In una scena di Morto Stalin, se ne fa un altro, Lavrentiy Pavlovich Beria, interpretato da Simon Russell Beale, rinchiude una giovane donna in una cella offrendole, in seguito, un bellissimo mazzo di fiori al momento del suo rilascio. Beria era un famigerato predatore sessuale, a volte veniva perfino portato in giro per Mosca da un autisti quando era in cerca di vittime da aggredire.
Dopo che Beria aveva finito con le sue vittime, veniva regolarmente offerto loro un mazzo di fiori com "segno di pace". Accettare significava implicare che qualunque cosa fosse accaduta fosse assolutamente consensuale; rifiutare poteva portare all'arresto, alla tortura e perfino alla morte.
Samuel Goff, professore della University of Cambridge, pur ammettendo che le inesattezze storiche presenti nella pellicola potessero essere giustificate da esigenze di tipo narrativo e/o drammatico, trovò che l'aver reso Berija un "avatar delle oscenità dello stalinismo", abbia fatto perdere all'opera la possibilità di spiegare i reali meccanismi del potere.
Il regista Armando Iannucci, in risposta a queste accuse, dichiarò: "Non sto dicendo che si tratta di un documentario. Si tratta di finzione, ma è una finzione narrativa ispirata a fatti reali. Il mio obiettivo è che il pubblico senta il tipo di ansia di basso livello che le persone avevano quando iniziarono a parlare di come erano le loro vite quotidiane all'epoca dei fatti narrati nel film."