Prosegue a gonfie vele la Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro che si concluderà domenica 29 giugno. La terza giornata si è aperta all'insegna del cinema tedesco contemporaneo, e di uno dei suoi alfieri più riconosciuti, Philip Gröning. Dell'autore de Il grande silenzio si è visto L'amour, l'argent, l'amour (2000), road movie d'amore che segue da Berlino alla Normandia il viaggio di una coppia di dropout.
Lei, Marie (Sabine Timoteo, premiata per il ruolo col Pardo di bronzo a Locarno), è una prostituta; lui, David (Florian Stetter), ha un braccio rotto, lavora in una discarica ma è appena stato licenziato. Si incontrano una notte, su un viale della Capitale tedesca. Si innamorano e partono, accompagnati - e come loro lo spettatore - dalla splendida colonna sonora che mescola Mozart ai Velvet Underground.
La retrospettiva sul cinema tedesco contemporaneo prosegue con la proiezione di From Far Away di Thomas Arslan. Applaudito al Forum della Berlinale 2006, il documentario ripercorre il viaggio compiuto dal regista da Istanbul al Monte Ararat, tra maggio e giugno del 2005.
Padre turco e madre tedesca, l'autore è uno dei nomi di punta della Scuola di Berlino: in questo film esplora col suo sguardo personale, lontano dagli stereotipi del reportage televisivo, le realtà contraddittorie della Turchia di oggi, da Ankara alle regioni più inaccessibili, al confine con l'Iran, dove di recente si combatteva ancora.
Un focus sulla Turchia - e in particolare sulle condizioni della popolazione curda, tanto nel sud-est del Paese quanto nelle grandi metropoli - è proposto anche dal documentario Ayazma. Ghetto curdo nel cuore di Istanbul di Matteo Pasi e Marcello Dapporto, che precederà in Piazza del Popolo la proiezione del film italiano in concorso, La terramadre di Nello La Marca. Il film affronta un tema universale e ancora molto attuale, raccontando la storia di Gaetano e Alì: un ragazzo siciliano che non vuole raggiungere il padre in Germania, e un clandestino appena sbarcato sulle coste dell'isola.
Visto all'ultima Berlinale, La terramadre, è l'unico titolo italiano in concorso quest'anno al Festival di Pesaro: La Marca ha voluto "recuperare l'identità collettiva di un luogo, raccontando le solitudini di chi lo vive", il film specchia nella vicenda di un immigrato come tanti le storie di tanti (e)migranti come Gaetano: costretti dalla disperazione, gli uni e gli altri, a lasciare le proprie case, e poi sfruttati, respinti e perseguitati, "rispediti a casa come in una sorta di mito di Sisifo, una fatica inutile che poi è la fatica dell'esistere".
Presente a Pesaro non solo la Sicilia di ieri, ma anche quella di oggi. La sezione Bande à Part ha ospitato un documentarista austriaco a confronto con una tragedia italiana: Joerg Burger ci porta con Gibellina - Il terremoto nella valle del Belice, a quarant'anni dal sisma che tra il 14 e il 15 gennaio 1968 devastò quei luoghi tanto vicini quanto rimossi.
"Il terremoto è una legge della natura, il segno della giovinezza della terra: un segno di vitalità che comunica energia", _ così Ludovico Correo, il sindaco che fu la guida politica e culturale della ricostruzione di Gibellina: fu lui a volere che la città distrutta rinascesse nel segno dell'arte, "perché i terremoti in Sicilia sono sinonimi da sempre di rinnovamento non soltanto della terra, ma anche della cultura".
È nata così una città nuova, con artisti di fama internazionale impegnati a dare il proprio contributo: Arnaldo Pomodoro, Mimmo Paladino, Pietro Consagra. Burger inquadra le loro opere, le sculture che hanno fatto di Gibellina il più grande museo d'arte contemporanea a cielo aperto d'Europa: e intanto svela il fallimento di quell'utopia, che a diciotto chilometri dalla Gibellina distrutta dal terremoto (e oggi coperta dal monumentale Cretto di Alberto Burri) ha fatto sorgere una città nuova e senz'anima. _ "Gibellina è stato un luogo di sperimentazione di idee, ma non ha funzionato", ha spiegato Burger, molto applaudito al termine della proiezione del film, e protagonista di un animato incontro col pubblico.
Presentato in anteprima nazionale in Piazza del Popolo La Perrera di Manuel Nieto Zas. L'opera fa parte della sezione Cine en Construcción. Titolo quanto mai appropriato, dal momento che il giovane protagonista del film, David, viene incaricato dal padre di costruire una casa, che nella realtà - ha raccontato stamattina il regista - "è stata davvero realizzata". Il film è ambientato in un remoto villaggio costiero dell'Uruguay, dove il protagonista viene spedito dal padre in attesa di affrontare gli esami universitari. Per vincere la solitudine - in compagnia di letargici conoscenti del luogo - ogni tanto si concede qualche viaggio, con l'aiuto dei funghi allucinogeni.
"Fare cinema indipendente in questo momento è particolarmente complicato", ha spiegato il direttore artistico del Festival Giovanni Spagnoletti. In tutto il mondo, ma "soprattutto in un Paese, come l'Uruguay, in cui si producono uno o due film l'anno", continua Nieto.
Tra progetto, scrittura e riprese, La Perrera ha richiesto cinque anni di lavoro: "In Uruguay non ci sono fondi per lo sviluppo di film o leggi che contribuiscano a far fiorire la produzione cinematografica", _ spiega il regista, che con questo primo lungometraggio è stato "accolto con successo in più di quaranta festival in giro per il mondo", _ da Tolosa a Rotterdam, ma non ha trovato ancora visibilità nel suo Paese. Dove "fino al 1995 non c'è stata nessuna scuola di cinema. Il mestiere l'ho imparato facendo l'assistente a registi già affermati".
Tra le soluzioni, la via più percorribile sembra quella della coproduzione: in particolare con la vicina Argentina, in uno scambio che coinvolga autori ed equipe tecniche di entrambe le cinematografie. Sempre per la sezione Cine en Construcción la Mostra presenta la pellicola ecuadoriana Esas no son penas di Daniel Andrade e Anahi Hoeneisen.