Amore vs sospetto (e sorpresa finale)
Se, in molti dei suoi film, Alfred Hitchcock è stato un corretto artigiano ripetitore di sé stesso, come alcuni critici hanno sostenuto, questo discorso vale soprattutto per una pellicola come Il sospetto, che potrebbe esser considerata, per certi versi una summa della poetica del regista, per altri una sorta di rivisitazione thriller di Rebecca, la prima moglie.
Ne Il sospetto, infatti, Hitchcock ripete un'esperienza lavorativa affine a quella già sperimentata in Rebecca, che gli aveva permesso di vincere il suo primo, e sfortunatamente ultimo, Oscar. Il regista inglese si avvale per la seconda volta della preziosa collaborazione del musicista Franz Waxman, della sceneggiatrice Joan Harrison (alla quale si affianca la signora Hitchcock, Alma Reville), ma soprattutto dell'attrice Joan Fontaine che, proprio per questo secondo ed ultimo film realizzato con il maestro, otterrà il premio Oscar come migliore attrice protagonista.
Le analogie con Rebecca non finiscono qui; Il sospetto è, infatti, a detta dello stesso Sir Alfred, il secondo film "inglese" (per gli attori e l'atmosfera) girato ad Hollywood; esso narra gli eventi da un unico punto di vista, ovvero quello di Lina (Joan Fontaine), escamotage il cui scopo è rendere ancor più coinvolgente la partecipazione dello spettatore. Hitchcock, ancora prima di Paura in palcoscenico e soprattutto di Psycho, si diverte a prendere in giro lo spettatore fornendo a quest'ultimo pochissimi elementi per poter comprendere un intreccio che diventa sempre più ostico e fuorviante.
Lina, così come la protagonista senza nome di Rebecca, è una ragazza insicura, fragile e profondamente romantica che vive nell'idea di un amore che non ha mai vissuto e che, a detta di suo padre, forse non vivrà mai: «Lina sarà destinata ad esser zitella... è intelligente, ha un carattere nobile ma...». Sono queste parole a segnare la svolta del film: la protagonista sarà travolta dall'amore per Johnnie (Cary Grant), un amore nato in fretta che porterà ad un altrettanto frettoloso matrimonio. Questo amore intenso, tipico di molti film del regista, si fonderà ben presto con la paura di aver sposato un uomo senza conoscerlo.
È proprio a questo punto che il sospetto, il vero protagonista del film (o meglio il vero antagonista), comincerà ad agire sulla debole psicologia di Lina; ogni comportamento di Johnnie sarà fonte di dubbi per la donna che finirà col temere di essere da lui uccisa.
Ecco dunque che si ripropongono ne Il sospetto i due capisaldi della poetica hitchcockiana, le due forze perennemente in contrasto nel cinema del maestro: l'amore e il sospetto. Il finale riserverà allo spettatore una sorpresa (non certo la prima del film): non sarà il protagonista, l'amore, a trionfare bensì l'antagonista, il sospetto. Un finale così non potrà che risultare discrepante, non solo con l'armonia e la coerenza della sceneggiatura, ma soprattutto con la natura di Lina, che, per tutto il film, si era dimostrata così innamorata da esser pronta persino al sacrificio.
Non a caso, infatti, era completamente diverso il finale previsto da Sir Alfred per Il sospetto, un finale che meglio si sarebbe adattato alle dinamiche del film ma che Hitchcock non poté realizzare poiché i produttori si rifiutarono di fare di Cary Grant un assassino. Fu lo stesso regista a dichiarare: «Non mi piace la fine del film, ne avevo pensata un'altra: quella che volevo ma che non ho mai realizzato era: Cary Grant porta il bicchiere di latte avvelenato; Joan Fontaine è intenta a scrivere una lettera a sua madre: 'Cara mamma, sono irrimediabilmente innamorata di lui, ma non voglio vivere. Sta per uccidermi e preferisco morire. Ma penso che la società dovrebbe essere protetta contro di lui'. Poi dice a Cary Grant che le ha appena dato il bicchiere di latte: 'Caro, per favore, vuoi spedire questa lettera alla mamma per me?'. Egli risponde: 'Sì'. Lei beve il latte e muore. Dissolvenza, apertura, breve scena: Cary Grant arriva fischiettando, apre una buca delle lettere e butta dentro la lettera».