica canaglia come lo era Han Solo, ma che poi si inabissa nel lato sporco, ambiguo e moralmente cupo di uno spicchio di universo che i fan della galassia lontana lontana non avevano mai conosciuto in precedenza.

Una grammatica differente

Andor, la serie, è un piccolo miracolo. In parte, come si diceva, lo era già Rogue One, film chiamato a muoversi nell'impossibile steccato del fare qualcosa di buono, qualcosa di differente, ma cronologicamente a ridosso dell'inizio di Una nuova speranza. Una novità totale: uno spy-war movie senza Jedi, senza Forza, senza spade laser - a eccezione del cameo di Darth Vader nel finale, sintesi pressoché perfetta tra coerenza narrativa e fan service.

Quella di Andor era però sfida ancora più complessa. Serie spin-off di un'opera cinematografica già spin-off, oltretutto arrivata in scia ad un altalenante corso seriale live action. I due show immediatamente precedenti erano stati infatti il confuso The Book of Boba Fett e la pastrocchiata Obi-Wan Kenobi, con quest'ultima in particolare che da molto attesa (doveva inizialmente essere un film) si è presto tradotta nel paradigma della poca cura e della poca accortezza produttiva.

Andor Diego Luna
Diego Luna nei panni della spia ribelle

Che la serie creata da Tony Gilroy, già in sceneggiatura di Rogue One con Chris Weitz, fosse condannata allo stesso limbo? Andor, uscita per la prima volta su Disney+ nel settembre 2022, ha risposto episodio dopo episodio. Con una grammatica audiovisiva differente, con un linguaggio che si pone in resistenza alle frenesie della fruizione seriale contemporanea - dodici puntate, stesso numero che torna nella seconda stagione, già un'anomalia rispetto agli ormai canonici otto. Si può permettere dei silenzi, si concede dei piani d'ascolto prolungati, lavora attraverso l'associazione delle atmosfere su un diffuso senso di amarezza e accettazione del dolore. C'è poco colore, poco alleggerimento umoristico, di solito tipico di Star Wars.

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È un racconto di speranza, ma che passa attraverso la rabbia - un sentimento da cui i Jedi ci hanno sempre messo in guardia, che qui è invece carburante. Che passa dentro l'amaro filtro del "sacrificio ad ogni costo". E nel farlo discute temi che in Star Wars hanno sempre aleggiato, ma mai erano stati ingaggiati con questa crudezza e con questa risonanza politica: l'aggressione imperialista, i massacri indiscriminati, la propaganda, addirittura i genocidi di popoli.

Una serie popolata da fantasmi

Nel seguire il frastagliato cammino di Cassian Andor come riluttante eroe dell'Alleanza Ribelle, ci si rende mano a mano conto di come questa serie sia poi popolata da fantasmi. Tutti i personaggi, dal primo all'ultimo, sono ombre. Andor lo è per primo: sappiamo bene per quale missione sta partendo nell'episodio finale, sappiamo bene a quale esito andrà incontro in Rogue One.

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Andy Serkis in una scena di Andor

Quello della serie è un racconto corale, che esplora non solo i ranghi delle spie ribelli, ma anche le fila dell'Impero con le performance incredibili di Denise Gough e Kyle Soller. Di volti ce ne sono però molti di più - altre menzioni d'onore: il mefistofelico Luthen di Stellan Skarsgård, forse il personaggio più drammatico e il faro di luce che è la Bix di Adria Arjona; ma anche la Mon Mothma di Genevieve O'Reilly e il ritorno, più feroce che mai, del direttore Krennic di Ben Mendelsohn. Che ora entrano in scena, accompagnano per un po' e poi escono dal raggio visivo dei protagonisti e quindi nostro. Dove sono finiti? A quale destino sono stati chiamati? Un esempio che riassume il taglio drastico di Andor: quando Cassian nella prima stagione si separa, perdendolo letteralmente di vista, da Kino Loy, interpretato da Andy Serkis. Non si incontreranno più, non lo incontreremo più.

Il lavoro che la serie fa sui personaggi è commovente. Sono tanti perché sono loro che fanno questa storia. Una resistenza è fatta prima di persone che di processi. E la scrittura (a cui partecipano anche Beau Willimon e Dan Gilroy) insiste sull'avvicinamento di due estremi: da una parte l'inevitabile affezione, dall'altra la consapevolezza che affezionarsi è un adagio che non ci si può permettere.

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Perché qui si muore. E le azioni di sabotaggio, infiltrazione e salvataggio passano attraverso atti di eroismo funereo, di sgretolamento dell'io individuale in favore di un io collettivo. Ed è ciò che impara a comprendere Cassian, che da pedina deve scoprirsi leader. Andor è una storia brutale, una lunga storia di continui addii, che non concilia e non se ne sta docile. È la serie in cui non avremmo mai sperato, ma che ci dà speranza: ciò su cui sono costruite tutte le ribellioni.