È la stampa, bellezza, la stampa... e tu non ci puoi far niente!
Questa memorabile battuta, pronunciata da Humphrey Bogart al termine del film L'ultima minaccia, diretto da Richard Brooks nel 1952, sintetizza come meglio non si potrebbe il profondo sentimento di fascinazione provato da Hollywood nei confronti della professione giornalistica. Fin dai tempi della Golden Age del cinema americano, arrivando ai giorni nostri, il cosiddetto giornalismo d'inchiesta ha offerto infatti a registi e sceneggiatori un ventaglio di potenzialità tutt'altro che indifferente.
Dalla natura di quotidiano eroismo insita nell'attività del "cronista d'assalto" ai dilemmi morali e deontologici che possono sorgere all'interno di una redazione, Hollywood non ha mancato di esplorare e di rielaborare gli aspetti più complessi e avvincenti del lavoro del giornalista. Negli ultimi anni, del resto, anche la TV si è rivolta in questa direzione, per merito di una penna superba come quella di Aaron Sorkin, creatore e showrunner della serie The Newsroom, incentrata proprio sulle responsabilità etiche dei giornalisti (nel caso specifico, la redazione di un importante notiziario televisivo) nei confronti dei loro lettori e spettatori.
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Il caso Spotlight (2015) e Truth - Il prezzo della libertà (2015)
Ma a riportare il giornalismo d'inchiesta in cima all'attenzione del pubblico hanno provveduto, già dallo scorso autunno, due tra i film più apprezzati del 2015, finalmente in arrivo a breve nelle sale italiane. Per cominciare giovedì prossimo, grazie a BIM Distribuzione, sarà la volta di una pellicola che ha raccolto consensi entusiastici fin dalla sua presentazione, fuori concorso, alla 72° edizione del Festival di Venezia: Il caso Spotlight, sceneggiato e diretto da Thomas McCarthy a partire dalla reale indagine condotta, fra il 2001 e il 2003, dal team Spotlight, una squadra investigativa del Boston Globe, a proposito degli abusi sessuali su minorenni in numerose diocesi della città. Lo scandalo della pedofilia a Boston sarebbe esploso con fragore inaudito, portando alla luce anche i vergognosi tentativi di insabbiamento operati da alcuni fra i vertici della Chiesa Cattolica allo scopo di far calare il silenzio su decenni di violenze (per chi volesse approfondire l'argomento, vi segnaliamo anche il raggelante documentario Mea Maxima Culpa - Silenzio nella casa di Dio di Alex Gibney).
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Pellicola asciutta e rigorosa, totalmente incentrata sull'inchiesta dei reporter del Boston Globe, Il caso Spotlight ha ricevuto sei nomination agli Oscar, fra cui le candidature per miglior film, regia e per gli attori supporter Mark Ruffalo e Rachel McAdams. Ma se Spotlight, benché con toni sommessi, celebra il valore di un giornalismo nella sua accezione più alta, impegnato in una strenua ricerca della verità, l'altro film citato esamina invece i rischi e le ambiguità di un lavoro in cui le intenzioni più nobili possono comunque condurre in situazioni di estrema difficoltà. Scritto e diretto da James Vanderbilt, Truth - Il prezzo della libertà racconta la vera storia di Mary Mapes, produttrice di un programma d'informazione della CBS, 60 Minutes Wednesday, che nel 2004 denunciò il trattamento di favore ricevuto dall'allora Presidente degli USA George W. Bush negli anni in cui prestava servizio militare: uno scoop che avrebbe scatenato un'ondata controversie destinata ad abbattersi proprio sulla Mapes e i suoi collaboratori. Interpretato da Cate Blanchett e Robert Redford, Truth è un'appassionata e vibrante riflessione sull'etica del giornalismo e il suo costante braccio di ferro con il potere, e arriverà nelle sale italiane il 17 marzo grazie a Lucky Red, dopo la sua presentazione allo scorso Festival di Roma.
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E in attesa de Il caso Spotlight e Truth, abbiamo deciso di celebrare il binomio fra Hollywood e la gloriosa tradizione del giornalismo d'inchiesta, con un'analisi in ordine cronologico dei dieci migliori film sul giornalismo e sui giornalisti; quei film che, nell'arco degli ultimi settant'anni, hanno raccontato i più vari aspetti della "professione reporter", adottando il punto di vista e i modelli narrativi del cinema americano, anche grazie al contributo di alcuni fra i più abili registi e sceneggiatori di sempre...
Barriera invisibile (1947)
È il 1947, la Seconda Guerra Mondiale è finita da appena due anni e la rivelazione degli orrori dell'Olocausto ha portato alla ribalta uno dei tabù della società occidentale: l'antisemitismo, piaga molto diffusa anche nei democraticissimi Stati Uniti d'America. A esplorare pregiudizi e discriminazioni nella borghesia di New York è Philip Schyuler Green (Gregory Peck), un giornalista che decide di sperimentare sulla propria pelle il quotidiano antisemitismo dei suoi connazionali fingendosi ebreo e assumendo il nome di Phil Greenberg; ma la sua nuova 'identità' avrà gravi ripercussioni anche sul piano personale e sul rapporto con la sua fidanzata, Kathy Lacey (Dorothy McGuire). Basato sul romanzo Gentleman's Agreement di Laura Z. Hobson e sceneggiato e diretto da Elia Kazan, Barriera invisibile tocca un nervo scoperto nell'America degli anni Quaranta, raccogliendo un enorme consenso fra critica e pubblico; l'opera di Kazan vincerà infatti tre premi Oscar per miglior film, miglior regia e miglior attrice supporter (Celeste Holm).
L'asso nella manica (1951)
Appena un anno dopo aver consegnato agli annali del cinema un capolavoro assoluto come Viale del tramonto, il geniale Billy Wilder firma un altro film ferocissimo e graffiante, spostando l'obiettivo dalle illusioni dell'industria cinematografica alla spettacolarizzazione del giornalismo. Troppo spietato per riscuotere un vasto successo al momento della sua uscita, con il tempo L'asso nella manica avrebbe confermato tutto il proprio valore, in grado di renderlo una pellicola attualissima anche a decenni di distanza. La vicenda, ispirata a fatti reali, è quella di Chuck Tatum (Kirk Douglas), un cinico reporter con una carriera in declino e problemi di alcolismo che si ritrova a dover accettare un impiego ad Albuquerque, in New Mexico; ma la sua grande occasione sembra arrivare quando Chuck scopre che un uomo, Leo Minosa (Richard Benedict), è rimasto intrappolato in una miniera a causa di una frana. Con la complicità delle autorità locali, Chuck decide infatti di ritardarne il salvataggio per poter organizzare un gigantesco circo mediatico attorno alla prigionia di Minosa...
Quando la città dorme (1956)
È uno dei film più densi, affascinanti e (al tempo) sottovalutati del maestro tedesco Fritz Lang: scambiato per un semplice noir, Quando la città dorme, ispirato a un libro giallo di Charles Einstein, è in realtà l'affresco devastante di una società in cui la cronaca nera non è che l'ennesimo pretesto per imbastire uno spettacolo mediatico basato sulla curiosità morbosa dell'opinione pubblica, mentre i principi deontologici del giornalismo sono soffocati da un arrivismo senza scrupoli. La caccia al "killer del rossetto" (John Drew Barrymore), un assassino seriale che sta terrorizzando le donne di New York, diventa infatti l'occasione per una gara fra vari giornalisti impiegati all'interno di un colosso dell'informazione e intenzionati ad assicurarsi la poltrona di direttore generale. Lang firma un tenebroso gioiello in cui la suspense, il dramma morale e la satira di costume convivono in miracoloso equilibrio, impreziosito da un superbo cast composto da interpreti quali Dana Andrews, George Sanders, Thomas Mitchell, Vincent Price e Ida Lupino.
Tutti gli uomini del Presidente (1976)
È il modello imprescindibile a cui si è rifatto in gran parte anche Il caso Spotlight, nonché l'indiscussa pietra miliare quando si parla di cinema dedicato al giornalismo: si tratta di Tutti gli uomini del Presidente, il capolavoro diretto da Alan J. Pakula nel 1976 e interpretato da una coppia di protagonisti d'eccezione, Dustin Hoffman e Robert Redford, nei rispettivi ruoli dei cronisti del Washington Post Carl Bernstein e Bob Woodward. Basato sull'omonimo non-fiction book di Bernstein e Woodward, Tutti gli uomini del Presidente è un'esemplare ricostruzione dell'inchiesta, iniziata nell'estate del 1972, che due anni più tardi avrebbe portato alle dimissioni del Presidente Richard Nixon, coinvolto in prima persona nello scandalo Watergate. Film magistrale per la capacità di fondere il senso dello spettacolo con il rigore della messa in scena e la denuncia contro i soprusi della politica, Tutti gli uomini del Presidente è un classico intramontabile ricompensato con quattro premi Oscar: miglior attore supporter per Jason Robards, miglior sceneggiatura, miglior scenografia e miglior sonoro.
Sindrome cinese (1979)
Un tempismo (tristemente) invidiabile: Sindrome cinese ha debuttato nei cinema americani da neppure due settimane quando, il 28 marzo 1979, un incidente nella centrale nucleare di Three Mile Island, in Pennsylvania, scuote l'opinione pubblica e riporta al centro del dibattito i gravi rischi dell'energia atomica. Un evento drammatico che contribuisce al grande successo della pellicola di James Bridges, in cui Jack Lemmon, premiato come miglior attore al Festival di Cannes, veste i panni di Jack Godell, responsabile della sala di controllo in una centrale nucleare nei pressi di Los Angeles. Mentre alcuni operatori di un notiziario televisivo si trovano nella centrale per realizzare un servizio, il sistema di raffreddamento del nocciolo ha un guasto, tanto da far sfiorare il rischio della fusione nucleare; a tentare di portare alla luce l'accaduto saranno la giornalista Kimberly Wells (Jane Fonda) e il cameraman Richard Adams (Michael Douglas). Un'opera tesa e incalzante, in cui i toni del thriller si mescolano con quelli del film di denuncia.
Diritto di cronaca (1981)
Dal lato più coraggioso ed eroico del giornalismo alle ambiguità della professione: è lo slittamento operato da Sydney Pollack con Diritto di cronaca, un film costruito proprio sulla dicotomia fra il diritto all'informazione e la cosiddetta "macchina del fango". Una bravissima Sally Field ha il ruolo di Megan Carter, una reporter del Miami Standard che, sfruttando un'informazione riservata carpita in un ufficio dell'FBI, sbatte in prima pagina il presunto coinvolgimento di Michael Gallagher (Paul Newman) come indiziato nell'omicidio di un sindacalista. Mentre la vita privata e l'attività lavorativa di Gallagher subiscono una grave scossa, Megan inizia però a considerare le responsabilità del proprio operato. Pollack offre un'acuta riflessione sull'etica del giornalismo, veicolata attraverso le convenzioni di un dramma hollywoodiano solido e coinvolgente.
Cronisti d'assalto (1994)
Se nel 1987 James L. Brooks raccontava con ironia e tenerezza i retroscena dell'informazione televisiva in Dentro la notizia, nel 1994 è Ron Howard ad adottare toni e ritmi della commedia brillante per parlare invece del mondo del giornalismo d'inchiesta sulla "carta stampata". Michael Keaton, capofila del cast de Il caso Spotlight, è il protagonista di Cronisti d'assalto nel ruolo di Henry Hackett, redattore del New York Sun, alle prese con un caso di duplice omicidio per il quale sono stati arrestati due ragazzi afroamericani; attorno a lui, nell'arco di ventiquattro, frenetiche ore, ruotano anche altri personaggi, fra cui la moglie incinta Martha (Marisa Tomei), il suo direttore Bernie White (Robert Duvall) e la cinica capo-redattrice Alicia Clark (Glenn Close). Un cast in gran spolvero dà vita a un dramedy vivace e accattivante, capace di mettere in scena con una buona dose di umorismo difficoltà, problemi e soddisfazioni del lavoro del reporter.
Insider - Dietro la verità (1999)
Uno dei film più coraggiosi e apprezzati del maestro Michael Mann: la vera storia di Jeffrey Wigand, un whistleblower (ovvero un informatore) dell'industria del tabacco che nel 1995 decise di denunciare un'alterazione nella composizione chimica delle sigarette nel programma d'informazione televisiva 60 Minutes, suscitando però la preoccupazione e l'ostilità dei dirigenti della CBS. Interpretato da un eccellente Russell Crowe nel ruolo di Wigand e dal veterano Al Pacino in quello del produttore di 60 Minutes Lowell Bergman, che convinse l'uomo a farsi intervistare all'interno del suo programma, Insider - Dietro la verità ha ricevuto sette nomination agli Oscar e si è imposto come uno dei migliori titoli nella produzione di Mann: lontano dagli stereotipi del film di denuncia, Insider si concentra infatti sulle fragilità e le contraddizioni dei suoi personaggi, costruendo un dramma morale amarissimo e di indubbia potenza. Nel 2008, Crowe tornerà a interpretare una pellicola a sfondo giornalistico ma nel ruolo opposto, quello del reporter d'assalto: State of Play, thriller sul mondo della politica che lo vedrà recitare accanto a Rachel McAdams e Ben Affleck.
Good Night, and Good Luck (2005)
Una delle pagine più encomiabili del giornalismo televisivo, in uno dei periodi più cupi e grotteschi nella storia della democrazia americana. Ricompensato con sei nomination agli Oscar, Good Night, and Good Luck, sceneggiato, diretto e interpretato da George Clooney, vede protagonista un ammirevole David Strathairn (Coppa Volpi come miglior attore al Festival di Venezia 2005) nella parte del giornalista radiofonico e televisivo Edward R. Murrow, anchorman del notiziario della CBS, il quale nel 1953, nel pieno della crociata anticomunista condotta dal Senatore Joseph McCarthy, si schierò apertamente contro le aberranti pratiche del Maccartismo, denunciando la violazione delle fondamentali libertà civili degli Stati Uniti. Clooney elabora un'ode al giornalismo politicamente impegnato in una pellicola compatta e rigorosa, girata in interni e fotografata in un raffinato bianco e nero per restituire l'atmosfera degli anni Cinquanta.
Zodiac (2007)
Il giornalismo d'inchiesta declinato in una dimensione ossessiva, tale da risucchiare l'individuo stesso in una spirale senza uscita. Il "gran finale" del nostro itinerario è affidato a un magnifico cult del cinema contemporaneo: Zodiac, uno fra i migliori lavori di David Fincher, che nel 2007, alla sua uscita, non riscuote però il successo sperato, anche a causa di un approccio volutamente antispettacolare rispetto alla materia narrata. Il film è ispirato infatti al famigerato "caso Zodiac", ovvero la caccia al serial killer che, nel corso degli anni Settanta, diffuse il panico nell'area di San Francisco, rendendosi autore di feroci omicidi e trasformandosi in un vero e proprio caso mediatico. Fincher ricostruisce la paranoia sviluppatasi attorno al "killer dello zodiaco" assumendo il punto di vista di tre personaggi principali, fra cui il giornalista del San Francisco Chronicle Paul Avery (Robert Downey Jr) e il giovane vignettista Robert Greysmith (Jake Gyllenhaal), che si ritrova coinvolto nell'inchiesta. Sceneggiato da James Vanderbilt, il regista di Truth, Zodiac è un thriller atipico che gioca con le convenzioni del proprio genere d'appartenenza in maniera fascinosa e imprevedibile.